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Cammino di Perfezione - Capitoli 32, 33, 34

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 32

Tratta di queste parole del Pater noster: Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra, e dice quanto merito abbia chi le reciti con piena determinazione e quale splendida ricompensa ne riceva dal Signore.

1. Ora che il nostro buon Maestro ha chiesto per noi e ci ha insegnato a chiedere un bene di tale valore che racchiude in sé tutto ciò che noi quaggiù possiamo desiderare, e ci ha elargito una grazia così incomparabile qual è quella di farci suoi fratelli, vediamo cosa vuole che diamo a suo Padre, cosa gli offre in nome nostro e cosa esige da noi, perché è giusto che gli rendiamo qualche servigio in contraccambio di così grandi benefici. Oh, buon Gesù, com’è poco quello che gli offrite da parte nostra, in confronto a quello che chiedete per noi! Eppure, lasciando da parte che è in sé un puro niente di fronte al molto che dobbiamo, e a un così gran sovrano, è certo però che voi, Signore, non ci lasciate più nulla, perché diamo tutto ciò che possiamo, se ci atteniamo a quanto le parole promettono.

2. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Avete fatto bene, o nostro buon Maestro, a rivolgere al Padre la richiesta precedente per metterci in condizione di adempiere quello che gli offrite da parte nostra; altrimenti, mi sembra, ci sarebbe impossibile farlo. Ma, siccome vostro Padre esaudirà la vostra richiesta di darci quaggiù il suo regno, io so che comproveremo la verità della vostra promessa se offrite quel che offrite da parte nostra. Quando la terra della mia anima sarà cambiata in cielo, sarà più facile che si compia in me la vostra volontà. Senza questa trasformazione, però, e per giunta se si tratta di una terra così vile e sterile come la mia, io non so, Signore, come ciò sarebbe possibile. È gran cosa ciò che offrite da parte nostra.

3. Quando penso a questo, rido di certe persone che non osano chiedere sofferenze al Signore, temendo di essere subito esaudite. Non parlo di quelle che tralasciano di farlo per umiltà, non sembrando loro d’essere forti per sopportarle, anche se sono convinta che chi ispira in esse un tale desiderio da testimoniargli il proprio amore con i patimenti, gliene darà anche la forza per sopportarli. Ma vorrei domandare a quelli che non li chiedono nel timore d’essere subito esauditi, cosa intendono dire quando supplicano il Signore di adempiere in essi la sua volontà, ovvero se lo dicano per dire quel che dicono tutti, e non nell’intento di mettere in pratica le loro parole. Questo, sorelle, non sarebbe ben fatto. Considerate che qui il buon Gesù appare nostro ambasciatore, avendo voluto far da intermediario tra noi e suo Padre, e non gli è costato poco: non sarebbe quindi giusto che tralasciassimo di realizzare ciò che egli offre in nostro nome, oppure non dovremmo dirlo.

4. Ora voglio far ricorso a un altro motivo per convincervi. Considerate, figlie mie, che, volenti o nolenti, ciò accadrà, perché la sua volontà deve compiersi così in cielo come in terra; credetemi, ascoltate il mio consiglio e fate di necessità virtù. Oh, mio Signore, che gran favore è stato per me non lasciare alla mercé di una volontà così dappoco come la mia l’adempimento della vostra! Sia glorificato il vostro nome in eterno! Povera me, Signore, se fosse dipeso da me l’adempimento della vostra volontà! Ora io vi do liberamente la mia, anche se non esente da interesse, perché so di certo, e per lunga esperienza, il grande bene che si ricava nel rimettere liberamente la propria volontà nelle vostre mani. Oh, amiche mie, quale gran guadagno! E che gran perdita, se non adempiamo quanto diciamo al Signore nel Pater noster con l’offerta che gli facciamo!

