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Affrontare la malattia con fede : essa “non è per la morte, ma per la gloria di Dio”

Dalle lettere ai laici di San Paolo della Croce

Autore: San Paolo della Croce

ALDOBRANDINI MARIA.1 Ischia di Castro. (n. 1)

  1. Angelo – Vetralla, 23 dicembre 1756. (Originale Carmelitane Vetralla)2

 

Paolo la incoraggia a sopportare con spirito di fede la malattia che l’ha colpita, sapendo che essa “non è per la morte, ma per la gloria di Dio” e avendo ferma fiducia che riacquisterà una guarigione piena. “Ora però è tempo di sofferenza e di rassegnazione, giacché il Signore per mezzo di tale infermità le purifica lo spirito ed anche il corpo, acciò purificato sia un vivo tempio dello Spirito Santo”. Si congratula con lei che ha fatto voto di diventare religiosa, riservandosi di indicarle a suo tempo un monastero adatto. Fin d’ora deve però comportarsi da “diletta sposa” del Re dei re, procurando di ornarsi di molte virtù, che sono i veri gioielli che “piacciono allo Sposo Divino, e specialmente l’umiltà di cuore, la cognizione del suo proprio niente, la modestia di giorno e di notte, con gran custodia dei sentimenti, massime degli occhi e della lingua, essere assidua nell’orazione, e farsi il suo oratorio nell’interno, portandoci sempre esposto sull’altare del cuore il dolce Gesù per ardere sempre del suo S. Amore”. Per avviare bene il suo cammino spirituale è necessario che “Lei si abbandoni nel Seno Ss.mo di Gesù come una bambina, e gli chieda in grazia che l’ammaestri nella via della santa perfezione e le insegni a fare orazione” e il Signore, da buon Maestro, “gliela insegnerà”.

 

L’Amor purissimo di Gesù e di Maria Ss.ma sia sempre nel suo cuore. Amen.

 

Con mia edificazione ho letta ier sera la divota Sua lettera; e da tal lettera rilevo sempre più la veracità del sentimento che m’ha dato il Signore in ordine alla di Lei malattia, la quale è stata di suo gran profitto; e ben ho potuto dire: infirmitas haec non est ad mortem, sed ut glorificetur Deus ecc. 3

Or bene, benediciamo l’Altissimo dell’infinite Sue Misericordie, per cantarle poi in eterno nel Cielo, come spero.

Io son tornato poco fa da due vicine città, dove ho dati gli Esercizi Spirituali in forma di Missione, in occasione del Giubileo,4 e mi sento non poco abbattuto di forze, ed in poca salute: onde rispondo in succinto, per non aggravarmi di più la testa.

Sig.ra Maria, Lei non puol credere di quanta consolazione mi siano stati i sentimenti, che m’esprime, ed io spero di cooperarvi a maggior Gloria di Dio; e giacché Lei ha fatto Voto di rendersi Religiosa in quel Monastero, che io dirò, così non mancherò di esclamare al Signore, acciò mi dia tal lume, sebbene spero d’averlo sin d’ora, ma non mi fido di esprimerlo in carta per adesso, riservandomi di farlo, quando mi si renderà più chiaro, ed allora o lo scriverò, o verrò io in persona; e se la Misericordia di Dio lo fa riuscire, Lei sarà un grand’Istromento della Sua Gloria, e il Signore

 

la farà santa: tenga nel suo cuore quest’espressione che fo, ed intanto preghi Sua Divina Maestà che apra la via, e la renda disposta per ricevere una grazia tanto segnalata.

Ora che Lei ha fatto un tal Voto di Religione, il quale non puol essere dispensato se non dal Papa, deve rimirarsi come persona consacrata a Dio, e tutta sacra: onde deve dar bando ad ogni pompa, tanto nel vestire che in ogni suo andamento. Il Re dei Regi l’ha di già accettata per Sua diletta Sposa: onde deve ornarsi di ogni virtù, che sono le gioie che piacciono allo Sposo Divino, e specialmente l’umiltà di cuore, la cognizione del suo proprio niente, la modestia di giorno e di notte, con gran custodia dei sentimenti, massime degli occhi e della lingua: essere assidua nell’orazione, e farsi il suo oratorio nell’interno, portandovi sempre esposto sull’altare del cuore il dolce Gesù, per ardere sempre del Suo Santo Amore.

Non ho altro tempo: Lei s’abbandoni nel Seno Ss.mo di Gesù come una bambina, e gli chieda in grazia che l’ammaestri nella via della S. Perfezione, e gl’insegni a fare orazione; e stia certa, che gliela insegnerà.

