Amore umano e vita cristiana - Il matrimonio e il tempo che passa
Testi sull'amore nel fidanzamento e nel matrimonio
Autore: José Manuel Martín Q.
È una realtà che la vita coniugale si svolge in varie tappe – dall’ “innamoramento” fino all’amore di benevolenza, passando per l’ “amore maturo” –; tuttavia, il trascorrere del tempo, la situazione personale di ogni coniuge, le difficoltà o altri aspetti normali della vita, non alterano l’essenza del vincolo matrimoniale che trae origine dal mutuo consenso dei coniugi manifestato legittimamente: “Dalla valida celebrazione del matrimonio sorge tra i coniugi un vincolo di sua natura perpetuo ed esclusivo; inoltre, nel matrimonio cristiano i coniugi, per i compiti e la dignità del loro stato, vengono corroborati e come consacrati da uno speciale sacramento”. Nel matrimonio il consenso iniziale degli sposi, pertanto, è essenziale; lo costituisce a tal punto che, se non ci fosse, non ci sarebbe matrimonio. È in quel “sì, lo voglio”, espresso l’un l’altro e liberamente, che gli sposi si trasformano in una realtà nuova, in una unità nella differenza di persone; i due, per così dire, accettano un’alleanza stabile – il matrimonio – che è per tutta la vita e che sarà il luogo in cui ognuno dei due cercherà nel bene e nella felicità dell’altro la propria pienezza: soltanto nel matrimonio arrivano a essere realmente una sola carne, una sola anima. Da quest’unione unica, esclusiva, perpetua, nasce l’aiuto reciproco che si concretizza nel giorno dopo giorno dei coniugi attraverso mille dettagli di aiuto, di impegno, di interesse… Dettagli che vanno dalle cose più intime e spirituali fino a quelle più materiali: un “ti amo”, un sorriso, un piccolo dono in certe occasioni, un “superare i piccoli attriti che l’egoismo tende a ingigantire; a svolgere con un amore sempre nuovo i piccoli servizi di cui è intessuta la convivenza quotidiana”. In altre parole, consiste in un impegno della persona a realizzare la donazione totale e gratuita alla quale gli sposi sono chiamati. L’aiuto reciproco, caratteristico dell’amore degli innamorati, sempre alla ricerca di qualcosa di più perché vuole di più, si indirizza anche a contemplare ciò che ancora è in potenza. A tal riguardo Viktor Frankl scrive: “L’amore è l’unica strada per raggiungere le zone più profonde della personalità di un uomo. Nessuno può conoscere l’essenza di un altro essere umano se non lo ama. Grazie all’atto spirituale dell’amore si è capaci di contemplare i tratti e i caratteri essenziali della persona amata; e a contemplare anche ciò che è ancora in potenza, ciò che non si è ancora svelato e mostrato. Ma c’è dell’altro: mediante l’amore, la persona che ama rende possibile all’amato l’attuazione delle sue potenzialità non ancora palesi. Colui che ama vede oltre e sprona l’altro a mettere in moto le sue capacità personali che stavano nascoste”. Queste attenzioni, che alimentano la vita coniugale e che non si debbono trascurare con il trascorrere degli anni, che accrescono e danno consistenza all’amore, sono il riflesso tangibile – e inevitabile in quanto persone bisognose delle manifestazioni proprie dell’amore umano – della quantità e della qualità dell’amore: di quell’amore che può svelare le potenzialità nascoste. Non dimentichiamo che l’amore è un “anticipo”, è audace, intrepido e coraggioso fino alla temerarietà pur di ottenere ciò che desidera: rendere migliore la persona che ama. Queste manifestazioni d’amore devono essere accompagnate dall’ottimismo – altro nome della speranza cristiana –, inteso come la “capacità di trasformare gli errori in occasioni di apprendimento e di crescita”. La crescita, infatti, è il fine dell’apprendimento, e questo in tutti gli aspetti della vita di una persona. Un ottimismo che dev’essere accompagnato dalle buone maniere, dalla gratitudine, che è un modo di riconoscere nell’altro il bene che la sua presenza e l’amore ci danno; dalla capacità di perdonare e di chiedere perdono; dal saperci fragili e dipendenti dall’altro, e dunque bisognosi del favore e dell’assistenza dell’altro. Sono pegni della fedeltà coniugale e difesa dalle inevitabili vicissitudini della vita. Papa Francesco, in una delle sue catechesi sul matrimonio e la famiglia, proponeva in tre parole un rifugio, non esente dalla lotta contro il proprio egoismo, un cammino per sostenere il matrimonio: “Queste parole sono: permesso, grazie, scusa. Infatti queste parole aprono la strada per vivere bene nella famiglia, per vivere in pace. Sono parole semplici, ma non così semplici da mettere in pratica! Racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove; invece la loro mancanza, a poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare”. Poi il Papa prosegue: “La prima parola è permesso? Quando ci preoccupiamo di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere, noi poniamo un vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e familiare. Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato. E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore”. Riguardo alla seconda parola – grazie –, il Papa dice: “Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia. Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui. Se la vita familiare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà”. Infine, in riferimento alla parola scusa, dice: “Parola difficile, certo, eppure così necessaria. Quando manca, piccole crepe si allargano – anche senza volerlo – fino a diventare fossati profondi […]. Se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare. Nella casa dove non ci si chiede scusa incomincia a mancare l’aria, le acque diventano stagnanti. Tante ferite degli affetti, tante lacerazioni nelle famiglie incominciano con la perdita di questa parola preziosa: scusami. E il Papa conclude dicendo: “La famiglia vive di questa finezza dell’amarsi”. Nella quotidianità della convivenza coniugale e familiare può accadere facilmente, per mille motivi, che le forme vadano perdute: stanchezza, fretta, difficoltà, un lavoro professionale molto esigente nella dedizione e nei risultati, le preoccupazioni per i figli, ecc.; eppure, non possiamo dimenticare che l’altro o l’altra alla quale ci rivolgiamo, è la persona che un giorno liberamente abbiamo scelto per percorrere insieme il cammino della vita e alla quale ci siamo dati per amore. Durante l’esistenza in comune, si attraversano alti e bassi, inevitabili anche se superabili. È importante, allora, ricordare il passato, il momento di quel primo incontro unico e della scelta della persona con la quale oggi condivido i miei giorni, che all’inizio mi sembrava eccezionale e irripetibile. Si tratta di un esercizio irrinunciabile della memoria affettiva, che rende attuale l’affetto: perché conviene, perché fa bene all’amore inteso come atto dell’intelletto, della volontà e del sentimento; e allora ricordiamo (ritorniamo a porre, con somma cura, nel cuore) tutti gli aspetti distintivi – anche i difetti e i limiti – che ci indussero a impegnarci, ad amare “per sempre”. Osserviamo anche il presente e occupiamocene con la disposizione di essere noi stessi e di fare in modo che l’altro diventi sempre migliore, con un rinnovato slancio nel consolidare l’amore, così da fortificare l’unione. E il futuro, che ci sfida con le sue incertezze, nel contempo ci incoraggia con la speranza che tutto, nel nostro procedere terreno, ha come fine la felicità piena nel Cielo, con la certezza che – come diceva san Josemaría – la via per arrivare in cielo si chiama… con il nome della moglie o, per lei, con quello del marito. Riferendosi a questa frase del fondatore dell’Opus Dei, Marta Brancatisano scrive: “Una frase semplice come questa, rivolta a giovani, sposi e genitori, ha — malgrado il tono apparentemente romantico — una profondità e un senso di novità che spingono a una riflessione non facile ad esaurirsi. Con questa affermazione Josemaría Escrivá supera l’idea che i doveri coniugali siano marginali rispetto ai doveri verso Dio. Inizia, con queste parole, la sovrapposizione sistematica del rapporto con Dio e con il coniuge, nel senso che non si può più ipotizzare una piena vita cristiana a latere di quella coniugale […]. “Da questa impostazione deriva una nuova luce sul matrimonio, sull’amore umano e sulla trasmissione della vita. Una luce che non evidenzia nuove norme ma piuttosto uno spirito nuovo nel vivere e comprendere il valore creazionale della vita matrimoniale. Una luce che risveglia la responsabilità personale degli sposi, chiamati ad essere non una folla anonima ma gli attori di una trama fondante e insostituibile nel piano della Provvidenza: essere prima cellula d’amore e di vita che esprime il volto del creatore”. È questa la trascendenza dell’amore umano pienamente vissuto, senza riservarci nulla, perché sappiamo che “al tramonto della nostra vita saremo giudicati sull’amore”, come diceva san Giovanni della Croce La vita coniugale è chiamata ad acquistare sfumature insospettate che inducono a dare la priorità al matrimonio al di là di qualunque altra circostanza o realtà, in quanto vocazione specifica – umana e soprannaturale – per ogni persona chiamata a questo stato. Per scoprire tali sfumature è indispensabile non soltanto l’amore ma anche il buon umore: davanti agli errori che ci permettono di allontanarci da una