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Cammino di Perfezione - Capitoli 21, 22, 23, 24

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 21

Dice quanto sia importante cominciare a praticare l’orazione con grande risolutezza e non badare agli ostacoli che il demonio frappone.

1. Non vi spaventate, figlie mie, se bisogna badare a molte cose, per cominciare questo viaggio divino, che è la strada maestra per il cielo. Percorrendolo, si guadagna un gran tesoro e non fa meraviglia che ci sembri costare ben caro. Verrà un tempo in cui si capirà quanto sia un nulla qualunque fatica di fronte a un tanto prezioso premio.

2. Ora, ritornando a parlare di coloro che vogliono percorrere questa strada senza fermarsi fino al termine di essa, cioè fino a giungere a bere di quest’acqua di vita, è cosa – ripeto – di grande importanza come debbano cominciare: devono cioè prendere una risoluzione ferma e decisa di non arrestarsi prima di raggiungere quella fonte, avvenga quel che avvenga, succeda quel che succeda, si fatichi quanto bisogna faticare, mormori chi vuol mormorare; bisogna tendere sempre alla meta, a costo di morire durante il cammino se il cuore non regge agli ostacoli che vi s’incontrano; sprofondi pure il mondo, visto che accade spesso di sentirsi dire: «ci sono pericoli», «la tale per questa strada si è perduta», «un’altra persona si è ingannata», «un’altra, che pregava troppo, è caduta», «fate torto alla virtù», «ciò non è cosa per donne, che possono essere soggette alle illusioni», «sarà meglio che se ne stiano a filare, non hanno bisogno di tali finezze, bastano il Pater noster e l’Ave Maria».

3. Questo lo dico anch’io, sorelle, e come se basta! È sempre un gran bene prendere come base della nostra orazione le preghiere pronunziate da una tal bocca qual è quella del Signore. In questo hanno ragione, perché se la nostra debolezza non fosse così grande e la nostra devozione così tiepida, non ci sarebbe bisogno di altri procedimenti, né di alcun libro di preghiere. Per questo mi è sembrato ora opportuno (poiché, come ho detto, parlo ad anime che non possono raccogliersi nella meditazione di misteri, per i quali sembra loro necessario far ricorso a mezzi speciali, e ci sono alcuni spiriti così esigenti che niente li contenta) stabilire, servendomi del Pater noster, alcune regole sul principio, il progresso e i fini dell’orazione, anche se non indugerò in considerazioni elevate. E non vi si potranno togliere libri perché, applicandovi con fervore alla recita del Pater noster e mantenendovi nell’umiltà, non avete bisogno d’altro.

4. Io ho amato sempre molto le parole del Vangelo che mi hanno procurato in ogni circostanza più raccoglimento di libri scritti assai bene; se, poi, l’autore non era di riconosciuto valore, non ho mai avuto voglia di leggerli. Ora, avvicinandomi a questo Maestro della sapienza, ne avrò forse suggerimenti per qualche considerazione che vi soddisfi.
Non dico che vi esporrò una spiegazione di queste orazioni divine (non oserei farlo, a parte il fatto che ne sono state scritte molte, e quand’anche così non fosse, sarebbe una stoltezza che lo facessi io), ma solo qualche considerazione sulle parole del Pater noster, perché talvolta sembra che con tanti libri si perda la devozione proprio di quelle cose di cui è assai importante averla. È evidente che quando un maestro insegna una cosa prende anche amore al suo discepolo, gode che il suo insegnamento lo soddisfi e l’aiuta molto nell’apprendimento di esso: lo stesso farà questo Maestro divino con noi.

5. Non fate pertanto alcun caso dei timori che cercheranno d’ispirarvi, né dei pericoli che vi prospetteranno. Sarebbe ben strano voler andare senza pericoli a impadronirsi di un gran tesoro per una strada che è piena di ladri. Forse che il mondo è divenuto migliore, oggi, per lasciarvelo prendere in pace?! Per il guadagno di un maravedi c’è gente capace di non dormire notti e notti e di tormentarvi nel corpo e nell’anima. Se, dunque, quando voi andate alla conquista di questo tesoro o a rapirlo – poiché, come dice il Signore, sono i violenti ad appropriarsene – per una strada maestra, per una strada sicura, per quella stessa strada percorsa dal nostro Re e da tutti i suoi eletti e i suoi santi, vi dicono che ci sono tanti pericoli e vi suscitano tanti timori, a quali pericoli non si esporranno coloro che credono di poter riuscire a guadagnare questo tesoro senza seguire una strada?

