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Eccellenza della preghiera del Pater Noster: trovare in essa consolazione.

Tratto da "Cammino di perfezione" Capitoli 35, 36, 37, 38

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 35

Conclude l’argomento trattato con un’esclamazione all’eterno Padre.

1. Mi sono assai dilungata su questo argomento, anche se già avevo parlato circa l’orazione di raccoglimento, della grande importanza di ritirarci nel nostro intimo per ritrovarci sole con Dio, essendo cosa assai importante. Anche quando non riceverete la comunione, ascoltando la Messa, potete comunicarvi spiritualmente e raccogliervi poi nel vostro intimo, il che è di grandissimo profitto; così, infatti, s’imprime nel cuore un profondo amore di nostro Signore. Dal momento in cui ci prepariamo a riceverlo egli non cessa mai di farci doni in molti modi che ci sono ignoti. È come avvicinarci al fuoco che, sia pur molto grande, se ne state lontano e nascondete le mani, non riuscirà a riscaldarvi molto, anche se vi darà sempre molto più caldo che non se foste dove esso manca. Ben diverso è volersi accostare al Signore, perché se l’anima è ben disposta – intendo dire se ha il desiderio di togliersi il freddo di dosso – e se resta lì un momento, di calore ne avrà per molte ore.

2. Badate inoltre, sorelle, che se al principio non vi trovaste tanto bene –, cosa probabile, perché il demonio, conoscendo il gran danno che gliene viene, vi darà strette e angosce di cuore, facendovi credere che troverete più devozione in altre pratiche che non in questa –, non abbandonate tale metodo: in esso il Signore metterà a prova l’amore che gli portate. Ricordatevi che vi sono poche anime che l’accompagnano e lo seguono nei patimenti; soffriamo qualcosa per lui ed egli ce lo pagherà. Ricordate anche che vi saranno perfino anime le quali non solo non vogliono stare con lui, ma lo cacciano scortesemente da sé. Dobbiamo dunque soffrire un po’ per dimostrargli il desiderio che abbiamo di vederlo. E poiché egli soffre e soffrirà sempre tutto, pur di trovare una sola anima che lo accolga e lo trattenga in sé con amore, fate che sia la vostra! Se infatti non ve ne fosse alcuna, a buon diritto l’eterno Padre non gli permetterebbe di restare con noi. Ma egli è così amico dei suoi amici e così buon padrone dei suoi servi che, vedendo il desiderio del suo Figlio divino, non lo distoglierà mai da un’opera così divina, nella quale dimostra con tanta perfezione l’amore che nutre per suo Padre.

3. Allora, Padre santo che siete nei cieli, poiché lo volete e l’accettate, essendo chiaro che non potete rifiutarvi di concedere un favore di così gran profitto per noi, ci dev’essere qualcuno – come ho detto all’inizio – che prende le difese di vostro Figlio, perché egli non le ha mai prese in suo favore. Ebbene, prendiamole noi, figlie mie, anche se è una temerità, essendo quelle che siamo, ma fiduciose che è il Signore a imporci di chiedere. Obbedienti al suo comando, in nome del buon Gesù, supplichiamo Sua Maestà che, non avendo suo Figlio tralasciato di far nulla per dare a noi, poveri peccatori, un così gran beneficio come questo, la sua pietà non voglia permettere che sia oltraggiato , ponendovi rimedio. E poiché il suo santo Figlio ce ne ha fornito uno così incomparabile che ci permette di offrirgli lui stesso in sacrificio di continuo, valga tale dono prezioso ad arrestare il corso di tanti gravi mali ed irriverenze come son quelli che si commettono nei luoghi ove stava questo santissimo Sacramento e dove i luterani hanno distrutto le chiese, cacciati tanti sacerdoti e soppressi i sacramenti.

4. Che è mai questo, mio Signore e mio Dio! O date fine al mondo o ponete rimedio a tanti terribili mali! Non c’è cuore, infatti, che lo sopporti, neanche i nostri, pur essendo noi tanto miserabili. