Amore umano e vita cristiana - L’ambiente di famiglia, scuola d’amore
L'amore nel fidanzamento e nel matrimonio
Autore: José Manuel Martín Q.
La famiglia è una cellula aperta al servizio della società; non è una
istituzione chiusa, lontana e di ambito strettamente privato. Si legge nel
Catechismo della Chiesa Cattolica, “la famiglia è la cellula originaria della
vita sociale. È la società naturale in cui l’uomo e la donna sono chiamati
al dono di sé nell’amore e nel dono della vita. L’autorità, la stabilità e la
vita di relazione in seno alla famiglia costituiscono i fondamenti della
libertà, della sicurezza, della fraternità nell’ambito della società. La
famiglia è la comunità nella quale, fin dall’infanzia, si possono
apprendere i valori morali, si può incominciare ad onorare Dio e a far
buon uso della libertà. La vita di famiglia è un’iniziazione alla vita nella
società”. Perciò si può dire che la famiglia è l’ambito naturale dell’amore.
L’amore caratteristico dei coniugi consiste nel volere che l’altro esista e
che esista bene, non in un modo qualsiasi: dato che ti amo cerco il tuo
bene, la tua felicità. Con l’arrivo dei figli l’amore tra i coniugi aumenta, si
moltiplica e si manifesta nella ricerca del bene per ogni figlio, nel volere il
meglio per loro – in tutti gli aspetti: fisico, emotivo, spirituale… –. Però,
siccome la famiglia non si chiude in se stessa ma va oltre il proprio
ambito e s’incardina nella società – tanto è vero che senza famiglia non
c’è società –, questo amore che all’inizio era fra gli sposi e poi si è
riversato nei figli, è chiamato anche a estendersi: tutti meritano di
condividere l’amore che irradia dalla famiglia, che si manifesta nel
desiderio del bene.
Per ottenere che l’amore cresca, ogni famiglia deve fare in modo che
aumenti la propria capacità di dare e di ricevere. Certe volte si nota la
tendenza a spezzare la profonda unità dare-ricevere; il risultato è la
disgregazione della famiglia, perché sembra che “…ciò che riguarda il
dare sia dei genitori, ciò che riguarda il ricevere sia dei figli. E il risultato
è un insieme di essere umani scarsamente uniti dall’amore familiare:
genitori sacrificati, figli più o meno irresponsabili… Gli uni e gli altri
debbono dare e ricevere. Prima di tutto, dare, perché ogni persona è un
essere che deve dare un proprio contributo; e poi, ricevere, per dare di
più, per dare meglio”. Come dice Enrique Rojas, “l’amore non è egoista.
Il suo unico riferimento è l’altro. L’amore svanisce in una vita in
solitudine”. Però l’amore deve diventare concreto. A tal riguardo Papa
Francesco dice: “Guardate che l’amore… non è l’amore delle telenovele.
No, è ben altro. L’amore cristiano ha sempre una qualità: la concretezza
[…]. Gesù stesso, quando parla dell’amore, ci parla di cose concrete: dar
da mangiare agli affamati, visitare gli infermi…”.
Il Papa ci suggerisce due criteri. Il primo è che l’amore sta più nelle opere
che nelle parole. Gesù stesso lo ha detto: non quelli che mi dicono
“Signore, Signore”, coloro che parlano molto, entreranno nel Regno dei
cieli, ma coloro che compiono la volontà di Dio. È l’invito, dunque, a
rimanere nel «concreto» compiendo le opere di Dio. Così, il primo
criterio è amare con le opere, e non solamente con le parole. Il secondo è
questo: nell’amore è più importante dare che ricevere. La persona che
ama dà: dà vita, dà cose, dà tempo, dona se stesso a Dio e agli altri.
Invece, la persona che non ama e che è egoista cerca sempre di ricevere;
cerca sempre di ricavare un vantaggio.
Oggi sono molte le persone che hanno bisogno di aiuto per le cause più
diverse: la fame, l’emigrazione a causa della guerra, le vittime di abusi, di
violenze e del terrorismo, le persone danneggiate dalle catastrofi naturali
e quelle perseguitate a causa della loro fede, il dramma dell’aborto e
dell’eutanasia, la disoccupazione soprattutto dei giovani, gli anziani che
vivono in solitudine. Tutte queste realtà, in un modo o nell’altro, sono
presenti fra noi nel quotidiano, ed è lì che ogni persona, ogni famiglia, è
chiamata a essere un fornitore di aiuto e di cambiamento a favore dei più
bisognosi.