6. Oh, figlie mie, quanti di più senza confronto ne incontreranno, ma non se ne rendono conto fino a quando non cadono nel vero pericolo, e non c’è alcuno che dia loro una mano; perdono, così, del tutto l’acqua, di cui non possono bere poco né molto, né di pozzo né di ruscello. Vedete ora, dunque, come potranno, senza una goccia di quest’acqua, percorrere un cammino dove ci sono tanti nemici da combattere? È evidente che moriranno di sete nel momento che doveva essere per loro il migliore. E, che lo si voglia o no, tutti, figlie mie, camminiamo verso questa fonte, sebbene in diverse maniere. Credetemi, pertanto, e non lasciatevi ingannare da nessuno che voglia indicarvi altro cammino che non sia quello dell’orazione.

7. Io non entro ora in merito al fatto che debba essere mentale o vocale per tutti, ma dico che voi avete bisogno dell’una e dell’altra. Questo è il dovere dei religiosi. Se qualcuno vi dicesse che ciò rappresenta un pericolo, ritenete lui stesso un pericolo e fuggitelo: non dimenticatevi mai di questo consiglio, che forse vi sarà necessario. Un pericolo sarà non avere umiltà né altre virtù, ma che il cammino dell’orazione sia cammino di pericoli, Dio non lo vorrà mai. Sembra che il demonio abbia inventato questo spauracchio, e con tale artifizio è riuscito a far cadere alcuni che sembravano incamminati per la via dell’orazione.

8. Guardate un po’ quanto è cieco il mondo a non far caso delle molte migliaia di anime che sono cadute nell’eresia e in altri gravi mali, per non aver praticato l’orazione e aver seguito distrazioni mondane. Se, poi, nel gran numero di esse, il demonio, per meglio svolgere la sua trama, ha incluso alcune che praticavano l’orazione, ciò gli è servito per incutere gran paura ad altre e allontanarle dalla virtù. Chi si appiglia a questa difesa di fuggire dall’orazione per evitarne i pericoli, stia bene in guardia, perché fugge il bene per salvarsi dal male. Non ho mai visto un espediente così perfido: è chiaro che è opera del demonio. Oh, mio Signore, prendete le difese della vostra causa! Vedete come s’intendono al rovescio le vostre parole. Non permettete che i vostri servi cadano in simili debolezze.

9. C’è questo di buono: che voi avrete sempre qualche persona che vi aiuterà, perché il vero servo di Dio, al quale Sua Maestà ha dato la luce per scorgere il vero cammino, ha questo vantaggio: che fra tali terrori gli cresce il desiderio di non fermarsi. Vede chiaramente dove il demonio si prepara a colpirlo e non solo si sottrae all’urto, ma gli rompe la testa. Il maligno si affligge di questa sconfitta più di quanto possa godere di tutti i piaceri che gli arrecano le sue vittime. In tempi di disordini e di zizzanie da lui suscitate – in cui sembra che si trascini dietro tutti, quasi accecati dalle apparenze di santo zelo –, Dio fa intervenire qualcuno che apra loro gli occhi, esortandoli a rendersi conto che il demonio, per impedire che vedessero il cammino, glielo ha avvolto di nebbia. Grandezza di Dio! Uno o due che dicano la verità hanno, a volte, più potere di molti riuniti insieme! A poco a poco tornano a far scoprire il cammino, perché Dio infonde loro coraggio. Se si dice che l’orazione presenta pericoli, essi si adoperano a far capire quanto sia utile, se non con le parole, almeno con le opere. Se si dice che non è conveniente fare molto spesso la comunione, allora essi la fanno con maggior frequenza. Pertanto, non appena ci siano una o due persone che senza alcun timore seguono la via migliore, il Signore torna gradatamente a riconquistare ciò che aveva perduto.

