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Amare il mondo appassionatamente I

Parte I

Autore: San Josemaría Escrivá

“Amare il mondo appassionatamente”
113. Avete or ora ascoltato la lettura solenne dei due brani della Sacra Scrittura corrispondenti alla Messa della domenica XXI dopo Pentecoste. Il fatto di aver ascoltato la parola di Dio vi colloca di già nell’ambito in cui vogliono situarsi le parole che ora vi rivolgo: parole di sacerdote, pronunciate di fronte a una grande famiglia di figli di Dio nella sua Santa Chiesa. Parole, quindi, che vogliono essere soprannaturali, e proclamare la grandezza di Dio e le sue misericordie verso gli uomini: parole che vi preparino a questa impressionante Eucaristia che oggi celebriamo nel “campus” dell’Università di Navarra.
Considerate un momento la circostanza cui accennavo. Celebriamo la Sacra Eucaristia, il sacrificio sacramentale del Corpo e del Sangue del Signore, il mistero di fede che riassume in sé tutti i misteri del cristianesimo. Celebriamo, pertanto, l’azione più sacra e trascendente che noi uomini possiamo realizzare, per grazia di Dio, in questa vita: unirci in comunione con il Corpo e il Sangue del Signore, viene ad essere per noi, in un certo senso, come scioglierci dai legami di terra e di tempo per trovarci di già con Dio nel Cielo, là dove Cristo stesso asciugherà le lacrime dei nostri occhi e dove non ci sarà morte, né pianto, né gemiti di fatica, perché il mondo vecchio sarà ormai passato .
Questa verità così consolante e profonda, questo significato escatologico dell’Eucaristia, come usano dire i teologi potrebbe però essere frainteso: e lo è stato ogniqualvolta si è voluto presentare la vita cristiana come qualcosa di esclusivamente “spirituale” – spiritualista, voglio dire -, riservato a gente “pura”, eccezionale, che non si mescola alle cose spregevoli di questo mondo, o tutt’al più le tollera come una cosa a cui lo spirito è necessariamente giustapposto, finché viviamo sulla terra.
Quando si ha questa visione delle cose, il tempio diventa il luogo per antonomasia della vita cristiana; essere cristiano vuol dire allora andare nel tempio, partecipare alle cerimonie sacre, abbarbicarsi a una sociologia ecclesiastica, in una specie di “mondo” a parte, che si spaccia per l’anticamera del Cielo, mentre il mondo comune va per la sua strada. La dottrina del cristianesimo, la vita della grazia, passerebbero dunque, appena sfiorando l’agitato procedere della storia umana, senza entrare in contatto con esso.
In questa mattina di ottobre, nel momento in cui ci disponiamo ad addentrarci nel memoriale della Pasqua del Signore, rispondiamo con un semplice no a questa visione distorta del cristianesimo. Pensate un momento alla cornice della nostra Eucaristia, della nostra Azione di Grazie: ci troviamo in un tempio singolare; si potrebbe dire che la navata è il “campus” universitario, la pala d’altare è la biblioteca dell’Università; attorno ci sono le gru per la costruzione dei nuovi edifici; e, sopra di noi, il cielo di Navarra…
Non è forse vero che questo sguardo a ciò che abbiamo intorno vi conferma – con un’immagine viva e indimenticabile – che è la vita ordinaria il vero “luogo” della vostra esistenza cristiana? Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. È in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini.
114. Ho insegnato incessantemente, con parole della Sacra Scrittura, che il mondo non è cattivo: perché è uscito dalle mani di Dio, perché è creatura sua, perché Jahvè lo guardò e vide che era buono . Siamo noi uomini a renderlo cattivo e brutto, con i nostri peccati e le nostre infedeltà. Siatene pur certi, figli miei: qualsiasi specie di evasione dalle realtà oneste di tutti i giorni significa per voi uomini e donne del mondo, il contrario della volontà di Dio.
Dovete invece comprendere adesso – con una luce tutta nuova – che Dio vi chiama per servirlo “nei” compiti e “attraverso” i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un’università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c’è “un qualcosa” di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire.