presunta e al tempo stesso irraggiungibile perfezione; davanti alle situazioni avverse o ai piccoli errori; o quando le cose non riescono come avevamo previsto…, saper ridere di se stesso, accettare la critica costruttiva con gratitudine e simpatia, aiutano a non cadere nell’orgoglio ferito, che fa tanto male a qualsiasi tipo di relazione, sia essa di amicizia, filiale o coniugale. Buon umore anche come fonte di godimento, per saper godere nell’altro e con l’altro: “Quando si riconosce che l’amore è il principale ambito della donazione intersoggettiva – del dono del meglio di sé –, l’amore acquista immediatamente la forza e la bellezza di ciò che è sacro. Ed è un amore ludico, fonte di godimento. Soltanto nella donazione dell’amore l’uomo è capace di pronunciare un tu pieno di significato. Un tu che indica il posto più sacro e intimo della persona amata”. Un godimento che è possibile in tutti i momenti e le circostanze della vita, anche in quelli tanto dolorosi da tenerci lontani dalla risata, dalla contemplazione del bello, e persino dall’apprezzamento della bontà come una realtà onnipresente. Nel dolore si manifesta la verità dell’amore. Come piaceva dire a san Josemaría: “Non dimenticare che il dolore è la pietra di paragone dell’Amore”. Tutte le manifestazioni di aiuto reciproco, il valore delle piccole e grandi attenzioni, la finezza dell’amarsi, alla quale allude Papa Francesco, l’ottimismo e il senso dell’humour, tutto senza eccezione, contribuisce a rendere evidente la meraviglia e l’ammirazione davanti all’altro. Sta lì la grandezza e la bellezza dell’amore coniugale, che trabocca direttamente a beneficio dei figli. Spesso si dice: “Se il matrimonio va bene, i figli stanno bene”. Si può sostenere che ciò che più desiderano i figli è vedere l’amore – perché lo sentono, lo palpano – che si scambiano i loro genitori: sentirsi sicuri, come parte di un progetto familiare stabile, dove ognuno ha un suo posto ed è amato incondizionatamente, per il fatto di essere figlio. L’amore sta alla base di ogni processo educativo, sia familiare che scolastico. Per questo, è comprensibile che il primo atto educativo per ogni figlio sia l’amore tra i propri genitori. “Nessuno dà ciò che non ha”, vale a dire, se non ho amore non posso dare amore, ma non posso neppure pretenderlo, e una educazione senza amore spersonalizza perché non raggiunge il nucleo centrale, costitutivo della persona. L’amore tra i genitori è originale – è precedente, è sorgente, è sempre in primo piano – e originante del figlio – pro-creatore o, mi permetto di dirlo: co-creatore –; per questo, l’amore dei genitori, è originante anche per il figlio, perché mette in lui – da dentro, costitutivamente – la capacità di amare che è fondante della sua originalità, di quella nuova personalità che è venuta all’esistenza e si proclamerà, creativamente, nella sua biografia. Siamo stati creati per donar-ci e, in una maniera specialissima, i genitori sono chiamati a mostrare ai figli l’amore. Un amore che si esprime, fra gli altri aspetti, nell’apertura alla vita, che rende possibile generare ed educare i figli, che è esattamente il fine del matrimonio; nello zelo perché crescano sani e sicuri; nel guidarli e accompagnarli nella ricerca della felicità, rispettando la loro libertà che è una delle più grandi dimostrazioni dell’affetto. Se viene meno l’amore tra i coniugi, si spezza l’ordine naturale della donazione reciproca, che ha come beneficiari non soltanto i coniugi ma anche i figli. Ogni persona merita di sentirsi amata con quell’amore che soltanto i due genitori – l’uomo e la donna – sono capaci di dare e trasmettere. Domani i figli saranno chiamati da Dio a formare una famiglia, o al celibato apostolico o alla vita religiosa; e riprodurranno, nella maggior parte dei casi, quello che avranno visto nei loro genitori. Oggi educhiamo non tanto i medici, gli ingegneri o gli avvocati di domani, ma gli uomini e le donne che un giorno accoglieranno la vocazione con la quale Dio li cerca: e saranno capaci di rispetto, di amore, di generosità e di donazione nella misura in cui lo avranno visto nei loro genitori e condiviso nelle loro famiglie. Guardare il passato con animo grato, il presente con determinazione e il futuro con speranza aiuta a vivere la donazione con pienezza, ad accettare con gioia il tempo che trascorre nella vita coniugale, perché è segno che l’amore è cresciuto in modo armonico: ha reso possibile la trasformazione, la maturazione e la donazione dei coniugi; e questi hanno cercato di trasmettere ai figli che in realtà non hanno tanto bisogno di regali quanto di affetto.
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