10. Lasciate, dunque, sorelle mie, tutte queste paure; non fate alcun caso, in questioni del genere, dell’opinione della gente. Badate che non sono, questi, tempi di credere a chiunque, ma solo a coloro di cui vedrete la vita conforme a quella di Cristo. Cercate di avere coscienza pura, umiltà, disprezzo di tutte le cose del mondo, di credere fermamente a ciò che insegna la santa madre Chiesa, e non c’è dubbio che andrete per la strada buona. Lasciate perdere – ripeto – i timori dove non c’è di che temere. Se qualcuno tenta di suscitarveli, esponetegli con umiltà il cammino che seguite. Ditegli che la vostra Regola v’impone di pregare incessantemente – com’è vero – e che dovete osservarla. Qualora vi replicasse che ciò va riferito alla preghiera vocale, chiedetegli un po’ se la mente e il cuore non devono accompagnare le parole. Se vi risponderà di sì – perché non potrà certo dire altrimenti – vedrete la sua implicita confessione che dovete necessariamente fare l’orazione mentale e anche giungere alla contemplazione, se Dio ve la concede in quella circostanza.

CAPITOLO 22

Spiega cosa sia l’orazione mentale.

1. Sappiate, figlie mie, che la differenza tra l’orazione mentale e vocale non consiste nel tener la bocca chiusa o no. Se, pregando vocalmente, sono del tutto consapevole e persuasa di parlare con Dio, più attenta a lui che alle parole che dico, l’orazione mentale e vocale sono unite. Se poi mi si viene a dire che state parlando con Dio quando, recitando il Pater noster, avete il pensiero alle cose del mondo, non posso che tacere. Ma se starete attente a lui, com’è giusto fare parlando con un tale Signore, è bene che consideriate chi è colui con il quale parlate e chi siete voi, non foss’altro che per rispettare la convenienza dovuta. Come potete infatti chiamare il re Altezza, e osservare il cerimoniale di prammatica per parlare a un grande, se non vi rendete conto della sua condizione e della vostra? Il rispetto da testimoniargli formalmente deve conformarsi alla sua dignità e alle regole d’uso, che dovrete pur conoscere, altrimenti sarete mandate via come persone grossolane, e non tratterete alcun affare.
Ma è possibile, mio Signore? È possibile, mio sovrano? Come si può sopportarlo? Voi siete, Dio mio, il Re eterno, perché il regno che avete non vi è stato dato in prestito. Quando nel Credo si dice che il vostro regno non avrà fine, è raro che io non ne provi una gioia particolare. Vi lodo, Signore, e vi benedico per sempre: infine, il vostro regno durerà eternamente. Non permettete dunque mai, Signore, che chi parla con voi ritenga sufficiente farlo soltanto con la bocca.

2. Com’è possibile, cristiani, che vi mettiate a dire che non c’è bisogno di orazione mentale? Ma capite quel che dite? Io son certa di no, e per questo volete metterci tutti fuor di strada! Voi non sapete neanche che cosa sia l’orazione mentale né come bisogna fare quella vocale né che cosa s’intenda per contemplazione, perché se lo sapeste non condannereste da un lato quel che lodate dall’altro.

3. Io vi dirò sempre, sorelle, ogni volta che me ne ricorderò, di unire l’orazione mentale a quella vocale, e vi raccomando di non intimorirvi a questo riguardo; io so come vanno a finire certi timori, perché in questo ho sofferto non poco, pertanto non vorrei che alcuno vi procurasse qualche turbamento, essendo di gran danno procedere per questo cammino con paura. È molto importante rendersi conto che si è sulla buona strada. Infatti, se si dice a un viandante che ha sbagliato, che ha smarrito la strada, lo si costringe ad andare da una parte all’altra stancandosi nella ricerca del cammino che deve percorrere: perde tempo e arriva più tardi.
Chi può dire che fate male se, cominciando a recitare le Ore o il rosario, cominciate anche a pensare con chi state per parlare e chi siete voi che parlate, per vedere come dovrete trattare con lui? Ora io vi dico, sorelle, che se la profonda riflessione richiesta da questi due punti si facesse come conviene, prima di cominciare l’orazione vocale che siete sul punto di recitare, avreste dedicato già molto tempo a quella mentale. Certamente, non dobbiamo parlare alla buona ad un principe, come si fa con un contadino o con una poveretta come noi, a cui in qualunque modo si parli, va bene.

