Non lamentarsi per mali leggeri
Cammino di Perfezione - Capitoli 11, 12, 13, 14
Autore: Santa Teresa d'Avila
CAPITOLO 11
Continua a trattare della mortificazione e parla di quella che si deve acquistare nelle malattie.
1. Mi sembra proprio un’imperfezione, sorelle mie, lamentarsi continuamente per mali leggeri; se potete sopportarli, non parlatene. Quando il male è grave, si lamenta da solo: è un altro genere di lagnanza ed è subito evidente. Considerate che siete poche e che basta una che abbia questo malvezzo per essere causa di pena a tutte, se vi amate e vi è tra voi carità. Chi è veramente malata, lo dica e prenda ciò che le è necessario. Se non è schiava dell’amor proprio, soffrirà tanto di concedersi qualunque sollievo che non c’è da temere vi faccia ricorso senza averne bisogno o che si lamenti senza motivo. In caso di necessità sarebbe molto peggio non dirlo, anziché prendere un rimedio senza averne bisogno e sarebbe assai deplorevole che le consorelle non manifestassero a chi soffre la loro compassione.
2. Ma si può essere certi che dove regna la carità e dove le religiose sono così poche, non mancherà mai ogni attenzione nelle cure. Guardatevi però dal lamentarvi di certe indisposizioni e piccoli malesseri di donne, perché alle volte è il demonio a farci credere a tali mali: vanno e vengono. Se non perdete l’abitudine di parlarne e di lamentarvi di tutto, eccetto che con Dio, non la finirete più. Il nostro corpo, infatti, ha questo di brutto: che quanto più si vede curato, tanto più scopre nuovi bisogni. È incredibile quanto esiga d’esser trattato bene, e poiché pretesti non gliene mancano, alla minima necessità inganna la povera anima per arrestarne il progresso.
3. Pensate a tanti poveri malati che non hanno con chi lamentarsi; e poi, esser povere e voler trattarsi bene è fuori di ogni logica. Pensate anche che ci sono molte donne sposate e perfino, come io so, di elevata condizione che, pur con gravi malattie e con grandi travagli, non osano lamentarsi per non dare dispiacere ai loro mariti. E noi, invece, me peccatrice! veniamo qui per concederci un migliore trattamento di loro. Oh, mie sorelle, voi che siete libere dai grandi travagli del mondo, sappiate soffrire un poco per amor di Dio, senza che lo sappiano tutti! Vi sono donne sfortunate nel matrimonio che tacciono, non si lamentano, sopportano la loro ben dura sorte, senza trovar conforto in nessuno, affinché i loro mariti non si accorgano di nulla. E noi non sopporteremo, sole con Dio, qualcuno dei mali che egli ci dà in espiazione dei nostri peccati, tanto più che il lamentarcene non serve affatto a calmare il nostro male?
4. In tutto ciò che ho detto, non mi riferisco a gravi malattie, per esempio, a una febbre molto alta – anche se vi prego di aver sempre moderazione e pazienza –, ma a certi piccoli mali che si possono sopportare in piedi. Che accadrebbe, però, se quanto io scrivo dovesse esser conosciuto fuori di questa casa? Che cosa direbbero di me tutte le monache? Eppure come volentieri lo sopporterei se giovasse a far emendare qualcuna! Basta, infatti, che ce ne sia una sola di tal sorta, perché si giunga all’estremo di non credere, in generale, più a nessuna, quale che sia la gravità del suo male. Ricordiamo i nostri Padri, quei santi eremiti d’altri tempi, di cui pretendiamo imitare la vita. Quanti dolori hanno dovuto sopportare e in quale isolamento! Quanto freddo, fame, sole e arsura, senza avere nessuno con cui lamentarsi se non con Dio! Pensate forse che fossero di ferro? Ebbene, erano delicati come noi. Credetemi, figlie mie, che una volta cominciato a vincere questo misero corpo, esso non ci importunerà più tanto. Ci saranno sempre molte sorelle a badare ai vostri bisogni; non preoccupatevi, pertanto, di voi stesse, a meno che non si tratti di un’evidente necessità. Se non ci decidiamo una buona volta ad accettare la morte e la perdita della salute, non faremo mai nulla.