5. Prima di esporvi quello che si guadagna, voglio spiegarvi l’importanza della vostra offerta, affinché non dobbiate addurre il pretesto di un errore dicendo che non l’avevate capito. Che non vi avvenga come ad alcune religiose, le quali non fanno altro se non promettere, e poiché non mantengono le promesse, trovano una scusa nel dire che non avevano capito quello che promettevano. E può anche essere, perché dire di rimettere la propria volontà in quella altrui sembra molto facile, fino a che, alla prova dei fatti, ci si rende conto che è la cosa più difficile da farsi, se si adempie come dev’essere adempiuta, tanto che i superiori, conoscendo la nostra debolezza, non sempre usano con noi il dovuto rigore e a volte trattano allo stesso modo i forti e i deboli. Qui non è così, perché il Signore conosce le possibilità di ognuno e quando vede che un’anima è forte non si trattiene dal compiere in essa la sua volontà.

6. Voglio ora chiarirvi e ricordarvi quale sia la sua volontà. Non abbiate paura che consista nel volervi donare ricchezze, piaceri, onori, né tutti gli altri beni di quaggiù. Vi ama troppo e stima molto ciò che gli offrite, per non volervelo pagare bene, visto che vi dà il suo regno fin da questa vita. Volete sapere come si comporta con quelli che gli fanno una sincera promessa? Chiedetelo al suo Figlio glorioso, che nell’orazione dell’Orto degli ulivi gli rivolse queste stesse parole. Poiché le disse con ferma risoluzione e di tutto cuore, guardate un po’ se ha ben compiuto in lui la sua volontà, con tutti i patimenti, i dolori, le ingiurie e le persecuzioni a cui lo sottopose, per farlo morire, alla fine, crocifisso.

7. Ciò è quanto, figlie mie, il Padre diede a chi amava di più; da qui potete capire quale sia la sua volontà. Ecco, quindi, quali sono i suoi doni in questo mondo. Ce li dà in conformità dell’amore che nutre per noi: a chi ama di più dà tali doni in maggior misura; a chi ama meno, in minor misura, tenendo anche conto del coraggio che vede in ciascuno e dell’amore che ognuno ha per Sua Maestà. Quando lo si ama molto, egli vede che si può patire molto per lui; quando poco, che si può patire poco. Io sono convinta che la misura per riuscire a sopportare una grande o una piccola croce è data dall’amore. Pertanto, sorelle, se avete quest’amore, fate sì che non siano parole di compiacimento quelle che rivolgete a così gran Signore, ma sforzatevi di sopportare quanto vorrà mandarvi Sua Maestà. Dargli la propria volontà in altro modo sarebbe come mostrare a qualcuno una pietra preziosa apprestandosi a dargliela e pregandolo di accettarla, e poi, quando l’altro tende la mano per prenderla, tornare a tenersela ben stretta.

8. Non son questi scherzi da farsi a chi ne ha sofferti troppi per noi; anche se non ci fosse altro motivo, non è giusto che ci prendiamo gioco di lui tante volte, perché non son poche quelle in cui gli rivolgiamo tale offerta nel Pater noster. Diamogli una buona volta questa pietra preziosa che gli offriamo da tanto tempo! È certo che se non è lui il primo a darci il suo dono, è perché noi, anzitutto, dobbiamo dargli la nostra volontà. Per le persone del mondo sarà già molto se sono fermamente decise a mantenere la loro promessa. Voi, figlie mie, dovete dire e fare, servirvi di parole e di opere, come in verità sembra che facciano tutti i religiosi. A volte, però, anche se non solo ci disponiamo a dargli la gioia, ma gliela mettiamo addirittura in mano, poi gliela riprendiamo. All’inizio siamo generosi e poi così avari che sarebbe stato forse meglio se fossimo stati più cauti nel dare.

