50 domande su Gesù (X)
Che dice il Vangelo di Giuda? Chi fu Costantino? Chi erano gli evangelisti?
Autore: Don Juan Chapa
46. Che dice il Vangelo di Giuda?
Fra i diversi vangeli apocrifi che appaiono menzionati dai Padri e antichi autori ecclesiastici si trova il cosiddetto Vangelo di Giuda. Di questo, Sant’Ireneo, nel suo trattato Contro le eresie 1,31,1, scrive: “Altri dichiarano che Caino ottenne il suo essere dal Potere dall’alto e riconoscono che Esaù, Corè, i Sodomiti e questo tipo di persone sono in relazione fra loro. Per questo – aggiungono quelli – sono stati assediati dal Creatore, sebbene nessuno ha sofferto danno. Giacché la Sapienza aveva la consuetudine di prendersi quello che gli apparteneva da quelli a essa stessa. Dicono anche che Giuda il traditore era in molta familiarità con queste cose e che lui solo, sapendo la verità come nessun altro, portò a compimento il mistero del tradimento. Per sua colpa, dicono, tutte le cose, terrene e celestiali furono dissolte. Questi sono quelli che hanno scritto una storia fittizia al riguardo, che denominano Vangelo di Giuda”. Ad esso alludono anche Sant’Epifanio e Teodoreto di Ciro.
Dato che Ireneo scrive la sua opera nel 180, il Vangelo di Giuda dovette essere scritto prima di questa data, probabilmente in greco, fra il 130 e il 170. Della setta dei Cainiti conosciamo soltanto ciò che ci dice il testo di Ireneo. Non si sa se fosse un gruppo indipendente o parte di una setta gnostica più ampia.
Recentemente si è venuti a conoscenza dell’esistenza di un codice del secolo IV trovato in Egitto, che contiene un testo in copto del Vangelo di Giuda. Il codice contiene anche altri tre scritti gnostici. Con questa nuova scoperta possiamo sapere che il Vangelo di Giuda raccoglie una supposta rivelazione di Gesù a Giuda Iscariota “tre giorni prima che si celebrasse la Pasqua”. Come nel caso del Vangelo di Maria (si veda la domanda corrispondente), si tratta di una opera carente di qualsiasi contenuto storico, che utilizza il nome di Giuda per trasmettere insegnamenti occulti agli iniziati della setta. Dopo aver menzionato che Gesù sviluppava il suo ministero terreno facendo miracoli e mostrandosi a volte di fronte ai suoi discepoli nella forma di un bambino, narra un dialogo fra Gesù e i suoi discepoli. Gesù ride di quello che fanno (dare grazie sopra il pane) e quelli si arrabbiano. Giuda è l’unico che reagisce bene di fronte a a quello che Gesù chiede e questi gli dice: “Io so chi sei e da dove vieni. Tu vieni dal regno di Barbelo e io non sono degno di pronunciare il nome di chi ti ha inviato” (Barbelo è la prima emanazione di Dio nelle cosmogonie gnostiche di tipo setiano). Seguono altri incontri e dialoghi dei discepoli e di Giuda con Gesù in cui si trattano complicate questioni cosmiche, e quasi alla fine si narra come Gesù dice a Giuda: “Tu supererai tutti, giacché tu sacrificherai l’uomo di cui sono rivestito”. Lo scritto termina dicendo che Giuda ricette denaro dagli scribi e lo consegnò a Gesù.
Questo nuovo testo ha valore per le nostre conoscenze dello gnosticismo del secolo II, ma, da un punto di vista storico, non apporta niente su Gesù e i suoi discepoli rispetto a quanto sappiamo dai vangeli. Soprattutto, questo manoscritto – come gli altri che sono stati scoperti nel secolo passato – conferma la veracità delle informazioni che Ireneo, Epifanio e altri scrittori antichi ci trasmisero sui gruppi gnostici.
47. Chi fu Costantino?
Flavio Valerio Aurelio Costantino (272-337), conosciuto come Costantino I o Costantino il Grande, fu imperatore dell’Impero Romano dall’anno 306 al 337. È passato alla storia come il primo imperatore cristiano.