Dice il Concilio Vaticano II: “La famiglia stessa ha ricevuto da Dio questa
missione affinché sia la prima e vitale cellula della società. Adempirà tale
missione se, mediante il mutuo affetto dei membri e l’orazione fatta a Dio
in comune, si presenta come il santuario domestico della Chiesa; se tutta
la famiglia si inserisce nel culto liturgico della Chiesa; se, infine, la
famiglia offre una fattiva ospitalità, se promuove la giustizia e le altre
opere buone a servizio di tutti i fratelli che si trovano in necessità. Fra le
varie opere dell’apostolato familiare si possono enumerare le seguenti:
adottare come figli i bambini abbandonati, accogliere con benevolenza i
forestieri, dare il proprio contributo nella direzione delle scuole, assistere
gli adolescenti con il consiglio e con mezzi economici, aiutare i fidanzati a
prepararsi meglio al matrimonio, collaborare alla catechesi, sostenere i
coniugi e le famiglie che si trovano in difficoltà materiale e morale,
provvedere ai vecchi non solo il necessario, ma anche renderli partecipi
equamente dei frutti del progresso economico”.
In questo Anno Giubilare della Misericordia ci viene offerta una nuova
opportunità per vivere l’amore familiare e per essere concreti nell’amore
verso i bisognosi. L’elenco delle opere di misericordia ci dà la possibilità
di aprirci, di darci agli altri. Papa Francesco ci chiama a riscoprire le
opere corporali: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati,
vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i
carcerati, seppellire i morti. E a non dimenticare quelle spirituali:
consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori,
consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le
persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. “La misericordia non
è buonismo, né un semplice sentimentalismo”; è, invece, la
manifestazione dell’Amore infinito di Dio per ognuno e la concretezza
umana dell’amore verso il prossimo.
È così che la famiglia è chiamata ad essere “scuola di generosità”; vale a
dire, nella famiglia “si impara che la felicità personale dipende dalla
felicità dell’altro, si scopre il valore dell’incontro e del dialogo, la
disponibilità disinteressata e il servizio generoso”. “I bambini che vedono
nella loro casa come si va sempre alla ricerca del bene comune della
famiglia, e come gli uni si sacrificano per gli altri, stanno imparando uno
stile di vita basato sull’amore e sulla generosità. È un’esperienza di vita
che lascia un’impronta incancellabile. Cresceranno sapendo che inserirsi
nella società non consiste soltanto nel ricevere, ma nel ricevere e dare un
proprio contributo”.
Spesso – ed è necessario farlo – rivolgiamo lo sguardo verso realtà
lontane cercando di fare il bene: diamo denaro, tempo, lavoro,
dimenticando forse che il nostro primo e più importante campo d’azione
devono essere le persone più vicine a noi. Non soltanto il coniuge e i figli,
ma i genitori ormai anziani e magari malati, che richiedono un’attenzione
particolare; i parenti bisognosi per cause diverse; gli amici intimi che
richiedono un nostro consiglio; le persone conosciute che vediamo e
frequentiamo regolarmente, che hanno bisogno temporaneamente di un
alloggio, della presenza di un amico… Per i coniugi cristiani, la loro prima
“periferia” è la propria famiglia, dove forse si trovano coloro che più
hanno bisogno del loro amorevole aiuto. Poi, il mondo intero per
“annegare il male nella sovrabbondanza del bene”, come piaceva dire a
san Josemaría.
Ritornando al caso dei più anziani nelle famiglie, essi meritano – come i
bambini – una particolare sollecitudine, sia che si tratti dei propri
genitori o di altri parenti prossimi. La speranza di vita si allunga sempre
più; tuttavia non è avvenuto un progresso parallelo nella cura degli
anziani, che spesso sono considerati un peso difficile da sopportare;
peggio ancora si trovano coloro che per determinate circostanze si
trovano in una situazione di abbandono. Con ognuno di loro dobbiamo
essere amabili, pazienti, servizievoli; dobbiamo offrire loro il nostro
tempo, il nostro affetto e l’aiuto necessario, insegnando ai figli a
comportarsi nella stessa maniera. Domani forse saranno loro che
dovranno prendersi cura dei loro genitori e, se non lo hanno visto, se non
lo hanno vissuto, non sapranno o non vorranno farlo. La famiglia è il
luogo dove i più deboli trovano aiuto e protezione. Per questo è l’ambito
migliore per prendersi cura degli anziani. A tal riguardo, Benedetto XVI
diceva: “La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica
anche da come si trattano gli anziani e dal posto che si riserva loro nella
vita in comune”. Questo darsi a coloro che stanno vicino a ognuno di noi,
se è fatto per amore, lo si fa con la gioia di chi sa di essere figlio di Dio,
destinato alla felicità che si trova soltanto facendo il bene.