9. Tutti i consigli che vi ho dato in questo libro hanno lo scopo d’indurvi a consacrarvi totalmente al Creatore, porre la vostra volontà nella sua e distaccarvi dalle creature. Avrete già capito quanto ciò sia importante e non insisto oltre; voglio soltanto dirvi perché il nostro buon Maestro ponga qui le suddette parole, come chi conosce il gran profitto che trarremo dal rendere questo servizio al suo eterno Padre. Infatti, per mezzo di esse, ci disponiamo ad arrivare rapidamente al termine del cammino e a bere l’acqua viva di quella fonte di cui ho parlato. Se, invece, non rimettiamo completamente la nostra volontà in quella del Signore perché operi in tutto quel che ci riguarda conformemente alla sua volontà, non ci lascerà mai bere l’acqua di tale fonte. L’acqua è la contemplazione di cui mi avete pregato di parlarvi.

10. In essa – come già vi ho detto – non facciamo nulla da parte nostra; nessun lavoro, nessuno sforzo; non c’è bisogno di altro (perché tutto il resto è d’impaccio e d’impedimento) se non dire: fiat voluntas tua: si compia, Signore, in me la vostra volontà in tutti i modi e con tutti i mezzi dei quali piacerà a voi, Signor mio, servirvi. Se vorrete che ciò sia mediante sofferenze, datemi la forza necessaria, e che vengano; se mediante persecuzioni, malattie, disonori e indigenze, ecco sono pronta: non volgerò la testa indietro, né sarebbe giusto che vi voltassi le spalle. Poiché vostro Figlio vi consegnò, in nome di tutti, anche la mia volontà, non è giusto che io, da parte mia, manchi a tale impegno. Ma perché lo possa fare, concedetemi la grazia di questo vostro regno, che egli vi ha chiesto per me e disponete di me come di cosa vostra, secondo la vostra volontà.

11. Oh, sorelle mie, che forza racchiude questo dono! Se esso è ispirato dalla determinazione che deve accompagnarlo, non può mancare di attirare l’Onnipotente a essere una cosa sola con la nostra pochezza, trasformarci in lui e operare l’unione del Creatore con la creatura. Guardate un po’ se sarete ben pagate e se avete un buon Maestro, il quale sapendo come deve conquistare il cuore di suo Padre, ci insegna in che modo e con quali mezzi dobbiamo servirlo.

12. E quanto più diventa palese dalle opere che le nostre non sono parole di convenienza, tanto più il Signore ci avvicina a sé ed eleva l’anima su tutte le cose di quaggiù e sopra se stessa per prepararla a ricevere grazie sublimi, giacché non finisce mai di pagare in questa vita tale dono. Lo stima tanto che noi non sappiamo più che cosa chiedergli, e Sua Maestà non si stanca mai di dare. Non contento infatti di aver fatto dell’anima una cosa sola con lui, per averla ormai unita a sé, comincia a compiacersene, a scoprirle segreti, godendo che capisca quanto ha guadagnato e che sappia qualcosa di quanto le ha riservato; infine, le fa perdere a poco a poco i sensi esterni, perché nulla le sia d’impedimento. Questo è il rapimento. E comincia allora a trattarla con tanta amicizia che non solo le restituisce la sua volontà, ma le dà, insieme, la propria, compiacendosi, ora che la tratta con tanta amicizia, di far sì che comandino a turno – come si dice – e di adempiere le sue richieste, come ella adempie ciò ch’egli le comanda di fare; solo ch’egli opera molto meglio perché, essendo onnipotente, può ciò che vuole e non smette mai di volere.

13. Invece l’anima, poveretta, qualunque cosa voglia, non può fare quel che vorrebbe, anzi, non può far nulla senza un dono di Dio. Questa è la sua maggior ricchezza: restare tanto più debitrice quanto più serve, e spesso tormentata dal vedersi soggetta a tanti inconvenienti, ostacoli e legami che comporta lo stare nel carcere di questo nostro corpo, perché vorrebbe pagare almeno qualcosa del suo debito. Ma è molto sciocca a tormentarsi; infatti, se anche facesse tutto quello che dipende da lei, che cosa possiamo pagare noi che – ripeto – non abbiamo nulla da dare se non lo abbiamo ricevuto? Non possiamo fare altro che riconoscerci incapaci e compiere perfettamente quanto possiamo con il dono della nostra volontà. Tutto il resto è d’intralcio per l’anima che il Signore ha elevato a questo stato; così, invece di giovarle, le nuoce, perché solo l’umiltà può essere di qualche vantaggio, non quella che si acquista con l’intelletto, bensì quella che deriva dall’evidenza della verità e fa capire in un momento ciò che in molto tempo non si riusciva a immaginare con faticose riflessioni circa la nullità assoluta del nostro essere e la grandezza di Dio.