4. È vero che l’umiltà del nostro Re è tale che, per quanto io, grossolana come sono, non sappia parlargli se non con rozzo linguaggio, non tralascia di aiutarmi né mi vieta di avvicinarmi a lui. Neppure le sue guardie mi respingono, perché gli angeli del cielo conoscono bene la natura del loro Re, il quale si compiace maggiormente della rozzezza di un umile pastorello, vedendo che se più sapesse più direbbe, che di quanti bei ragionamenti gli facciano grandi sapienti e letterati, i quali manchino di umiltà. Non, però, perché egli è buono noi dobbiamo essere irriverenti. Non foss’altro per ringraziarlo di sopportare la vicinanza di esseri ripugnanti, come, ad esempio, son io, è bene che si cerchi di conoscere la sua purezza e la sua maestà. È vero che lo si capisce subito quando ci si avvicina a lui, mentre per i grandi della terra basta che ci dicano chi furono i loro antenati, i milioni di rendita, il titolo di nobiltà e non c’è da sapere altro, perché nel mondo, per onorare qualcuno, non si tiene conto dei meriti personali, per grandi ch’essi siano, ma delle ricchezze.

5. Oh, mondo miserabile! Figlie mie, rendete gran lode a Dio per avervi concesso di lasciare cosa tanto vile, dove non si fa stima delle persone per i loro pregi intrinseci, ma per quello che possiedono i loro affittuari e i loro vassalli; e se cessano di averne, il mondo cessa subito di onorarli. È questo davvero un buon motivo di divertimento per voi quando vi prendete insieme un po’ di ricreazione, perché costituisce un gradevole svago rendersi conto dell’accecamento in cui passano il loro tempo quelli che vivono nel mondo.

6. Oh, nostro Sovrano, voi che siete la potenza infinita, la bontà suprema, la sapienza stessa, che non avete principio né fine, le cui opere non hanno limite, infinite come sono e incomprensibili, voi che siete un oceano senza fondo di meraviglie, una bellezza che in sé racchiude ogni bellezza, voi, la forza stessa! Oh, mio Dio, se in questo momento potessi avere unite insieme tutta l’eloquenza e tutta la sapienza degli uomini per riuscire a spiegare bene – come si può farlo quaggiù, dove tutta la nostra scienza è ignoranza assoluta a questo riguardo – qualcuna delle molte perfezioni che possiamo considerare per farci un’idea di quello che è questo nostro Signore e nostro bene!

7. Sì, avvicinandovi a lui cercate di pensare e di capire chi sia colui con il quale vi disponete a parlare o al quale state già parlando. Neppure con mille vite delle nostre arriveremo a comprendere come meriti di essere trattato questo Signore, di fronte al quale gli angeli tremano. Egli impera su tutto, può tutto: volere, per lui, è agire. Sarà dunque giusto, figlie mie, che ci adoperiamo a godere di tali grandezze del nostro Sposo e che comprendiamo con chi siamo sposate e quale vita dev’essere la nostra. Oh, mio Dio! Quaggiù, quando ci si sposa, anzitutto si conosce la persona, con le sue qualità e le sue sostanze, e noi, già promesse in matrimonio, non potremo pensare al nostro Sposo prima del giorno delle nozze, in cui ci farà entrare nella sua casa? Visto che qui non proibiscono di farlo a quelle che sono promesse agli uomini, , perché devono impedire a noi di cercare di sapere chi sia il nostro Sposo, chi sia suo Padre, quale il paese dove ci condurrà, quali le ricchezze che ci promette, quale il suo carattere, come potremo meglio contentarlo, in che cosa compiacerlo e studiare il modo di conformare il nostro temperamento al suo? Perché infatti una donna sia una buona sposa, non le danno altro consiglio che questo, anche se il marito è un uomo di condizioni molto umili.

