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Amore umano e vita cristiana - Il matrimonio: un cammino divino

Testi sull'amore nel fidanzamento e nel matrimonio

Autore: José Manuel Martín Q.

Queste parole che il Papa Francesco ha pronunciato nell’incontro con le
famiglie a Manila, hanno fatto il giro del mondo:
“Non è possibile una famiglia senza il sogno. Quando in una famiglia si
perde la capacità di sognare, si perde anche la forza di amare, perciò vi
raccomando che la sera, quando fate l’esame di coscienza, ciascuno si
ponga queste domande: oggi ho sognato il futuro dei miei figli, oggi ho
sognato l’amore del mio sposo, della mia sposa, ho sognato la storia dei
miei nonni?”.
Questa capacità di sognare ha a che vedere con le aspettative che
riponiamo nei nostri sogni e nelle nostre speranze, soprattutto in
rapporto alle persone; cioè i beni e i risultati che desideriamo per loro, le
speranze che nutriamo nei loro riguardi. La capacità di sognare equivale
alla capacità di trasmettere il senso della nostra vita a coloro che amiamo.
È dunque, qualcosa di peculiare di ogni famiglia.
Sin dagli inizi, San Josemaría ha contribuito a ricordare, seguendo gli
insegnamenti della Chiesa, che il matrimonio – germe della famiglia – è,
nel senso più pieno della parola, una chiamata specifica alla santità,
nell’ambito della comune vocazione cristiana: un cammino vocazionale,
diverso ma tuttavia complementare a quello del celibato – sia sacerdotale
sia laicale – o con quello della vita religiosa. “L’amore che conduce al
matrimonio e alla famiglia, può essere anch’esso un cammino divino,
vocazionale, meraviglioso, una strada per la completa dedicazione al
nostro Dio”.
D’altra parte, questa chiamata di Dio nel matrimonio non significa in
nessun modo sottovalutare i requisiti richiesti per seguire Gesù. Perché,
se “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”, gli sposi cristiani
trovano nella vita matrimoniale e familiare la materia della loro
santificazione personale, cioè della loro personale identificazione con
Cristo: i sacrifici e le gioie, i piaceri e le rinunce, il lavoro in casa e fuori
casa, sono gli elementi con i quali, alla luce della fede, si costruisce
l’edificio della Chiesa
Per un cristiano, sognare la sposa o lo sposo, vuol dire guardare il proprio
coniuge con gli occhi di Dio. È la contemplazione, protratta nel tempo,
della realizzazione del progetto che il Signore ha pensato e vuole, per
ciascuno e per tutti e due, nella loro concreta relazione matrimoniale. È
desiderare che questi piani divini divengano realtà nella famiglia, nei figli
– se Dio li manda –, nei nonni e negli amici che la provvidenza mette loro
accanto per accompagnarli nel viaggio della vita. È in definitiva la
possibilità che ciascuno veda nell’altro la sua strada personale per il cielo.
Cristo ha fatto del matrimonio un cammino divino di santità, per trovare
Dio in mezzo alle occupazioni quotidiane della famiglia e del lavoro, per
innalzare l’amicizia, le gioie e le pene –perché non c’è cristianesimo senza
croce – e le mille piccole cose del focolare, al livello eterno dell’amore.
Ecco il segreto del matrimonio e della famiglia. Così si anticipa la
contemplazione e il gaudio del cielo, dove troveremo la felicità completa,
definitiva.
Nell’ambito di questo “cammino divino” dell’amore matrimoniale, san
Josemaría parlava del significato cristiano, profondo e bello della
relazione coniugale: “In altri sacramenti la materia sono il pane, il vino, o
l’acqua… Qui sono i vostri corpi. (. . .). Io vedo il letto coniugale come un
altare; sta lì la materia del sacramento”. L’espressione altare è
sorprendente, e nello stesso tempo è la conseguenza logica di una lettura
profonda del matrimonio, che ha nell’una caro -cioè nell’unione
completa dei corpi umani, creati a immagine e somiglianza di Dio – il suo
nucleo.
Da questa prospettiva si capisce che gli sposi cristiani esprimono, nel
linguaggio della corporalità, la peculiarità del sacramento del
matrimonio: con la loro mutua donazione, lodano Dio e gli danno gloria,
annunciano e attualizzano l’amore tra Cristo e la Chiesa, assecondando
l’opera dello Spirito Santo nei cuori. Da qui arriva agli sposi, alla loro
famiglia e al mondo una corrente di grazia, di forza e di vita divina che
rinnova tutto.
Ciò richiede una preparazione e una formazione continua, una lotta
positiva e continua: “I simboli forti del corpo –osserva Papa Francesco–
possiedono le chiavi dell’anima. Non possiamo trattare i legami della
carne con leggerezza, senza aprire una ferita durevole nello spirito”.
Il vincolo che sorge dal consenso matrimoniale rimane impresso ed è
arricchito dalle relazioni intime degli sposi. La grazia di Dio che essi
hanno ricevuto con il battesimo trova un nuovo alveo, che non si
giustappone all’amore umano, ma lo assume in sé. Il sacramento del
matrimonio non è un’aggiunta esterna al matrimonio naturale; la grazia
sacramentale specifica informa i coniugi nella loro intimità e li aiuta a
vivere la loro relazione con esclusività, fedeltà e fecondità: “È importante
che gli sposi acquistino un chiaro segno della dignità della loro vocazione;
che sappiano di essere stati chiamati da Dio a raggiungere l’amore divino
attraverso l’amore umano; che sono stati scelti dall’eternità per cooperare
con il potere creatore di Dio nella procreazione e poi nell’educazione dei
figli; che il Signore chiede che facciano del loro casa e della loro vita di
famiglia una testimonianza di tutte le virtù cristiane”.
I figli sono sempre il miglior “investimento”, e la famiglia è l’ “impresa”
più solida, la maggiore e la più affascinante delle avventure. Tutti
contribuiscono con il loro ruolo, ma il romanzo che ne risulta è molto più
interessante delle singole storie, perché Dio agisce e compie meraviglie.
Da qui l’importanza di sapersi comprendere – gli sposi tra loro e con i
figli – di imparare a chiedere perdono, di amare – come insegnava san
Josemaría – anche i difetti dell’altro, purché non offendano Dio.
“Quante difficoltà nella vita dei coniugi si risolvono se conserviamo uno
spazio per il sogno. Se ci fermiamo a pensare al coniuge. Se sogniamo le
sue bontà, le cose buone che fa. Per questo è molto importante recuperare l’amore attraverso il progetto di tutti i giorni. Non smettete mai di essere fidanzati!”.
Parafrasando il Papa, si potrebbe aggiungere: che gli sposi non tralascino
di fermarsi un po’, per condividere e ricordare i momenti belli e quelli
difficili che hanno trascorso insieme, per riflettere sulle circostanze che
hanno prodotto i successi o gli insuccessi, o per recuperare l’entusiasmo,
o per pensare insieme all’educazione dei figli.
La vita matrimoniale e familiare non consiste nel vivere un’esistenza
sicura e comoda ma, oltre che nella mutua donazione , anche nel dedicare
tempo generosamente agli altri membri della famiglia a partire
dall’educazione dei figli – la qual cosa include il favorire l’apprendimento
delle virtù e l’inizio della vita cristiana – per aprirsi continuamente agli
amici, ad altre famiglie, e specialmente ai più bisognosi. Così, mediante la
coerenza della fede vissuta in famiglia, si trasmette la buona notizia – il
Vangelo– che Cristo è sempre presente e ci invita a seguirlo.
Per i figli, Gesù si rivela attraverso il padre e la madre; perché per
entrambi, ogni figlio è, anzitutto, un figlio di Dio, unico e irripetibile, una
persona che Dio ha sognato per primo. Per questo, Giovanni Paolo II
poteva affermare che “il futuro dell’umanità si fonda sulla famiglia”.
E quale sarebbe il senso che devono dare al proprio matrimonio gli sposi
cristiani che non hanno discendenza? A questa domanda, san Josemaría
rispondeva che, anzitutto, dovrebbero chiedere a Dio che li benedica
dando loro figli, se è questa la sua Volontà, come benedisse i Patriarchi
dell’Antico Testamento; e poi che si rivolgessero a un buon medico. “Se
comunque, il Signore non dà loro figli, non devono vedere in questo
nessuna frustrazione: devono essere contenti, scoprendo in questo stesso
fatto la Volontà di Dio nei loro riguardi. Molte volte il Signore non dà figli
perché chiede di più. Chiede che si impieghi lo stesso sforzo e lo stesso
delicato impegno per aiutare il nostro prossimo con gioia: non c’è motivo,
infatti, di sentirsi falliti né di essere tristi”.
E aggiungeva: “Se i coniugi hanno vita interiore, comprenderanno che
Dio li spinge a fare della loro vita un generoso servizio cristiano, un
apostolato che è diverso da quello che realizzerebbero coi loro figli, ma
altrettanto meraviglioso. Si guardino intorno: scopriranno
immediatamente persone che hanno bisogno di aiuto, di carità e di
affetto. E poi ci sono mille iniziative apostoliche in cui possono lavorare.
Se sono capaci di dedicarsi con tutto il cuore a questo compito, donandosi
agli altri con generosità e dimenticando sé stessi, avranno una splendida
fecondità, una paternità spirituale che colmerà la loro anima di autentica
pace”.
A San Josemaría piaceva riferirsi alle famiglie dei primi cristiani:
“Famiglie che vissero di Cristo e che fecero conoscere Cristo. Piccole
comunità cristiane, che furono come centri di irradiazione del messaggio
evangelico. Focolari come tanti altri di quei tempi, ma animati da uno
spirito nuovo, che contagiava chi li avvicinava e li frequentava. Così
furono i primi cristiani e così dobbiamo essere noi cristiani di oggi:
seminatori di pace e di gioia, della pace e della gioia che Gesù ci ha
guadagnato”.

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