14. Voglio darvi un consiglio: non pensate d’arrivare a questo stato in virtù dei vostri sforzi e del vostro zelo; sarebbe inutile: se prima avevate devozione, ora cadreste nella freddezza. Dovete solo, con la semplicità e l’umiltà che ottiene tutto, dire: fiat voluntas tua.

CAPITOLO 33

Indica quanto abbiamo bisogno che il Signore ci dia quello che gli chiediamo con queste parole del Pater noster: Panem nostrum quotidianum da nobis hodie.

1. Il buon Gesù si rendeva conto, dunque, di quanto fosse difficile quest’offerta fatta al Padre in nostro nome, conoscendo la nostra umana fragilità e sapendo che spesso fingiamo di non conoscere quale sia la volontà del Signore. Di fronte alla nostra debolezza, pietoso com’egli è, capì che occorreva trovare un mezzo per aiutarci, perché non adempiere quanto era stato promesso sarebbe stato contrario al nostro interesse, visto che in ciò sta tutto il nostro profitto. Si rese dunque conto della difficoltà di quest’adempimento. Infatti, se si dice a un ricco gaudente che la volontà di Dio comporta che egli faccia attenzione a moderarsi a tavola, affinché gli altri, che muoiono di fame, possano mangiare almeno il pane, tirerà fuori mille pretesti per non sentir ragioni che non rispondano a quello che gli fa comodo. Se si ricorda a un maldicente che la volontà di Dio comporta l’amare il prossimo come se stessi, non potrà sopportarlo, e nessuna ragione sarà sufficiente a convincerlo. Se poi direte a un religioso, amante della sua libertà e dei suoi comodi, che deve tener presente il suo obbligo di dare buon esempio e che deve badare a che non siano soltanto parole quelle che egli pronuncia, ma ricordarsi che ne ha promesso e giurato l’adempimento, che è volere di Dio che egli osservi i suoi voti, e che, dando scandalo, va decisamente contro di essi, anche se non li violi del tutto, che si è impegnato alla povertà e deve rispettarla senza giri viziosi, che tale è la volontà del Signore, vedrete che non c’è possibilità, ancora oggi, di essere ascoltati, per lo meno da alcuni. Che avrebbero essi fatto, dunque, se il Signore non avesse facilitato la maggior parte dell’impegno con il rimedio che ci ha dato? Non ce ne sarebbero che ben pochi ad adempiere queste parole, che egli rivolse al Padre in nostro nome: Fiat voluntas tua. Il buon Gesù, vista, dunque, la necessità del suo aiuto, ricorse a un mezzo ammirevole con il quale ci mostrò il grandissimo amore che ci portava, rivolgendo al Padre, a nome suo e dei suoi fratelli, questa preghiera: Dacci oggi, Signore, il nostro pane quotidiano. Per amor di Dio, sorelle, intendiamo bene quanto chiede per noi il nostro buon Maestro, perché ne va la vita della nostra anima a prenderlo alla leggera; e non fate gran conto di quel che avete dato al Signore, considerato il molto che dovrete ricevere da lui.