A quegli universitari e a quegli operai che mi seguivano verso gli anni trenta, io solevo dire che dovevano saper “materializzare” la vita spirituale. Volevo allontanarli in questo modo dalla tentazione – così frequente allora, e anche oggi – di condurre una specie di doppia vita: da una parte, la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall’altra, come una cosa diversa e separata, la vita famigliare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene.
No, figli miei! Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli schizofrenici, se vogliamo essere cristiani: vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che dev’essere – nell’anima e nel corpo – santa e piena di Dio: questo Dio invisibile lo troviamo nelle cose più visibili e materiali.
Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai. Per questo vi posso dire che la nostra epoca ha bisogno di restituire alla materia e alle situazioni che sembrano più comuni, il loro nobile senso originario, metterle al servizio del Regno di Dio, spiritualizzarle, facendone mezzo e occasione del nostro incontro continuo con Gesù Cristo.
115. Il senso cristiano autentico – che professa la risurrezione della carne – si è sempre opposto, come è logico, alla “disincarnazione”, senza tema di essere tacciato di materialismo. È consentito, pertanto, parlare di un “materialismo cristiano”, che si oppone audacemente ai materialismi chiusi allo spirito.
Che cosa sono i sacramenti – orme dell’Incarnazione del Verbo, come dissero gli antichi – se non la manifestazione più evidente di questa strada che Dio ha scelto per santificarci e condurci al Cielo? Non vedete che ogni sacramento è l’amore di Dio, con tutta la sua forza creatrice e redentrice, che si dona a noi servendosi di mezzi materiali? Che cos’è questa Eucaristia – ormai imminente – se non il Corpo e il Sangue adorabili del nostro Redentore, che si offre a noi attraverso l’umile materia di questo mondo – vino e pane -, attraverso gli “elementi della natura, coltivati dall’uomo”, come l’ultimo Concilio ecumenico ha voluto ricordare?
Si comprende bene, figli miei, perché l’apostolo poteva scrivere: «Tutte le cose sono vostre, voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» . Si tratta di un moto ascensionale che lo Spirito Santo, diffuso nei nostri cuori, vuole provocare nel mondo: dalla terra, fino alla gloria del Signore. E perché non ci fosse dubbio che in questo moto si includeva pure ciò che sembra più prosaico, san Paolo scriveva anche: «Sia che mangiate, sia che beviate, fate tutto per la gloria di Dio» .
116. Questa dottrina della Sacra Scrittura, che si trova, come sapete, nel cuore stesso della spiritualità dell’Opus Dei, vi deve spingere a realizzare il vostro lavoro con perfezione, ad amare Dio e gli uomini facendo con amore le piccole cose della vostra giornata abituale, scoprendo quel “qualcosa di divino” che è nascosto nei particolari. Vengono a pennello, a questo proposito, i versi del poeta di Castiglia: «Pian pianino, con bella grafia: / ché fare le cose bene / vale più che farle» .
Vi assicuro, figli miei, che quando un cristiano compie con amore le attività quotidiane meno trascendenti, in esse trabocca la trascendenza di Dio. Per questo vi ho ripetuto, con ostinata insistenza, che la vocazione cristiana consiste nel trasformare in endecasillabi la prosa quotidiana. Il cielo e la terra, figli miei, sembra che si uniscano laggiù, sulla linea dell’orizzonte. E invece no, è nei vostri cuori che si fondono davvero, quando vivete santamente la vita ordinaria…
Vivere santamente la vita ordinaria, vi ho detto. E con queste parole mi riferisco a tutto il programma del vostro agire cristiano. Mettete dunque da parte i sogni, i falsi idealismi, le fantasticherie, tutto quell’atteggiamento che sono solito chiamare “mistica del magari” – magari non mi fossi sposato, magari non avessi questa professione, magari avessi più salute, magari fossi giovane, magari fossi vecchio!… -, e attenetevi piuttosto, con sobrietà, alla realtà più materiale e immediata, perché è proprio lì che si trova il Signore: «Guardate le mie mani e i miei piedi – dice Gesù risuscitato -, sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che ho io» .