5. Cercate di non avere questa paura, abbandonatevi completamente in Dio, e avvenga quel che vuole. Che importa morire? Quante volte il corpo si è preso gioco di noi! E non vogliamo qualche volta prenderci gioco di lui? Credete pure che questa risoluzione è più importante di quanto possiamo credere, perché insistendo a poco a poco a dominare il nostro corpo, con l’aiuto del Signore resteremo completamente padrone di esso. Ora, vincere un tal nemico è un gran guadagno per affrontare la battaglia di questa vita. Il Signore ci aiuti come può! Sono certa che non comprende l’importanza di questo consiglio se non chi già gode della vittoria. Si tratta di vantaggi tanto grandi, a mio avviso, che nessuno si sottrarrebbe ad affrontare dure prove per possedere questa pace e questa sovranità.
CAPITOLO 12
Fa vedere quanto poca stima deve avere della vita e dell’onore chi ama veramente Dio.
1. Passiamo ad altre cose che sono anch’esse molto importanti, benché sembrino di poco conto. Tutto ci appare gravoso, e a ragione, perché si tratta di una guerra contro noi stessi, ma appena ci mettiamo all’opera, Dio agisce così efficacemente nell’anima e le dona tante grazie che le sembra poco tutto ciò che si può fare in questa vita. Per noi monache, poi, il più è fatto, quando rinunziamo alla libertà per amor di Dio, rimettendola nelle mani degli altri. Inoltre, osserviamo tante pratiche gravose: digiuni, silenzio, clausura, servizio del coro, che anche a volerci trattare con delicatezza non potremmo farlo se non raramente, e forse l’avrò fatto soltanto io in tanti monasteri che ho visto. Allora, perché trattenerci dal praticare la mortificazione interiore che rende tutto il resto molto più meritorio e perfetto e ce lo fa compiere con maggiore pace e dolcezza? Ci si arriva – come ho detto – a poco a poco, rinnegando la propria volontà e il proprio istinto anche nelle piccole cose, fino ad assoggettare il corpo allo spirito.
2. Torno a dire che tutto o quasi tutto consiste nel rinunciare a noi stessi e ai nostri agi. Chi comincia infatti a servire il Signore, il meno che gli può offrire è la vita. E che deve temere chi gli ha già dato la sua volontà? È evidente che se è un vero religioso o una vera anima di orazione che pretende godere i doni di Dio, non deve tornare indietro ma desiderare di morire per Dio e soffrire anche il martirio. Del resto, non lo sapete, sorelle, che la vita del buon religioso, che vuol essere fra i più intimi amici di Dio, è un lungo martirio? Lungo, perché tale può dirsi in confronto a quello di coloro cui veniva tagliata la testa. Ma la vita è breve, anzi a volte brevissima. E che sappiamo se la nostra non sarà così breve che dopo un’ora o un momento dall’aver peso la risoluzione di servire totalmente Dio, si estinguerà? Sarebbe possibile perché, dopo tutto, non c’è da fare assegnamento su quanto ha fine. E, pensando che ogni ora può essere l’ultima, chi di voi non vorrà impiegarla bene? Credetemi, questo pensiero è la cosa più sicura.
3. Adoperiamoci, pertanto, a contraddire in tutto la nostra volontà; se ci impegneremo a farlo, come ho detto, a poco a poco, senza saper come, ci troveremo sulla vetta. Ma non sembra troppo rigoroso di re che noi non dobbiamo cercare soddisfazione in nulla? Sì, perché non si dice quali grazie e gioie comporti questa contraddizione e quanto si guadagna con essa anche in questa vita, quale sicurezza! Qui, poiché tutte voi percorrete questa strada, il più è fatto. Ora, stimolatevi e aiutatevi a vicenda: in questo ciascuna di voi deve cercare di superare le altre.