2. Ora, a me sembra, salvo un miglior parere, che il buon Gesù, considerato ciò che aveva promesso in nostro nome, quanto fosse importante per noi adempierlo e la grande difficoltà – come si è detto – di riuscirvi, deboli come siamo, così attaccate alle cose della terra e così poco dotate di amore di coraggio, visto che era necessario farci guardare al suo amore per risvegliarci, e non una volta sola, ma ogni giorno, prese la decisione di restare con noi. E poiché era cosa di assai grande importanza e gravità, volle che venisse dalle mani del suo eterno Padre. Ciò in quanto, pur essendo essi una stessa cosa e sapendo che quanto egli avesse fatto in terra Dio l’avrebbe confermato in cielo e l’avrebbe ritenuto valido, perché entrambi hanno una sola volontà, la sua umiltà era così grande che volle quasi chiedergliene il permesso, sicuro del suo amore e del suo compiacimento. Sapeva bene che in questa supplica gli chiedeva più di tutto quanto gli avesse già chiesto, conoscendo la morte che gli avrebbero dato e i disonori e gli oltraggi che avrebbe patito.

3. Oh, Signore, qual è il padre che dopo averci dato suo figlio, e un tal figlio, così perfetto, potrebbe consentire che restasse ogni giorno fra noi a patire? Certamente nessuno, Signore, fuorché il vostro: voi sapevate bene a chi rivolgevate la vostra preghiera. Oh, mio Dio, che grande amore quello del Figlio e che grande amore quello del Padre! Ancora non mi meraviglio tanto del buon Gesù, perché avendo ormai detto: fiat voluntas tua, doveva adempiere tale volontà da par suo. Egli non è certo come noi! E sapendo che la adempiva amandoci come se stesso, cercava di farlo con maggior perfezione, anche a prezzo del suo sacrificio. Ma voi, eterno Padre, come avete potuto consentirlo? Perché volete ogni giorno vostro Figlio in mani così indegne? Per una volta che l’avete permesso, acconsentendo alla sua richiesta, avete ben visto come lo trattarono. Come può la vostra pietà sopportare di vederlo ogni giorno, immancabilmente, fatto oggetto di offese? E quante credo che oggi se ne facciano a questo santissimo Sacramento! In quante mani nemiche il Padre è costretto a vederlo! Quante irriverenze da parte di questi eretici!

4. Oh, Signore eterno! Come potete accettare tale richiesta? Come potete acconsentirvi? Non badate al suo amore, perché egli, pur di adempiere scrupolosamente la vostra volontà e di operare per il nostro bene, si lascerà fare a pezzi ogni giorno. Spetta a voi prendervene cura, mio Signore, visto che vostro Figlio non conosce ostacoli, in quanto ogni nostro bene dev’essere a sue spese. Perché sopporta tutto in silenzio e non sa parlare per sé, ma solo in nostro favore? Possibile che non ci sia nessuno che prenda le difese di questo Agnello pieno di amore? Mi ha colpito come solo in questa richiesta ripeta le stesse parole, perché anzitutto prega che ci venga dato questo pane ogni giorno e torna poi a dire: Daccelo oggi, Signore, e ripete il nome di suo Padre. Questo è come dirgli che, avendocelo già dato una volta, perché morisse per noi, così che è ormai nostro, non ce lo levi più sino alla fine del mondo, ma ce lo lasci perché ci serva ogni giorno. Tale pensiero, figlie mie, vi riempia il cuore di tenerezza e lo infiammi d’amore per il vostro Sposo. Non c’è schiavo che riconosca volentieri di esserlo, mentre il buon Gesù sembra che ne sia onorato.

5. Oh, eterno Padre! Quanto è grande il merito dell’umiltà! Con quale tesoro abbiamo comprato vostro Figlio? Per venderlo, ben sappiamo che sono bastati trenta denari, ma per comprarlo non c’è prezzo che basti. Qui si fa tutt’uno con noi in quanto è partecipe della nostra natura, ma, in quanto padrone della sua volontà, fa presente a suo Padre che, poiché essa gli appartiene, ce la può dare, e per questo dice: il nostro pane. Non fa differenza tra lui e noi, ma la facciamo noi per il fatto di non donarci a Sua Maestà ogni giorno.

CAPITOLO 34

Prosegue sullo stesso argomento. Capitolo molto utile dopo aver ricevuto la comunione.