Le buone Feste gliele darò dal Sacro Altare nella prossima Sacratissima Notte, e porrò il di Lei cuore nelle mani di Maria Ss.ma, acciò lo innaffi col purissimo suo latte, e lo tenga nascosto fra le fasce del Divino Infante Gesù. Lo stesso farò per la piissima Sua Sig.ra Madre e per tutta Sua Casa, ed anche per codeste buone Religiose: e racchiudendogli tutte nel Cuore purissimo di Gesù, e specialmente il di Lei spirito, le prego dal Signore copiose benedizioni.

Mi sono scordato di dirle, che per la sua sanità5 stia sicura, che S. D. M. gliela concederà perfetta, ed il giorno del Ss.mo Natale le darò una benedizione di qui. Ora però è tempo di sofferenza, e di rassegnazione, giacché il Signore per mezzo di tal’infermità gli purifica e lo spirito, ed anche il corpo, acciò purificato sia un vivo Tempio dello Spirito Santo. Lei m’intenda: e stia contenta in Dio, che Lei ha gli più chiari segni del Ss.mo Suo Amore, ed un giorno Lei mi confesserà con gran giubilo del suo cuore la sua gran sorte.

Vetralla Ritiro di S. Angelo ai 23 dicembre 1756

Ind.mo Servitore Paolo della Croce

Note alla lettera 1

 

  1. La lettera nell’originale porta questo indirizzo: “All’Ill.ma Sig.ra Sig.ra P.rona Oss.ma La ra Maria Aldobrandini educanda nel monastero di Valentano per Ischia”. Della destinataria, la Sig.na Maria Aldobrandini, definita nell’indirizzo come “educanda”, non ci sono pervenute altre notizie, se non quelle offerte dalle due lettere che Paolo le scrisse a distanza di 18 anni l’una dall’altra. Diversamente dall’informazione fornita in: Casetti III, p.

 

430, nota 1, l’originale riporta bene la località di destinazione: Ischia, cioè Ischia di Castro (VT), come la seconda lettera. Ischia era il suo paese di origine (cf. lettera n. 74, nota 3). Quando Paolo giunse la prima volta a Roma, il 22 settembre 1721 (cf. lettera n. 139, nota 5), la città non contava che 140 mila abitanti circa, ma era di uno splendore unico per i palazzi dei Barberini, dei Rospigliosi, degli Albani ecc., posti sui colli, e per le sontuose ville dei Ludovisi, degli Aldobrandini, dei Borghesi, dei Medici, dei Patrizi, dei Negroni e di altri. Non sappiamo se la Sig.na Maria era parente della nobile famiglia degli Aldobrandini di Roma, comunque da tutto l’insieme sembra che una certa nobiltà e agiatezza l’abbia avuta. In questa lettera ci viene detto che aveva deciso di farsi religiosa, ma non sapeva ancora dove, forse a motivo della scarsa salute. Come educanda si trovava a Valentano (VT), nel monastero del Ss.mo Rosario, fondato dalla venerabile Maria Geltrude Salandri, con la Regola domenicana, ma che per lei evidentemente era troppo rigida. Dal modo di esprimersi piuttosto cautelativo sembrerebbe quasi che Paolo volesse riservare la Sig.na Aldobrandini per l’eventuale fondazione del monastero passionista, già dal mese di aprile di quell’anno oggetto di consultazione e decisione (cf. lettera n. 104, nota 4).

  1. L’originale di questa lettera, scoperto dopo varie ricerche, si trova presso le monache Carmelitane del monastero Monte Carmelo di Vetralla (VT). Il testo che qui riportiamo è stato rivisto in base all’originale, in alcuni dettagli diverso da quello riportato nella edizione precedente, conforme a copia (cf. Casetti III, pp. 430-432).
  2. Letteralmente: “Questa malattia non è per la morte, ma perché Dio venga glorificato”. Cf. Gv 11, 4: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”.
  3. “Io sono tornato poco fa da due vicine città, dove ho dati gli Esercizi Spirituali in forma di Missione in occasione del Giubileo”. Nei mesi di settembre e di ottobre 1756 Paolo fece una grande “campagna missionaria” in Sabina. Ritornò al Ritiro di S. Angelo il 31 ottobre, dove trovò una lettera da Castellazzo Bòrmida (AL) con la notizia della morte della sorella Paolo, il 2 novembre, nella lettera di condoglianze al fratello Giuseppe Danei, tra l’altro dice: “Noi partiamo di nuovo sabato per le Missioni” (cf. lettera n. 142). Sabato era il 6 novembre. Paolo con P. Giovan Battista dal 6 novembre in poi tenne a Campagnano (Roma) una Missione a quanto pare regolare di 15 giorni, terminandola quindi il 21 novembre 1756 (cf. G. A. De Sanctis, L’Avventura Carismatica di S. Paolo della Croce , Roma 1975, pp. 586-588). Non sembra che Paolo con la frase “Io sono tornato poco fa da due vicine città, dove ho dati gli Esercizi Spirituali in forma di Missione” si riferisca anche alla Missione di Campagnano, ma piuttosto ad altre due da individuare meglio. Tenendo presente che a metà dicembre era già di ritorno in Ritiro, come ci è confermato dalla seconda lettera di condoglianze scritta a suo nome dal P. Giovan Battista al fratello Giuseppe il 17 dicembre dal