4. Vegliate attentamente sui vostri moti interiori, specialmente su quelli riguardanti la preminenza. Dio ci liberi, per la sua passione, di fermarci a dire o pensare cose di tal genere: «sono più anziana nell’Ordine», «ho più anni», «ho lavorato di più», «quella è trattata meglio di me». Bisogna respingere subito questi pensieri, appena si presentano, perché il fermarsi su di essi o parlarne è una peste e l’origine di grandi mali. Se doveste avere una priora che sopporta tali considerazioni, anche poco, credete che Dio ha permesso che l’abbiate in punizione dei vostri peccati e che sia qui l’inizio della vostra rovina. Pregate quindi ardentemente il Signore di porvi rimedio, perché vi trovate in grave pericolo.
5. Può darsi che vi domandiate perché insisto tanto su questo, che giudichiate rigorosa tale dottrina perché Dio accorda le sue grazie anche a coloro che non sono ancora pervenuti a un così completo distacco.
Lo credo, perché con la sua sapienza infinita vede che ciò è necessario per condurli a lasciare tutto per lui. Per «distacco» non intendo solo l’entrare in religione, giacché vi possono essere ostacoli per abbracciare questa via, e in ogni luogo un’anima perfetta può essere distaccata e umile; solo che sarà a costo di maggiore sforzo da parte sua, perché l’ambiente ha molta importanza. Ma, credetemi, dov’è una vana stima del punto d’onore o desiderio di beni terreni (e questo può trovarsi tanto dentro i monasteri quanto fuori di essi, anche se dentro le occasioni siano minori, e maggiore, quindi, la colpa), malgrado si siano trascorsi molti anni nell’orazione (o, per meglio dire, nella meditazione, perché l’orazione perfetta finisce col correggere questi difetti), non ci si avvantaggerà molto né si arriverà a godere il vero frutto dell’orazione.
6. Considerate, sorelle, se questi consigli siano o no per voi importanti, tanto più che non siete qui per altro. Comportandovi diversamente, perdereste l’onore e il profitto che ne potreste guadagnare; così che disonore e perdita vanno qui uniti insieme.
Ognuna consideri quale sia il suo grado d’umiltà e vedrà a che punto è nel progresso spirituale. Mi sembra che, in fatto di preminenza, il demonio non oserà tentare, neppure con un primo impulso, chi è veramente umile, perché, essendo molto astuto, ne teme il contraccolpo. È impossibile, per chi è umile, non acquistare maggior forza e non progredire in questa virtù, se il demonio lo tenta in tal senso. È evidente, infatti, che l’anima deve ritornare sulla sua vita, paragonare il modo con cui ha servito il Signore con ciò che gli deve, considerare l’eccelso dono ch’egli ci fece nell’abbassarsi fino a noi per darci esempio di umiltà e, riconoscendo i suoi peccati, pensare dove avrebbe meritato di stare a causa di essi. Ne esce così avvantaggiata che il demonio non osa tornare all’attacco per non riportarne la testa rotta.
7. Ecco il consiglio che vi do e non dimenticatelo: non solamente dovete avanzare in umiltà interiormente (giacché sarebbe un gran male non restare con questo profitto), ma cercare anche che le consorelle traggano vantaggio dalla vostra tentazione mediante i vostri atti esterni. Se volete vendicarvi del demonio e liberarvi più presto dalla tentazione, non appena vi sopravvenga, pregate la priora d’imporvi qualche incarico umiliante o adempitelo voi stesse come potete e adoperatevi a studiare il modo di piegare la vostra volontà, praticando cose che vi ripugnano. Il Signore ve le farà conoscere e la tentazione durerà poco. Dio ci liberi da coloro che pretendono di servirlo coltivando insieme il proprio onore! Badate che è un cattivo affare e – come ho detto – lo stesso onore si perde col perseguirlo, specialmente in fatto di preminenze, perché non c’è al mondo un tossico che uccida la perfezione come cose di questo tipo.
