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Avvento : L'improbabile che diventa possibile

La conversione non avviene perchè siamo bravi, ma quando smettiamo di opporci allo Spirito

Autore: Don Flavio Maganuco

II DOMENICA DEL TEMPO DI AVVENTO (ANNO A)

Is 11,1-10 Sal 71 Rm 15,4-9 Mt 3,1-12

AVVENTO: L’IMPROBABILE CHE DIVENTA POSSIBILE

La conversione non avviene perchè siamo bravi, ma quando smettiamo di opporci allo Spirito.

Immagino conosciate il detto: “Tra moglie e marito non mettere il dito”, vero?
Ecco, quante volte, quando ci siamo ritrovati insieme ad una coppia – non necessariamente sposata – e ci è capitato inavvertitamente di toccare un argomento che scatena tra i due un battibecco. In quei momenti vorresti scomparire ed evitare qualsiasi parola; ti sembra di camminare sulle uova: se dici una cosa sbagliata sarà come gettare benzina sul fuoco. Di solito questo accade non perché ci siano drammi enormi: ma perchè ci sono piccoli non detti, ma vecchi di anni; o perchè ci deve essere per forza ultima parola che “deve essere detta”; o semplicemente perchè c’è quel bisogno di avere ragione che diventa corazza. È impressionante quanta distanza può nascere quando si induriscono i cuori e si puntano i piedi.

È proprio per questo che, nel Vangelo di questa seconda domenica di Avvento, la parola che deve risuonare di più in noi è l’invito di Giovanni il Battista a convertirci.

Conversione: di solito questa parola la associamo alla Quaresima, alla confessione, ai fioretti, ai sensi di colpa, alla lista delle solite mancanze o dei peccati “scandalosi”. Ma nel Vangelo di oggi la parola usata per dire conversione non chiede semplicemente un’azione; prima vuole parlare al cuore. Viene usato infatti il termine metànoia, che significa cambiamento di mentalità: passare cioè da una rigidità ad un cuore capace di smuoversi. È smettere di dire: “Io sono a posto, ho le mie ragioni, faccio le mie cose”, per cominciare a chiedersi: “ma Il mio modo di pensare… sta facendo crescere la mia vita… quella di chi mi sta accanto… o le sta soffocando?”

Convertirsi allora non significa semplicemente “fare”: significa lasciare che il Signore cambi lo sguardo e apra uno spiraglio dove noi vediamo solo muri. È cambiare posizione non per debolezza, ma per amore. È trovare il coraggio di dire uno “scusa” che magari teniamo inchiodato in gola da mesi. È accorgerci che non è la verità a dividerci, ma il modo rigido di difenderla.

La liturgia di oggi, con san Paolo, lega la conversione a due parole bellissime: consolazione e perseveranza.
La consolazione, che inizia quando smetti di guardare ossessivamente ai torti subiti e finalmente vedi l’altro come un fratello e non come un avversario; quando torni a vedere il bene che puoi ancora fare.

La perseveranza, che non è ostinazione, non è il restare duri fino alla fine: è la costanza nel voler bene anche quando l’altro non cambia subito. È l’amore che non si arrende al primo graffio, e nemmeno al centesimo.

Ma attenzione: qui non si tratta semplicemente di impegnarci a essere più buoni. Per quanto sia bello e giusto, ridurrebbe tutto a mero buonismo.

Che cosa ci dice la prima lettura? Che lo Spirito di Dio è capace di ciò che a noi sembra impossibile.
Il lupo che dimora con l’agnello, il bambino che mette la mano nella tana della vipera… Non sono immagini poetiche per bambini: sono la profezia che quando Dio entra in una storia, l’improbabile diventa possibile. Il miracolo non è che il lupo diventi agnello: è che smettano di vedersi come nemici. E questo accade anche tra noi quando lo Spirito cambia lo sguardo prima delle circostanze.

Un amico o un fratello che, dopo anni, decide finalmente di richiamare;
una coppia che riesce a parlarsi senza alzare la voce;
un vecchio rancore che smette di bruciare;
un “come stai?” detto proprio alla persona che non riusciamo più a guardare negli occhi.

Questi miracoli non accadono grazie alle nostre tecniche di comunicazione, né alle nostre battaglie per dimostrare chi ha ragione. Accadono perché permettiamo allo Spirito di agire, di cambiare i cuori.
Dio non ci chiede grandi cose: ci chiede di desiderarlo, di lasciargli uno spazio, anche minimo. A Lui basta un varco per fare nuove tutte le cose.

Forse allora convertirsi è proprio questo: lasciare che una parte del nostro cuore smetta di attaccare e finalmente si lasci toccare e guidare. È permettere che una chiusura velenosa si trasformi nella possibilità di mettere la mano dove prima c’era solo pregiudizio e paura.

E tutto questo non perché siamo bravi, ma perché Cristo viene.
E quando Lui viene, l’ordine cambia: ciò che era diviso può tornare insieme; ciò che era indurito può riaprirsi per accogliere.

E allora la domanda da portarci a casa oggi è semplice e spiazzante:
Qual è il cambio di mentalità che il Signore mi chiede adesso, in questo Avvento concreto che sto vivendo?
Non in teoria: nella mia famiglia, nella mia comunità, nelle relazioni che hanno bisogno di guarire.
Non lasciamo che queste domande restino in aria o nella testa per un momento soltanto. Giovanni ci ricorda che questo è il tempo per preparare i cuori al Signore che viene, perché un cuore non preparato è un cuore che non può accoglierlo.

Non lasciamo che questo Natale sia l’ennesimo promemoria delle nostre chiusure. Lasciamo spazio al suo Spirito e alla sua Parola.
E lo Spirito compirà anche in noi il miracolo della conversione.

A noi tocca solo dire:

“Vieni, Signore”…
e avere il coraggio di lasciarci cambiare.

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