Era figlio di un ufficiale greco, Costanzo Cloro, che nell’anno 305 fu nominato Augusto al posto di Galerio, e di una donna che arriverà ad essere santa, Elena. Alla morte di Costanzo Cloro, nel 306, Costantino è acclamato imperatore dalle truppe locali, in mezzo a una difficile situazione politica, aggravata dalle tensioni con l’antico imperatore, Massimiano, e suo figlio Massenzio. Costantino sconfisse prima Massimiano nel 310 e poi Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio, il 28 ottobre del 312. Una tradizione afferma che Costantino prima della battaglia ebbe una visione. Guardando il sole, a cui come pagano dava culto, vide una croce e ordinò che i suoi soldati ponessero sugli scudi il monogramma di Cristo (le due prime lettere del nome greco sovrapposte). Sebbene continuasse a praticare riti pagani, a partire da questa vittoria si mostrò favorevole ai cristiani. Con Licinio, imperatore in oriente, promulgò il cosiddetto “editto di Milano” (vedere la domanda seguente) favorendo la libertà di culto. Più tardi i due imperatori si affrontarono, e nell’anno 324 Costantino sconfisse Licinio e divenne l’unico Augusto dell’impero.
Costantino portò a compimento numerose riforme di tipo amministrativo, militare ed economico, ma si distinse soprattutto per le disposizioni politico-religiose, in primo luogo quelle che avviarono la cristianizzazione dell’impero. Promosse strutture adeguate per conservare l’unità della Chiesa, come modo di preservare l’unità dello Stato e legittimare la sua configurazione monarchica, e non sono da escludere altre motivazioni religiose di tipo personale. Insieme a disposizioni amministrative ecclesiastiche, prese misure contro eresie e scismi. Per difendere l’unità della Chiesa lottò contro lo scisma causato dai donatisti nel nord Africa e convocò il Concilio di Nicea (vedere la domanda Che successe nel Concilio di Nicea?) per risolvere la controversia trinitaria originata da Ario. Nel 330 spostò la capitale dell’impero romano a Bisanzio, che chiamò Costantinopoli, decisione che fu una rottura con la tradizione. Come capitava spesso in quei tempi, non fu battezzato, ed entrò nella Chiesa poco prima di morire. Lo battezzò Eusebio di Nicomedia, vescovo di tendenza ariana.
Sebbene il suo mandato non sia esente da pecche, (i suoi contemporanei hanno parlato ad esempio del suo carattere capriccioso e violento), non si può negare il risultato di aver dato libertà alla Chiesa e favorito la sua unità. Non è, invece, storicamente certo che per favorire l’unità Costantino abbia determinato il numero dei libri che doveva avere la Bibbia. In questo lungo processo, che terminò molto più tardi, i quattro vangeli erano già da molto tempo gli unici che la Chiesa riconosceva come veri. Gli altri “vangeli” non furono soppressi da Costantino, giacché erano stati liquidati come eretici decine di anni prima.
48. Cosa fu l’Editto di Milano?
All’inizio del secolo IV, i cristiani furono un’altra volta terribilmente perseguitati. L’imperatore Diocleziano, insieme a Galerio, scatenò nell’anno 303 quella che si conosce come la “grande persecuzione”, nell’intento di restaurare l’unità dell’impero, minacciata a suo parere dall’incessante crescita del cristianesimo. Fra le altre cose ordinò che fossero demolite le chiese dei cristiani, bruciate le copie della Bibbia, condannate a morte le autorità ecclesiastiche, privati tutti i cristiani delle cariche pubbliche e dei diritti civili, fatti sacrifici agli dei sotto pena di morte, ecc. Di fronte alla inefficacia che ebbero queste misure per eliminare il cristianesimo, Galerio, per motivi di clemenza e di opportunità politica, promulgò il 30 aprile del 311 un decreto di indulgenza, per cui cessavano le persecuzioni anticristiane. Si riconosceva ai cristiani personalità giuridica, e libertà per celebrare riunioni e costruire templi.
Frattanto, Costantino era stato eletto imperatore in occidente. Dopo la sconfitta di Massenzio nel 312, nel mese di febbraio dell’anno seguente si riunì a Milano con l’imperatore di oriente, Licinio. Fra le altre cose trattarono il problema dei cristiani e convennero di pubblicare nuove disposizioni in loro favore. Il risultato di questo incontro è quello che si conosce come “Editto di Milano”, sebbene probabilmente non è esistito un editto promulgato a Milano dai due imperatori. Quello concordato lì lo conosciamo dall’editto pubblicato da Licinio per la parte orientale dell’Impero. Il testo ci è arrivato da una lettera scritta nel 313 ai governatori provinciali, che raccolgono Eusebio di Cesarea (Historia ecclesiastica 10,5) e Lattanzio (De mortibus persecutorum 48). Nella prima parte si stabilisce il principio di libertà di religione per tutti i cittadini e, come conseguenza, si riconosce esplicitamente ai cristiani il diritto a godere di questa libertà. L’editto permetteva di praticare la propria religione non solo ai cristiani, ma a tutti, qualsiasi fosse il loro culto. Nella seconda parte decreta di restituire ai cristiani i loro antichi luoghi di riunione e culto, così come altre proprietà, che erano state confiscate dalle autorità romane e vendute a privati nella passata persecuzione.