8. O mio Sposo, dunque, si dovrà proprio in tutto far meno apprezzamento di voi che degli uomini? Se ad essi ciò non sembra giusto, lascino in pace le vostre spose, che devono trascorrere la vita con voi. E che vita felice! Se uno sposo è tanto geloso da non volere che la sua sposa tratti con alcuno, non sarà certo una bella cosa non cercare di compiacerlo e non capire come sia giusto adeguarsi a tale desiderio, e non voler trattare con altri, poiché in lui si ha tutto ciò che si può desiderare!
Comprendere queste verità, figlie mie, è fare orazione mentale. Se a tali considerazioni volete aggiungere qualche preghiera vocale, va benissimo. Ma non vogliate, vi scongiuro, parlare con Dio e pensare ad altre cose, perché questo significherebbe non capire che cosa sia l’orazione mentale. Credo di avervelo spiegato abbastanza. Piaccia al Signore che riusciamo a metterlo in pratica! Amen.

CAPITOLO 23

Tratta di quanto sia necessario, per chi ha cominciato il cammino dell’orazione, non tornare indietro, e insiste sull’importanza di procedere in esso con salda determinazione.

1. Dico, dunque, che è molto importante cominciare con ferma determinazione, per tante ragioni che, a dirle tutte, ci sarebbe da dilungarsi molto. Ve ne voglio dire, sorelle, solo due o tre. La prima è che, quando ci determiniamo a dedicare un po’ del nostro tempo (non certo senza interesse, ma con enorme guadagno) a chi tanto ci ha dato e ci dà di continuo, non è giusto non darglielo con assoluta generosità, ma solo come chi fa un prestito per riprendersi quello che ha dato. Questo a me non sembra un dono. Inoltre, colui al quale si è prestato qualcosa resta sempre un po’ dispiaciuto quando essa gli viene ripresa, specialmente se ne ha bisogno e se la riteneva già come sua, o se i due sono amici e se quello che gliel’ha prestata gli deve molte cose dategli senza alcun interesse. A ragione, ciò gli sembrerà una grettezza e un segno di ben scarso affetto, se non vuol lasciargli in dono nemmeno una piccola cosa sua, non foss’altro come testimonianza d’amicizia.

2. Qual’è la sposa che, avendo ricevuto dal suo sposo molte gioie di valore, non gli dia almeno un anello, non per quel che vale, perché ormai tutto ciò che possiede gli appartiene, ma come pegno ch’ella sarà sua fino alla morte? E merita forse meno questo nostro Signore perché ci prendiamo gioco di lui, prima dandogli e poi riprendendoci subito quel niente che gli abbiamo dato? Almeno questo po’ di tempo che ci risolviamo a dedicargli – di tutto quello che sciupiamo per noi stesse o per chi non ce ne sarà grato –, visto che vogliamo darglielo, diamoglielo libere da ogni altro pensiero, staccate da preoccupazioni terrene, e con ferma decisione di non riprenderglielo mai più, nonostante le difficoltà, i contrasti o le aridità. Consideriamo quel tempo come cosa non più nostra e pensiamo che ci può essere richiesto a buon diritto, se non vogliamo consacrarglielo interamente.

3. Dico interamente non nel senso che sia un riprendersi quanto abbiamo dato se tralasciamo l’orazione un giorno o anche più, a causa di legittime occupazioni o di una qualsiasi indisposizione. Sia ben salda la volontà, perché il nostro Dio non è meticoloso, non bada a piccolezze. Pertanto avrà di che esservi grato: qualcosa gli avete dato. L’altro modo di agire va bene per chi non è generoso, anzi così avaro che non ha il coraggio di donare; è già molto che presti. Comunque, faccia qualcosa, perché il Signore tiene conto di tutto e in tutto si adegua a ciò che desideriamo. Nel tener conto di quel che facciamo non è affatto esigente, ma generoso: per quanto grande sia il nostro passivo, egli non esita a condonarlo. È così attento a ricompensarci, che non abbiate a temere che un semplice levar d’occhi nel ricordo di lui resti senza premio.

4. Il secondo motivo è dato dal fatto che il demonio non ha mano libera di tentarci; teme molto le anime ben decise, perché sa per esperienza che lo pregiudicano moltissimo e che quanto egli ordisce a loro danno si converte a profitto di esse e d’altri, e ch’egli ne esce con perdita. Ma non dobbiamo mai cessare di stare in guardia né fidarci troppo di questo, perché siamo in lotta con una genia di traditori che non osano, in generale, attaccare chi è vigilante, essendo assai vili; ma se si accorgono della nostra distrazione, possono recarci un gran danno. E se vedono che qualcuno è incostante e non persevera nel bene, né ha la ferma decisione di farlo, non lo lasceranno in pace né giorno né notte; gli frapporranno paure e ostacoli a non finire. Io lo so molto bene per esperienza; per questo ve ne posso parlare e vi dico che non c’è nessuno che sappia quanto ciò sia importante.