 

Ritiro della Madonna del Cerro, presso Tuscania (VT), e che qui Paolo si fermò pochi giorni, come ci è testimoniato dalla presente lettera scritta il 23 dicembre dal Ritiro di S. Angelo di Vetralla, le due Missioni di 8 giorni, sotto forma di Esercizi Spirituali pubblici a tutta la popolazione, a “due vicine città in occasione del Giubileo”, sono pertanto da collocare prima di quella data, subito dopo la Missione di Campagnano. Il “Giubileo” di cui parla, con ogni probabilità era qualche iniziativa circoscritta, d’indole diocesana. Secondo la tradizione, Paolo con il fratello tenne le due brevi Missioni a Sacrofano e a Formello, in provincia di Roma e diocesi di Sutri e Nepi (VT), paesi abbastanza grossi, che contavano già allora ciascuno poco meno di 2000 abitanti (cf. Zoffoli I, p. 1006, nota 31). Questa indicazione può avere il suo valore, anche se per gli storici resta alquanto discutibile. Paolo nella lettera che fece scrivere all’arciprete di Nepi, don Giorgio Melata, durante la Missione di Cantalupo in Sabina (RI) il 20 settembre 1756 evidentemente non prevedeva che la campagna missionaria in Sabina si sarebbe prolungata fino alla fine di ottobre (cf. lettera n. 143), perché in essa lo prega non solo di rassicurare il parroco di Campagnano di Roma don Mariani che non mancherà di offrirgli il servizio della Missione dopo i Santi, ma gli chiede anche di informare il Vicario generale che verso il 25 ottobre intende tenerne un’altra o a Sacrofano o a Formello oppure meglio ancora, come scrive di propria mano nel poscritto, “se l’aria non fosse nociva”, a Magliano Romano, per la sua vicinanza a Campagnano (cf. Lettere di S. Paolo della Croce, a cura di Amedeo Casetti, vol. III, Roma 1924, p. 316). Paolo afferma di aver tenuto le Missioni in due cittadine poco lontane dal luogo da dove scrive la lettera, ma non è noto se in due dei tre paesi nominati oppure in altri nei dintorni di S. Angelo di Vetralla, o addirittura in due paesi nei dintorni di Tuscania, perché ammesso pure che avesse tenuto le Missioni a Sacrofano e Formello non si capisce poi il motivo per cui non si sia recato subito a S. Angelo, ma abbia preferito raggiungere il Ritiro della Madonna del Cerro, allungando di parecchio la strada del ritorno, se non lo scopo delle Missioni, per esempio a Canino (cf. lettera n. 118, nota 2) e ad Ischia di Castro, patria della Sig.na Aldobrandini, o forse meglio per essere pronto per la Missione di Tuscania, prevista per l’inverno, ma rimandata poi di qualche mese (cf. lettera n. 309, nota 3). L’ipotesi più probabile resta comunque quella della tradizione, cioè di collocare le due Missioni a Sacrofano e a Formello.

  1. L’edizione precedente (cf. Casetti III, pp. 430-432) riportava: “Mi sono scordato di dirle che per la vita e salute sia sicura”. L’originale ha invece solo: “Mi sono scordato di dirle, che per la sua sanità stia sicura”.
  2. Il nome di battesimo di san Paolo della Croce era Paolo Francesco. Non iniziò a chiamarsi Paolo della Croce subito a partire dal 22 novembre 1720, cioè dal giorno in cui prese l’abito di penitenza, ma più tardi. La scelta di firmarsi Paolo della Croce è frutto di una maturazione Secondo il P. Domenico Ferreri di S. Antonio, che fu suo segretario negli ultimi

 

anni di sua vita, egli volle chiamarsi e firmarsi Paolo della Croce per l’amore che portava alla Passione di Gesù Cristo. Lo afferma nella sua deposizione al Processo Ordinario di Roma, così: “Per l’amor grande che aveva al patire per amor di Dio, e di essere partecipe delle pene del Redentore, volle chiamarsi Paolo della Croce” (cf. I Processi di beatificazione e canonizzazione di S. Paolo della Croce. Vol. IV, parte seconda, Testimonianze del processo informativo di Roma, a cura di Gaetano Raponi dell’Addolorata, Roma 1979, p. 71; Zoffoli II, p. 1273).

 

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