Lontano dall’attribuire al cristianesimo un luogo preminente, l’editto sembra piuttosto voler conseguire la benevolenza della divinità in tutte le forme che si presentasse, in consonanza col sincretismo che allora praticava Costantino, che, malgrado favorisse la Chiesa, continuò per un certo tempo a dare culto al Sole Invitto. In ogni caso, il paganesimo cessò di essere la religione ufficiale dell’Impero e l’editto permise che i cristiani godessero degli stessi diritti degli altri cittadini. Da questo momento, la Chiesa passò a essere una religione lecita e a ricevere riconoscimento giuridico da parte dell’Impero, che permise una rapida fioritura.
49. Cosa successe al Concilio di Nicea?
Il Concilio I di Nicea è il primo Concilio Ecumenico, cioè a dire, universale, in quanto parteciparono vescovi di tutte le regioni dove ci fossero cristiani. Ebbe luogo quando la Chiesa poté godere di una pace stabile e disponeva di libertà per riunirsi apertamente. Si svolse dal 20 maggio al 25 luglio dell’anno 325. Ad esso parteciparono alcuni vescovi che avevano nei loro corpi i segni dei castighi che avevano sofferto per mantenersi fedeli alle persecuzioni passate, che ancora erano molto recenti.
L’imperatore Costantino, che all’epoca non si era ancora battezzato, facilitò la partecipazione dei vescovi, mettendo a loro disposizione i servizi delle poste imperiali perché facessero il viaggio, e offrendo loro ospitalità a Nicea di Bitinia, vicino alla sua residenza di Nicomedia. Di fatto, considerò molto opportuna questa riunione, giacché dopo aver ottenuto con la sua vittoria contro Licinio nell’anno 324 la riunificazione dell’Impero, desiderava anche vedere unita la Chiesa, che in quei momenti era scossa dalla predicazione di Ario, un sacerdote che negava la vera divinità di Gesù Cristo. Dall’anno 318 Ario si era opposto al suo vescovo Alessandro di Alessandria, e fu scomunicato in un sinodo di tutti i vescovi d’Egitto. Ario fuggì e andò a Nicomedia, presso il vescovo Eusebio, suo amico.
Fra i Padri Conciliari si contavano le figure ecclesiastiche più rilevanti del momento. C’era Osio, vescovo di Cordova, che probabilmente presiedette le sessioni. Erano presenti anche Alessandro di Alessandria, assistito dall’allora diacono Atanasio, Marcello di Ancira, Macario di Gerusalemme, Leoncio di Cesarea di Cappadocia, Eustachio di Antiochia, Spiridione di Trimitonte e alcuni presbiteri in rappresentanza del Vescovo di Roma, che non poté assistere a causa della sua avanzata età. Non mancarono neanche i sostenitori di Ario, come Eusebio di Cesarea, Eusebio di Nicomedia e altri ancora. In totale i vescovi partecipanti furono circa trecento.
I sostenitori di Ario, che contavano anche delle simpatie dell’imperatore Costantino, pensavano che al momento di esporre i loro punti di vista la assemblea avrebbe dato loro ragione. Tuttavia, quando Eusebio di Nicomedia prese la parola per dire che Gesù Cristo non era che una creatura, sebbene molto eccelsa ed eminente, e che non era di natura divina, la immensa maggioranza degli assistenti notarono subito che questa dottrina tradiva la fede ricevuta dagli Apostoli. Per evitare così gravi confusioni i Padri Conciliari decisero di redigere, sulla base del credo battesimale della Chiesa di Cesarea, un simbolo di fede che riflettesse in modo sintetico e chiaro la confessione genuina della fede ricevuta e ammessa dai cristiani dalle origini. Si dice in esso che Gesù Cristo è “della sostanza del Padre, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, homoousios tou Patrou (consustanziale al Padre)”. Tutti i Padri Conciliari, eccetto due vescovi, ratificarono questo credo, il Simbolo Niceno, il 19 giugno dell’anno 325.
Oltre a questa fondamentale questione, a Nicea si fissò la celebrazione della Pasqua nella prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera, seguendo la prassi abituale della Chiesa di Roma, e molte altre cose. Furono pure trattate alcune questioni disciplinari di minore importanza, relative al funzionamento interno della Chiesa.