5. Il terzo motivo – di gran peso per l’argomento che trattiamo – è che allora si combatte con più coraggio. Si sa ormai che qualunque cosa avvenga non si deve tornare indietro. È come chi, impegnato in una battaglia, se sa che, una volta vinto, non gli sarà risparmiata la vita e che, se non muore nella mischia, dovrà morire subito dopo, combatte con maggiore accanimento e vuol vendere cara la pelle – come si dice – né teme troppo i colpi avversi, avendo presente l’importanza che ha per lui la vittoria, perché vincere equivale nel suo caso a vivere. È, altresì, necessario cominciare con la sicurezza che, se non vogliamo lasciarci vincere, riusciremo vittoriosi; su questo non c’è il minimo dubbio: per quanto piccolo sia il guadagno che ne potremo ricavare, ci ritroveremo molto ricchi. Non temete che il Signore, dopo averci chiamato a bere a questa fonte, ci lasci morire di sete. Ve l’ho già detto e vorrei ripetervelo mille volte, perché il non conoscere bene la bontà del Signore per esperienza personale, anche se la si conosce per fede, rende le anime molto pavide. È davvero un gran vantaggio aver fatto esperienza dell’amicizia e della dolcezza con cui tratta coloro che vanno per questo cammino, di cui paga, per così dire, tutte le spese.

6. Non mi meraviglio che coloro i quali non l’hanno provato esigano la sicurezza di un qualche interesse. Ma voi già sapete che quest’interesse e del cento per uno fin da questa vita e che il Signore dice: Chiedete e vi sarà dato. Se non credete a Sua Maestà, che ce lo assicura in vari passi del Vangelo, serve a poco, sorelle, che io mi rompa la testa a ripetervelo. Dico, tuttavia, a chi avesse qualche dubbio, che non si perde nulla a farne la prova, perché ha questo di buono un tale viaggio: frutta più di quel che si chiede o che riusciremmo a desiderare. Non c’è dubbio di sorta, io lo so, e posso portare la testimonianza di quelle fra voi che, per la bontà di Dio, ne hanno fatto esperienza.

CAPITOLO 24

Dice in che modo si debba fare con perfezione l’orazione vocale e come sia unita a quella mentale.

1. Ora, dunque, torniamo a parlare delle anime delle quali ho detto che non possono raccogliersi né costringere l’intelletto a un’orazione mentale, né fare alcuna meditazione. Non voglio qui neanche pronunciare il nome di queste due cose, non essendo alla loro portata. Vi sono, in realtà, molte persone alle quali solo il nome di orazione mentale o di contemplazione sembra sia causa di spavento.

2. E siccome, ripeto, non tutte vanno per la stessa strada, può darsi che qualcuna di esse venga in questa casa. Ciò che io ora, dunque, voglio consigliarvi (e anche potrei dire insegnarvi, perché come vostra madre, avendo l’ufficio di priora, mi è lecito farlo) è il modo in cui dovete pregare vocalmente, in quanto è giusto che comprendiate quello che dite. E siccome chi è incapace di pensare a Dio può darsi che si stanchi anche di lunghe preghiere, non voglio affatto parlarvi di esse, ma solo di quelle che, come ogni cristiano, dobbiamo necessariamente recitare, cioè il Pater noster e l’Ave Maria, sì che non possano dire di noi che parliamo senza sapere quello che diciamo, salvo che basti, a nostro avviso, seguire l’abitudine, contentandoci solo di pronunciare le parole. Se basti o no, non è affar mio; lo diranno i dotti. Ciò che io vorrei che noi facessimo, figlie mie, è non contentarci solo di questo. Quando, infatti dico «credo», mi sembra giusto che capisca e sappia ciò che credo; e quando dico «Padre nostro», l’amore esige che io comprenda chi sia questo Padre nostro e chi sia il Maestro che ci ha insegnato tale preghiera.