8. Direte che sono piccole cose, frutto di natura, di cui non bisogna far caso. Non scherzateci sopra, perché crescono come la schiuma: non è cosa da nulla quando il pericolo è così grave come lo è in questi punti d’onore e nel badare se non ci sia stato fatto qualche torto. Sapete perché, fra molte altre ragioni? Forse in qualcuna l’inizio è una cosa da poco, anzi quasi un nulla, ma subito il demonio fa sì che a un’altra sembri grave, e questa penserà di fare un atto di carità col dirvi che non capisce come possiate sopportare quell’affronto, che prega Dio di darvi pazienza; vi esorta a offrirgli questa prova, superiore a quanto potrebbe soffrire un santo. Il demonio vi raggira, in conclusione, con tali seduzioni che, pur essendo decise a soffrire, ne uscite con una tentazione di vanagloria, per una prova che non avete neppure sopportata con la perfezione che essa richiedeva.
9. La nostra natura è così debole che, anche quando riconosciamo che non c’è da soffrire per una prova, pensiamo di aver fatto qualcosa, sopportandola, e ne soffriamo, tanto più se vediamo che le altre se ne angustiano per amor nostro. Così l’anima va perdendo le occasioni che aveva di acquistare meriti, resta più debole e lascia aperta al demonio la porta, perché rinnovi l’assalto con maggior violenza. Potrà pur accadere, anche quando abbiate preso la risoluzione di sopportare tutto pazientemente, che vengano da voi a dirvi che siete un’insensata, che è bene risentirsi degli affronti. Oh, per amor di Dio, sorelle mie! Che nessuna sia indotta da un’inopportuna carità a mostrare compassione per l’altra per ciò che riguarda questi torti immaginari: sarebbe come quella carità usata con il santo Giobbe dai suoi amici e da sua moglie.
CAPITOLO 13
Continua a parlare della mortificazione e mostra come bisogna fuggire i puntigli e le massime del mondo per arrivare alla vera sapienza.
1. Ve l’ho detto molte volte, sorelle, e ora ve lo voglio lasciare scritto qui affinché non lo dimentichiate, che le religiose di questa casa, come anche ogni persona che vorrà essere perfetta, deve fuggire mille miglia da espressioni come queste: «avevo ragione», «mi hanno fatto un torto», «non aveva un motivo chi mi ha fatto questo»… Dio ci liberi da cattive ragioni! Vi sembra che ci fosse motivo perché il nostro buon Gesù soffrisse tante offese e gli facessero tanti oltraggi e tanti torti? La religiosa che non fosse disposta a portare la croce che non sia quella datale a buon diritto, io mi chiedo che ci fa in un monastero; se ne ritorni nel mondo, dove pur le sue ragioni non le varranno a risparmiarle prove. Forse che voi potete soffrire tanto da non meritare maggiori sofferenze? Che motivo avete, dunque, di lagnarvi? Davvero non lo capisco.
2. Quando ci tributano qualche onore o ci concedono agi o ci trattano particolarmente bene, tiriamo fuori queste ragioni, essendo certamente contro ogni logica che ci usino tali attenzioni in questa vita. Ma quanto ai torti – così li chiamiamo senza che in realtà nessuno ci faccia torto – io non so che cosa ci sia da dire. O siamo spose di un così gran Re, o no. Se lo siamo, esiste forse una donna onorata che non condivida gli oltraggi fatti al suo sposo, anche se di sua volontà non lo farebbe? Infine, l’onore e il disonore sono in comune fra loro. Volere, dunque, far parte del suo regno e goderne, e al tempo stesso non partecipare in nessun modo dei suoi oltraggi e delle sue sofferenze, è una follia.