1. Sembra, dunque, che nella richiesta di avere il pane «ogni giorno» s’intenda averlo «per sempre». Se mi chiedo perché il Signore, dopo aver detto: «ogni giorno», soggiunse: «daccelo oggi, Signore», con «ogni giorno», credo, abbia voluto significare che lo possediamo qui, sulla terra, e che lo possederemo anche in cielo, se sapremo trarre profitto dalla sua compagnia. Egli infatti non rimane con noi per alcun altro motivo che non sia quello di aiutarci, incoraggiarci e sostenerci affinché si compia in noi questa volontà di cui abbiamo parlato.

2. Con «oggi», mi sembra che abbia voluto indicare «per un giorno», cioè finché durerà il mondo, non più. Ed è proprio un giorno! E lo dice anche per gli sventurati che si dannano, i quali non lo godranno nell’altra vita, e non è per colpa sua se si lasciano vincere, perché egli non cessa di incoraggiarli fino al termine della lotta. Non avranno di che scusarsi, né lamentarsi dell’eterno Padre di aver loro tolto suo Figlio nel momento in cui ne avevano maggiore bisogno. Pertanto il Signore gli dice che, non trattandosi di più di un giorno, glielo lasci passare in schiavitù. Se infatti Sua Maestà ce lo ha dato e lo ha mandato nel mondo solo per sua volontà, egli ora gli chiede, per la propria volontà, di non volerci abbandonare, ma di star qui con noi per maggior gloria dei suoi amici e castigo dei suoi nemici. Egli ripete questa richiesta solo per oggi, perché Sua Maestà – come ho detto – ci aveva già dato per sempre questo pane sacratissimo, questo alimento e questa manna dell’Umanità di Cristo, che possiamo trovare quando vogliamo; e se non è per colpa nostra, non moriremo di fame. Difatti, fra tutti i mezzi di cui l’anima vorrà usufruire per alimentarsi, solo nel santissimo Sacramento troverà piacere e consolazione. Non ci sono privazioni né sofferenze né persecuzioni che non sia facile superare dopo aver preso ad amare quelle del Salvatore.

3. Unitevi, figlie mie, a questo nostro Signore per chiedere al Padre che vi lasci «oggi» il vostro Sposo, e che non dobbiate vedervi senza di lui in questo mondo; che basti a temperare una gioia così grande il fatto di vederlo trasfigurato sotto le apparenze del pane e del vino, il che è un gran tormento per chi non ha altro da amare né altra consolazione. Supplicatelo che almeno non vi manchi mai e vi disponga a riceverlo degnamente.

4. Di altro pane non si devono preoccupare quelle tra voi che si siano abbandonate completamente alla volontà di Dio; voglio dire: non dovete darvene pensiero quando siete in orazione, e attendete a cose ben più importanti, perché ci sono altri momenti per lavorare e guadagnarvi da vivere. Ma non impegnate mai in tale preoccupazione lo spirito, lasciate solo che lavori il corpo, perché è giusto che lavoriate per mantenervi, ma l’anima riposi. Lasciatene la cura – come ampiamente è stato detto – al vostro Sposo, che non mancherà mai di averla.

5. È come quando, entrato un servo in una casa e adoperandosi a contentare in tutto il suo padrone, questi è obbligato a dargli da mangiare finché l’altro starà lì a suo servizio, a meno che sia tanto povero da non avere nulla né per sé né per il domestico. Ma qui non si tratta di questo, perché il padrone è e sarà sempre ricco e potente. Non sarebbe quindi ben fatto che il servo andasse a chiedergli da mangiare, sapendo che il suo padrone ha e avrà sempre cura di darglielo. Ben a ragione gli dirà di occuparsi di servirlo e del miglior modo per contentarlo, perché occupandosi di cose che non gli competono non farà nulla di buono. Pertanto, sorelle, si preoccupi chi vuole di chiedere questo pane; noi chiediamo all’eterno Padre di meritare di ricevere il nostro pane celeste in modo che, non potendo gli occhi del corpo dilettarsi di contemplarlo, nascosto com’è, si riveli a quelli dell’anima e le si dia a conoscere; è questo ben altro nutrimento, fatto di gioie e diletti, e sostenta la vita.