Sono molti gli aspetti dell’ambiente secolare in cui vi muovete, che vengono a essere illuminati partendo da queste verità. Pensate, per esempio, alla vostra azione di cittadini nella vita civile. Un uomo consapevole che il mondo – e non solo il tempio – è il luogo del suo incontro con Cristo, ama questo mondo, si sforza di raggiungere una buona preparazione intellettuale e professionale, e va formando – in piena libertà – il proprio criterio sui problemi dell’ambiente in cui opera; e di conseguenza prende le sue decisioni che, essendo decisioni di un cristiano, sono anche frutto di una riflessione personale, umilmente intesa a cogliere la Volontà di Dio in questi particolari piccoli e grandi della vita.
117. Ma a questo cristiano non viene mai in mente di credere o di dire che lui scende dal tempio al mondo per rappresentare la Chiesa, e che le sue scelte sono “le soluzioni cattoliche” di quei problemi. Questo non va, figli miei! Un atteggiamento del genere sarebbe clericalismo, “cattolicesimo ufficiale” o come volete chiamarlo. In ogni caso, vuol dire violentare la natura delle cose. Dovete diffondere dappertutto una vera “mentalità laicale”, che deve condurre a tre conclusioni:
a essere sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle proprie responsabilità;
a essere sufficientemente cristiani da rispettare i fratelli nella fede che propongono – nelle materie opinabili – soluzioni diverse da quel le che sostiene ciascuno di noi;
e a essere sufficientemente cattolici da non servirsi della Chiesa, nostra Madre, immischiandola in partigianerie umane.
È evidente che, in questo terreno, come in tutti, voi non potreste realizzare questo programma di vivere santamente la vita ordinaria, se non fruiste di tutta la libertà che vi viene riconosciuta sia dalla Chiesa che dalla vostra dignità di uomini e di donne creati a immagine di Dio. La libertà personale è essenziale nella vita cristiana. Ma non dimenticate, figli miei, che io parlo sempre di una libertà responsabile.
Interpretate quindi le mie parole per quello che sono: un appello all’esercizio – tutti i giorni! e non solo nelle situazioni di emergenza – dei vostri diritti; e all’esemplare compimento dei vostri doveri di cittadini – nella vita politica, nella vita economica, nella vita universitaria, nella vita professionale – addossandovi coraggiosamente tutte le conseguenze delle vostre libere decisioni, assumendo la responsabilità dell’indipendenza personale che vi spetta. E questa cristiana “mentalità laicale” vi consentirà di evitare ogni intolleranza e ogni fanatismo, ossia – per dirlo in modo positivo – vi farà convivere in pace con tutti i vostri concittadini e favorire anche la convivenza nei diversi ordini della vita sociale.
118. So che non c’è bisogno che vi ricordi quello che sto ripetendo da tanti anni. Questa dottrina di libertà civile, di convivenza e di comprensione, è un elemento di primissimo piano nel messaggio che l’Opus Dei diffonde. C’è bisogno che ribadisca ancora una volta che gli uomini e le donne che vogliono servire Cristo Gesù nell’Opera di Dio sono semplicemente dei “cittadini uguali agli altri” che si sforzano di vivere con responsabilità seria – fino alle ultime conclusioni – la loro vocazione cristiana?
Non c’è nulla che distingua i miei figli dagli altri membri della società civile. Invece non hanno nulla in comune con i membri delle congregazioni religiose, salvo la fede. Io amo i religiosi e venero e ammiro le loro clausure, le loro attività apostoliche, la loro separazione dal mondo – il “contemptus mundi” – che sono altri segni di santità nella Chiesa. Ma il Signore non mi ha dato una vocazione religiosa, e il desiderarla per me sarebbe un disordine. Nessuna autorità sulla terra mi potrà obbligare a essere un religioso, come nessuna autorità può costringermi a contrarre matrimonio. Sono un sacerdote secolare: un sacerdote di Cristo Gesù che ama appassionatamente il mondo. 

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