Per quello che si riferisce al tema più importante, la crisi ariana, poco tempo dopo Eusebio di Nicomedia contando con l’aiuto di Costantino ottenne di tornare alla sua sede, e lo stesso imperatore ordinò al vescovo di Costantinopoli che ammettesse Ario alla comunione. Frattanto, dopo la morte di Alessandro, Atanasio era subentrato all’episcopato in Alessandria. Fu una delle maggiori figure della Chiesa in tutto il secolo IV, e difese con grande altezza intellettuale la fede di Nicea, ma proprio per questo fu inviato in esilio dall’imperatore.
Lo storico Eusebio da Cesarea, anche lui vicino alla tesi ariana, esagera nei suoi scritti l’influenza di Costantino nel Concilio di Nicea. Se si disponesse soltanto di questa fonte, si potrebbe pensare che l’imperatore, oltre al pronunciare alcune parole di saluto all’inizio delle sessioni, fu protagonista della riconciliazione degli avversari e della restaurazione della concordia, imponendosi anche nelle questioni dottrinali al di sopra dei vescovi che partecipavano al Concilio. Si tratta di una versione distorta della realtà.
Seguendo tutte le fonti disponibili si può dire, certamente, che Costantino propiziò la celebrazione del Concilio di Nicea e influì nel fatto della sua celebrazione, prestando tutto il suo appoggio. Tuttavia, lo studio dei documenti mostra che l’imperatore non influì nella formulazione della fede che si fece nel Credo, perché non aveva capacità teologica per dominare le questioni che lì si dibattevano.
50. Chi erano gli evangelisti?
I vangeli sono importanti perché ci trasmettono la predicazione degli Apostoli, e perché gli evangelisti furono o Apostoli o uomini apostolici (cfr Dei Verbum, n.19). Con ciò si rende giustizia a quanto ricevuto dalla tradizione: gli autori dei vangeli sono Matteo, Giovanni, Luca e Marco. Di questi, i primi due figurano nella lista dei dodici Apostoli (Mt 10,2-4 e paralleli) e gli altri due figurano come discepoli di San Paolo e San Pietro, rispettivamente. La ricerca moderna, nell’analizzare criticamente questa tradizione, non vede grandi difficoltà nell’attribuire a Marco e a Luca i loro rispettivi vangeli; invece, è più critica riguardo alla paternità di Matteo e di Giovanni. Viene affermato che queste attribuzioni mettono in risalto che gli scritti provengono dalla tradizione apostolica, a prescindere dal fatto che furono proprio i due apostoli a scrivere il testo.
Quello che è importante, pertanto, non è la persona concreta che ha scritto il vangelo ma l’autorità apostolica che era dietro ad ognuno di essi. A metà del II secolo, San Giustino parla delle “memorie degli apostoli o vangeli” (Apologia, 1,66,3) che si leggevano nella riunione liturgica. Da questo fatto si arriva a due conclusioni: l’origine apostolica di questi scritti e che essi venivano conservati per essere letti pubblicamente. Un po’ dopo, nello stesso II secolo, altri scrittori già ci dicono che i vangeli apostolici erano quattro e solo quattro. Così Origene: “La Chiesa ha quattro vangeli, gli eretici moltissimi, fra essi uno che è stato scritto secondo gli egizi, altri secondo i dodici apostoli. Basilide si azzardò a scrivere un vangelo e metterlo sotto il suo nome (…). Conosco un certo vangelo che si chiama secondo Tommaso e secondo Mattia; e leggiamo molti altri” (Hom. I in Luc, PG 13,1802).
Espressioni simili si trovano in Sant’Ireneo che, inoltre, aggiunge: “Il Verbo autore dell’Universo, che è seduto sopra i cherubini e che tutto regge, una volta manifestato agli uomini, ci ha dato il vangelo quadriforme, vangelo che è mantenuto, ciò nonostante, da un solo Spirito” (Contro le eresie, 3,2,8-9).
Questa espressione – vangelo quadriforme – mette in evidenza una cosa molto importante: Il vangelo è uno, però la forma è quadrupla. La stessa idea si esprime nei titoli dei vangeli: i loro autori non vengono indicati, come altri scritti dell’epoca, con il genitivo di origine (“Vangelo di…”) ma con la espressione kata (“vangelo secondo …”). In questa forma, si segnala che il vangelo è uno, quello di Gesù, ma testimoniato da quattro forme che vengono dagli apostoli e discepoli degli apostoli. Si segnala così anche la pluralità nell’unità.