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Avvento: il tempo della gioia quella vera, che non è entusiasmo, ma orientamento. È sapere da dove vieni e verso Chi stai andando

Omelia della III domenica di Avvento ( Anno A ) - Mt 11,2-11

Autore: Don Flavio Maganuco

III DOMENICA DEL TEMPO DI AVVENTO (ANNO A)

Is 35,1-6.8.10 Sal 145 Gc 5,7-10 Mt 11,2-11

AVVENTO: IL TEMPO DELLA GIOIA

quella vera, che non è entusiasmo, ma orientamento. È sapere da dove vieni e verso Chi stai andando.

Chi inviterebbe a vivere la gioia una famiglia che sta affrontando un lutto? Chi direbbe “rallegrati” a un padre che già sa che a fine mese gli staccheranno la corrente perché non riesce a pagare la bolletta?
Chi avrebbe il coraggio di parlare di gioia a una coppia che si sta lasciando, o a qualcuno che sta vivendo un crollo interiore?

Sarebbe come chiedere a una terra arida di far germogliare qualcosa… quando gli mancano i presupposti per poterlo fare.

Forse nessuno di noi metterebbe la parola “gioia” vicino alla parola “deserto”.
La gioia la associamo ai giorni in cui tutto funziona, ai momenti in cui finalmente respiri.

E invece la liturgia oggi inizia proprio lì, nel posto più arido che esista, e lo fa con un comando quasi scandaloso: «Si rallegrino il deserto e la terra arida».
È come se Dio dicesse: la gioia vera non nasce quando tutto va bene, ma quando scopri che Io vengo proprio dove tu non ti aspetti più nulla.

Il profeta Isaia non è un ingenuo. Sa che il deserto non fiorisce da solo. Sa che certe zone della vita sembrano condannate a rimanere così. Le aridità che ci portiamo dentro non cambiano con un po’ di buona volontà: o Dio ci mette mano, oppure rimangono deserto.

Eppure Isaia osa annunciare che quel deserto “fiorirà come il Carmelo, come lo Sharon”.
È come se dicesse a noi: Non guardare quello che non ce la fai a cambiare. Guarda Chi sta venendo.

La gioia cristiana non è il risultato dei nostri successi, ma la certezza di una Presenza che entra nelle nostre difficoltà e le trasforma dall’interno.

Per questo Isaia aggiunge: «Rinfrancate le mani, irrobustite le ginocchia, dite ai cuori smarriti: Coraggio!»
Cioè: quando inizi a intravedere che Dio si è messo in cammino verso di te, il primo frutto non è un’emozione, ma un compito.

La gioia diventa forza per te e cura per gli altri.
Diventa mani che riprendono a fare, ginocchia che non hanno paura di sbucciarsi, cuori che ricominciano a decidere.

Ma questa gioia non arriva subito.
E soprattutto — ed è importante dirlo — non la puoi produrre da solo.

Puoi impegnarti, sforzarti, organizzarti… ma la gioia vera non nasce dalle tue strategie interiori.
Hai bisogno di Altro. Hai bisogno di Dio.

E il nostro Dio non rispetta i nostri orari, le nostre tabelle, le nostre accelerazioni. La gioia arriva al suo tempo, non al nostro.

Per questo Giacomo oggi ci invita alla pazienza: non come rassegnazione, ma come atto di fede e di umiltà.
È umile chi riconosce che i tempi di Dio sono migliori dei propri.
È credente chi sa che quei tempi arriveranno, anche quando tutto sembra fermo.

E qui l’immagine dell’agricoltore diventa perfetta:
Prepari il terreno, fai la semina, ma la pioggia non la produci tu; il frutto non lo anticipi tu, non lo comandi tu.
Arriva quando vuole, e quando arriva cambia tutto.

Questa è la gioia cristiana: fidarsi del ritmo di Dio anche nella stagione in cui percepisci che non succede niente, o peggio, nella stagione in cui percepisci solo ingiustizie.

Ed è proprio in questo clima che appare Giovanni Battista, dal fondo del suo carcere. Lui, l’uomo del deserto, ora vive un deserto che non ha scelto: la prigionia, l’abuso, il torto subito, la sensazione che tutto sia giunto al termine.
E lì gli nasce la domanda che tutti, almeno una volta, ci portiamo addosso:

«Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?»

È la domanda che nasce quando hai fatto tutto quello che potevi, anche nel nome di Dio, e invece di vedere frutti… vedi crollare ciò che avevi costruito:
Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?

È la domanda che nasce quando scegli la strada del Vangelo e, proprio per questo, qualcuno ti volta le spalle, ti giudica, ti esclude:
Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?

È la domanda che nasce quando preghi, quando fai il bene, quando ti impegni, e ti sembra di essere ripagato con il silenzio o con il contrario di ciò che speravi:
Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?

E Gesù non risponde con un “sì” o con un “no”.
Dice a Giovanni — e a ciascuno di noi — : «Guarda i segni»: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i poveri ricevono una buona notizia.
In altre parole: il deserto sta già fiorendo, Giovanni. Non tutto è come sembra.

La gioia cristiana nasce così: non quando cambiano le circostanze, ma quando ti accorgi che Dio è già all’opera, silenziosamente, in quelle stesse circostanze.
È la gioia di chi non aspetta più “un altro”: ha riconosciuto che Dio è fedele anche quando il tempo sembra sbagliato, anche quando la vita è un carcere, anche quando non si vedono ancora i fiori.

E Isaia chiude con un’immagine bellissima: una via santa, una strada che attraversa il deserto e porta a casa.
Cioè: la gioia, quella vera, non è un entusiasmo, è un orientamento.
È sapere da dove vieni e verso Chi stai andando.

Ed è per questo che tristezza e pianto “fuggono”: non perché spariscono i problemi, ma perché non sono più loro a guidarti.

Allora forse oggi la domanda che ci salva è semplice:

Dov’è il deserto che sto vivendo… e cosa succede se lì, proprio lì, io credo che Dio sta già venendo?

Perché è lì che comincia la gioia. Impariamo ad accoglierla già oggi nell’Eucaristia, facciamole spazio già oggi nel nostro cuore.

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