6. Potete forse pensare che questo santissimo cibo non sia un sostentamento anche per il corpo e una medicina perfino per i mali fisici? Io so che lo è, e conosco una persona soggetta a gravi malattie che, soffrendo spesso di atroci dolori, se risentiva togliere come con la mano, rimanendo completamente guarita. Ciò le accadeva assai di frequente, e si trattava di sofferenze così evidenti che, a mio giudizio, non si potevano simulare. Poiché sono assai note le meraviglie che questo santissimo pane opera in coloro che lo ricevono degnamente, non parlerò delle molte che potrei raccontare riguardanti la detta persona; ero in grado di conoscerle e so che non sono menzogne. Ma il Signore le aveva dato una fede così viva che quando udiva dire da alcuni che avrebbero voluto vivere al tempo in cui Cristo, nostro Bene, era in questo mondo, rideva dentro di sé, sembrandole che, se lo si possedeva nel santissimo Sacramento così realmente come allora, null’altro dovesse loro importare.

7. So inoltre di questa persona che per molti anni, anche se non era molto perfetta, quando prendeva la comunione, né più né meno che se avesse visto con gli occhi del corpo entrare il Signore nella dimora della sua anima, si adoperava a ravvivare la fede, per riuscire, credendo veramente che il Signore entrasse nella sua povera dimora, a distaccarsi, come le era possibile, da tutte le cose esteriori, e ad entrarvi con lui. Cercava di raccogliere i suoi sensi per far loro intendere un bene così grande; voglio dire che cercava di evitare che fossero d’impedimento all’anima per conoscerlo. Si considerava ai suoi piedi e piangeva con la Maddalena, né più né meno che se lo avesse visto con gli occhi del corpo in casa del fariseo, e benché allora non sentisse ancora devozione, la fede le diceva ch’era davvero lì.

8. Se infatti non vogliamo essere sciocchi e non vogliamo chiudere volontariamente gli occhi all’intelligenza, non c’è da avere alcun dubbio, perché non si tratta qui di frutto dell’immaginazione come quando consideriamo il Signore sulla croce o in un altro momento della passione. Questo accade ora, ed è assoluta verità e non c’è ragione di andarlo a cercare altrove, più lontano. Sappiamo, infatti, che, finché il calore naturale non abbia consumato gli accidenti del pane, il buon Gesù sta in noi: avviciniamoci, dunque, a lui! E se, quando era nel mondo, il solo tocco delle sue vesti sanava gli infermi, come si può dubitare, avendo fede, che non farà miracoli così intimamente unito a noi, e non ci darà quanto gli chiederemo, trovandosi nella nostra casa? Sua Maestà non ha certo l’abitudine di pagare male l’alloggio, se gli viene data confortevole ospitalità.

9. Se vi affligge non vederlo con gli occhi del corpo, pensate che ciò non è opportuno: è ben altra cosa vederlo glorificato che vederlo com’era nel mondo; a causa della nostra naturale debolezza, non ci sarebbe nessuno capace di sopportarne la vista, né ci sarebbe più il mondo, né chi volesse viverci, perché, contemplando questa eterna verità, risulterebbero burla e menzogna tutte le cose a cui quaggiù diamo importanza. E vedendo una tale Maestà, come oserebbe una povera peccatrice quale, ad esempio, sono io, che l’ha offeso tante volte, stargli così vicino? Sotto la specie di quel pane è accessibile, perché se il re si traveste, sembra che non si debba fare alcun caso di parlare con lui senza tanti riguardi e soggezioni; par quasi obbligato a sottostarvi, essendosi travestito. Altrimenti chi oserebbe avvicinarlo con la freddezza, l’indegnità, le imperfezioni di cui siamo pieni?