3. Dio non voglia che noi desideriamo questo! Quella fra noi che si considera stimata meno fra tutte le altre, si reputi la più felice; e lo è, infatti, se sopporta la prova come deve sopportarla, né le mancherà onore in questa e nell’altra vita, credetemi pure. Ma che stoltezza la mia di chiedervi di credere a me, quando lo afferma la Sapienza di Dio che è la stessa verità!
Cerchiamo, figlie mie, di imitare in qualche cosa la grande umiltà della Vergine santissima, di cui portiamo l’abito. C’è da riempirsi di confusione al pensiero che ci chiamiamo sue monache, perché per molto che ci sembri d’umiliarci, siamo ben lontane dall’esser degne figlie di tal Madre e spose di tale Sposo.
Pertanto, se non bloccate con tutta la diligenza possibile le imperfezioni di cui ho parlato, ciò che oggi non sembra nulla, domani forse sarà un peccato veniale, e tanto pericoloso da diventare, se trascurato, causa di molti altri. E per un Ordine religioso ciò comporta gravi danni.
4. A questo dovremmo far molta attenzione, noi che viviamo in comunità, per non nuocere a quelle che si adoperano a fare il nostro bene e a servirci di buon esempio. E se sapessimo quanto danno si arreca nel dar l’avvio a una cattiva abitudine, preferiremmo morire piuttosto che esserne causa, perché si tratterebbe, in fondo, solo di una morte fisica. Nuocere, invece, alle anime è davvero un gran male e sembra non aver fine.
Infatti, alle religiose che muoiono ne succedono altre, e tutte, probabilmente, seguono piuttosto una cattiva abitudine da noi introdotta, che non molti esempi di virtù. Il demonio non lascia cadere la prima, mentre basta la nostra stessa naturale debolezza a far perdere la traccia delle virtù.
5. Oh, quale grande carità attuerebbe e quale gran servizio a Dio renderebbe la religiosa che, vedendosi incapace di seguire le abitudini di questa casa, lo riconoscesse e se ne andasse via da qui! Guardi che è quanto le conviene fare, se non vuole avere un inferno quaggiù; piaccia, anzi, a Dio che non ne trovi un altro di là, essendovi molte ragioni per temerlo e forse né lei né le altre potranno capirlo come lo capisco io.
6. Credete a ciò che vi dico, altrimenti ci penserà il tempo a darmi ragione, perché il tenore di vita che qui intendiamo condurre non è solo da monache, ma da eremite, pertanto dobbiamo distaccarci da ogni cosa creata. Tale, infatti, è la grazia che, come posso costatare, il Signore concede particolarmente a quelle che ha scelto per questa casa. Anche se non vi realizzano ancora il distacco con tutta perfezione, la prova che sono indirizzate per quel cammino è l’appagamento e l’allegria da cui sono pervase al pensiero che non devono più occuparsi delle cose del mondo e il piacere che traggono da tutte le pratiche religiose.
Torno a dire che se qualcuna è incline alle cose del mondo e vede di non realizzare alcun progresso, se ne vada via da qui; se, ciò malgrado, vuole essere ancora religiosa, entri in un altro monastero, altrimenti vedrà che cosa le succede. Non si lamenti di me, che ho dato qui inizio a tal genere di vita, perché non manco di avvertirla.
7. Questa casa è un paradiso, se ce ne può essere uno sulla terra. Per chi trova il suo appagamento solo nel contentare Dio e non bada al proprio piacere, tale vita è assai felice. Chi desidera qualcosa di più, siccome non potrà averla, perderà tutto.
