Abbattere i muri delle divisioni
Commento al Salmo 66
Autore: San Giovanni Paolo II
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. «La terra ha dato il suo frutto», esclama il Salmo che ora abbiamo proclamato, il 66, uno dei testi inseriti nella Liturgia dei Vespri. La frase ci fa pensare a un inno di ringraziamento rivolto al Creatore per i doni della terra, segno della benedizione divina. Ma questo elemento naturale è intimamente intrecciato con quello storico: i frutti della natura vengono assunti come occasione per chiedere ripetutamente che Dio benedica il suo popolo (cfr vv. 2.7.8.), così che tutte le nazioni della terra si rivolgano a Israele, cercando per suo tramite di raggiungere il Dio Salvatore.
Si ha, quindi, nella composizione una prospettiva universale e missionaria, sulla scia della promessa divina fatta ad Abramo: «In te si diranno benedette tutte le nazioni della terra» (Gn 12,3; cfr 18,18; 28,14).
2. La benedizione divina richiesta per Israele si manifesta concretamente nella fertilità dei campi e nella fecondità, ossia nel dono della vita. Perciò il Salmo si apre con un versetto (cfr Sal 66,2), che rimanda alla celebre benedizione sacerdotale riferita nel Libro dei Numeri: «Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda la pace» (Nm 6,24-26).
Il tema della benedizione riecheggia nel finale del Salmo, ove riappaiono i frutti della terra (cfr Sal 66,7-8). Ma là s’incontra quel tema universalistico che conferisce alla sostanza spirituale di tutto l’inno una sorprendente ampiezza di orizzonti. È un’apertura che riflette la sensibilità di un Israele ormai pronto a confrontarsi con tutti i popoli della terra. La composizione del Salmo è forse da collocarsi dopo l’esperienza dell’esilio babilonese, quando il popolo ha ormai iniziato la vicenda della Diaspora tra nazioni straniere e in nuove regioni.
3. Grazie alla benedizione implorata da Israele, tutta l’umanità potrà conoscere «la via» e «la salvezza» del Signore (cfr v. 3), cioè il suo progetto salvifico. A tutte le culture e a tutte le società viene rivelato che Dio giudica e governa i popoli e le nazioni di ogni parte della terra, conducendo ciascuno verso orizzonti di giustizia e di pace (cfr v. 5).
È il grande ideale verso cui siamo protesi, è l’annunzio più coinvolgente che sboccia dal Salmo 66 e da tante pagine profetiche (cfr Is 2,1-5; 60,1-22; Gio 4,1-11; Sof 3,9-10; Ml 1,11).
E questa sarà anche la proclamazione cristiana, che san Paolo delineerà ricordando che la salvezza di tutti i popoli è il cuore del «mistero», ossia del disegno salvifico divino: «I gentili sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3,6).
4. Ormai Israele può chiedere a Dio che tutte le nazioni siano coinvolte nella sua lode; sarà un coro universale: «Ti lodino i popoli, Dio, ti lodino i popoli tutti», si ripete nel Salmo (cfr Sal 66,4.6).
L’auspicio del Salmo prelude all’evento descritto dalla Lettera agli Efesini quando allude forse al muro di separazione che nel tempio di Gerusalemme teneva distinti gli ebrei dai pagani: «In Cristo Gesù voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al Sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia… Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,13-14.19).
Ne consegue un messaggio per noi: dobbiamo abbattere i muri delle divisioni, dell’ostilità e dell’odio, perché la famiglia dei figli di Dio si ritrovi in armonia all’unica mensa, a benedire e a lodare il Creatore per i doni che egli elargisce a tutti, senza distinzioni (cfr Mt 5,43-48).
5. La tradizione cristiana ha riletto il Salmo 66 in chiave cristologica e mariologica. Per i Padri della Chiesa «la terra che ha dato il suo frutto» è la vergine Maria che dà alla luce Cristo Signore.
Così, ad esempio, san Gregorio Magno nell’Esposizione sul primo libro dei Re commenta questo versetto, intersecandolo con molti altri passi della Scrittura: «Maria è giustamente detta ‘monte ricco di frutti’, perché da lei è nato un ottimo frutto, cioè un uomo nuovo. E il profeta, guardandola bella e adorna nella gloria della sua fecondità, esclama: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici” (Is 11,1). Davide, esultando per il frutto di questo monte, dice a Dio: “Ti lodino i popoli, Dio, ti lodino i popoli tutti. La terra ha dato il suo frutto”. Sì, la terra ha dato il suo frutto, perché colui che la Vergine ha generato non l’ha concepito per opera dell’uomo, ma perché lo Spirito Santo ha disteso su di lei la sua ombra. Perciò il Signore al re e profeta Davide dice: “Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono” (Sal 131,11). Perciò Isaia afferma: “E il frutto della terra sarà sublime” (Is 4,2). Infatti, colui che la Vergine ha generato non è stato solamente ‘uomo santo’, ma anche ‘Dio potente’ (Is 9,5)» (Testi mariani del primo millennio, III, Roma 1990, p. 625).