3. Se volete obiettarmi che già lo sapete e che non c’è motivo di ricordarvelo, avete torto. Vi è molta differenza fra maestro e maestro. E se anche per quelli che ci danno insegnamenti quaggiù è molto grave non ricordarcene, a maggior ragione si deve dire dei santi e maestri dell’anima, dei quali, se siamo dei buoni discepoli, non dobbiamo dimenticarci. Come allora dimenticarsi di un tale Maestro qual è colui che ci ha insegnato questa preghiera e con tanto amore e desiderio di giovarci? Dio non voglia che non ci ricordiamo di lui recitandola, anche se non sempre, a causa della nostra debolezza, almeno spesso.

4. In primo luogo, voi sapete che Sua Maestà c’insegna a pregare in solitudine, come faceva sempre lui quando pregava, e non perché ne avesse bisogno, ma per servire d’insegnamento a noi. Già si è detto che non si può parlare nello stesso tempo con Dio e con il mondo, mentre altro non fanno quelli che recitano preghiere e al tempo stesso ascoltano quanto si dice intorno, o si soffermano a pensare a ciò che viene loro in mente, senza preoccuparsi d’altro. Ciò può passare quando si è indisposti, specialmente se si è portati alla malinconia o si soffre di mal di testa, perché allora, anche se si cerca di raccogliersi nella preghiera, non si può farlo. Passi pure quando Dio permette che, per il maggior bene dei suoi servi, questi trascorrano giorni assai tempestosi. Allora, benché nella loro afflizione cerchino di calmarsi, per quanto facciano, non possono riuscire a concentrarsi nelle preghiere che dicono, né l’intelletto è capace di tendere a nulla, ma sembra in preda a frenesia, talmente risulta turbato.

5. Ma della pena che procura a chi ne è vittima questi vedrà che non è per colpa sua. Non si tormenti, dunque, perché sarebbe peggio, né si affanni a rimettere in sesto l’intelletto, che allora è privo d’ordine, ma preghi come può; o anche, non preghi, ma cerchi solo di dar sollievo alla sua anima, malata com’è, e attenda a qualche altra opera di virtù.
Questo riguarda le persone che hanno a cuore la propria santificazione e che sono convinte di non poter parlare a Dio e al mondo nello stesso tempo.
Ciò che noi possiamo fare è cercare la solitudine. Piaccia a Dio che ciò basti – ripeto – per comprendere con chi stiamo e quali siano le risposte del Signore alle nostre domande. Credete forse che egli taccia? Anche se non lo udiamo, parla chiaramente al cuore, quando è il cuore a pregarlo.
È bene, inoltre, considerare che a ciascuna di noi il Signore ha insegnato e continua a insegnare quest’orazione, e il Maestro non è mai così lontano dal discepolo da aver bisogno d’alzare la voce, anzi gli è molto vicino. Io vorrei che voi foste convinte di questa verità, che per ben recitare il Pater noster dovete restare presso il Maestro che ve l’ha insegnato.

6. Direte che già questo è meditare e che voi non potete né volete fare altro che pregare vocalmente. Ci sono infatti persone poco pazienti, amanti del proprio comodo, così da non volersi dare alcuna pena, perché non avendone l’abitudine, costa loro fatica all’inizio raccogliersi e meditare. E per non volersi stancare un po’, di cono che non possono né sanno fare di più che pregare vocalmente.
Avete ragione di dire che già esercitarvi in suddette riflessioni è orazione mentale. Ma io vi dichiaro, in verità, che non so come si possa separare l’orazione mentale da quella vocale, se si vuol fare bene quella vocale, sapendo chi sia colui al quale parliamo. Ed è anche un dovere cercare di pregare con attenzione. Piaccia a Dio che con questi mezzi si riesca a recitare bene il Pater noster e che non si finisca, nel dirlo, col pensare a cose del tutto fuori luogo. Io l’ho provato varie volte: e il miglior rimedio che trovo di fronte alla distrazione è tener fisso il pensiero su colui al quale rivolgo le parole. Pertanto, abbiate pazienza e cercate di acquistare l’abitudine a una pratica così necessaria.

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