Un’anima scontenta è come chi ha molta inappetenza: per buono che sia il cibo, ne ha nausea, e quello che le persone sane mangiano di gran gusto gli fa rivoltare lo stomaco. Altrove quest’anima si salverà più facilmente e può darsi che a poco a poco raggiunga quella perfezione che qui non ha potuto sopportare, perché affrontata tutta d’un colpo.
Infatti, sebbene per quanto riguarda il nostro intimo si lasci un po’ di tempo perché sia del tutto distaccato e mortificato, per le forme esteriori dev’essere fatto subito. Se qualcuna, pur vedendo come agiscono tutte e pur trovandosi continuamente in così buona compagnia, non fa progresso in un anno, temo che in molti anni non ne approfitterà di più, anzi indietreggerà. Non dico che la sua perfezione debba essere così rifinita come quella delle altre, ma che ci si accorga della sua graduale ripresa; del resto, quando il male è mortale, si vede subito.
CAPITOLO 14
Mostra quanto sia importante non ammettere alla professione nessuna persona il cui spirito sia contrario alle cose anzidette.
1. Sono certa che il Signore favorisce molto chi è fermamente decisa a servirlo, pertanto bisogna esaminare quale sia l’intento di chi entra fra noi, se non sia soltanto per sistemarsi (come accade a molte). Quando si tratta di persone con un sano criterio il Signore può certo perfezionare il loro intento, ma se non è così, non bisogna prenderle a nessun costo, perché esse non comprenderanno né l’insufficienza del motivo per cui entrano né, in seguito, i suggerimenti di quelle che vorrebbero si adeguassero al meglio. Infatti, in genere, a simili persone sembra sempre di riuscire a capire quello che loro conviene, a preferenza di chi ne sa di più; è questo, a mio giudizio, un male incurabile, perché di rado manca di accompagnarsi alla malizia. Dove sono molte religiose, potrà tollerarsi, ma non qui, dove siete così poche.
2. Una persona che abbia un sano criterio, se comincia ad affezionarsi al bene, vi si attacca fortemente, perché vede che è la cosa più sicura; e quand’anche non sia fatta per arrivare a una grande perfezione, sarà di aiuto alle altre con un buon consiglio e potrà aiutarle in molte altre cose, senza essere di peso a nessuna. Se, invece, manca di criterio, io non so di quale utilità possa essere in una comunità; potrebbe, invece, nuocere molto.
Questo difetto non si vede subito, perché molte parlano bene e capiscono male, mentre altre parlano poco e alquanto male, ma hanno la capacità di fare molto bene. Ci sono, infatti, anime di una santa semplicità, che s’intendono poco degli affari e degli usi del mondo, ma molto dei rapporti con Dio. Per questo, prima di accettarle, occorre un’accurata informazione e, prima di ammetterle alla professione, una lunga prova. Sappia il mondo una buona volta che avete la libertà di mandarle via e che in un monastero dove si pratica una grande austerità, i motivi per farlo sono molti; visto che così si agisce in questo monastero, non la considereranno un’offesa.
3. Dico questo perché sono così infausti i nostri tempi ed è così grande la nostra debolezza, che non basta sia un’ingiunzione dei nostri antecessori quella di non fare nessun conto di ciò che il mondo stima onore, nel timore di dispiacere ai parenti. Piaccia a Dio che non dobbiamo pagar nell’altra vita il fatto di aver ammesso tali postulanti, perché un pretesto per persuaderci che l’ammissione è legittima non manca mai.
4. È, questa, una faccenda che ognuna deve considerare da se stessa, raccomandarla a Dio e far coraggio alla priora, essendo una cosa di tanta importanza. Pertanto supplico Dio che v’illumini a questo riguardo; è un gran bene per voi non aver dote, perché dove essa si accetta, può accadere che per non restituire il denaro – che già non c’è più – si tenga in casa il ladro che ruba il tesoro, ed è un vero peccato. Voi, in tale circostanza, non abbiate compassione di nessuno, perché sarebbe nuocere a chi cercate di favorire.
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