10. Oh, com’è vero che non sappiamo quel che gli chiediamo e come egli, nella sua sapienza, ha provveduto meglio a tutto! infatti, quando vede che le anime trarranno profitto dalla sua presenza, egli si manifesta ad esse. E se anche non lo vedono con gli occhi del corpo, egli dispone di molti mezzi per rivelarsi loro, sia mediante grandi sentimenti interiori, sia per altre vie. Statevene dunque con lui di buon animo; non perdete una così bella occasione per trattare dei vostri interessi, quella che si offre dopo la comunione. Se l’obbedienza v’impone, sorelle, di far altro, cercate di lasciar l’anima con il Signore, perché se subito portate il pensiero su cose esterne e non fate caso di lui, né considerate che egli sta dentro di voi, come potrà darvisi a conoscere? Questo è, dunque, un momento buono perché il nostro Maestro possa darci i suoi insegnamenti, perché lo ascoltiamo e gli baciamo i piedi in riconoscenza di quanto ha voluto insegnarci e lo supplichiamo di non andar via da noi.

11. Se doveste fare tali richieste davanti a un’immagine di Cristo, mi sembrerebbe una stoltezza lasciare Cristo in persona per contemplare il ritratto. Non sarebbe forse così se avessimo il ritratto di una persona che amiamo molto e, venendo ella a farci visita, noi lasciassimo di parlare con lei e svolgessimo tutta la nostra conversazione con il suo ritratto? Sapete quando è utile, invece, e quando a me è causa di gioia? Quando il Signore è assente, e ce lo fa capire con le molte aridità che sentiamo; allora, sì, è una grande gioia vedere un’immagine di colui che abbiamo tante ragioni d’amare. Da parte mia, da qualunque parte volgessi gli occhi, vorrei vederlo. In che cosa infatti di meglio e di più dilettevole possiamo impiegare lo sguardo che nella contemplazione di colui che tanto ci ama e che in sé racchiude ogni bene? Infelici gli eretici che, per loro colpa, hanno perduto questa consolazione, insieme a molte altre!

12. Appena dunque avete ricevuto nell’ostia il Signore, poiché vi trovate in presenza della sua persona, cercate di chiudere gli occhi del corpo e di aprire quelli dell’anima: fissateli in fondo al vostro cuore. Vi dico, torno a ripetervi, e vorrei dirvelo molte volte ancora che, se prendete l’abitudine di fare questo ogni volta che ricevete la comunione, e se cercate di avere la coscienza talmente pura da poter godere con frequenza di questo Bene, egli non si presenterà mai così trasfigurato che – come ho detto – non ci sia possibilità di riconoscerlo, in proporzione del desiderio che abbiamo di vederlo. Potrete anche desiderarlo con un ardore tale da spingerlo a manifestarsi completamente.

13. Ma se non ci curiamo di lui e, appena ricevutolo, l’abbandoniamo per correre dietro alle cose della terra, cosa deve fare? Deve forse trascinarci per forza a renderci conto che vuole rivelarsi a noi? No, certo, perché non fu trattato bene quando si fece vedere senza veli da tutti dicendo chiaramente chi era, e ben pochi furono a credergli. Sua Maestà pertanto ci usa una grande misericordia nel volere che ci rendiamo conto della sua presenza nel santissimo Sacramento. Ma farsi vedere apertamente, comunicare le sue grandezze e distribuire i suoi tesori, non vuol concederlo se non a coloro di cui scorge l’ardente desiderio che hanno di lui, perché questi sono i suoi veri amici. E io vi dico che chiunque non lo sia e non giunga a far tutto quello che può per riceverlo come tale, si risparmi d’importunarlo perché egli si dia a conoscere. Ha appena adempiuto al precetto della Chiesa, che lascia la sua casa e fa in modo di cacciarlo da sé. Costui pertanto, ingolfato negli affari, nelle occupazioni e nelle brighe del mondo, sembra che si dia fretta, il più possibile, a far sì che non gli occupi la casa chi ne è il padrone.

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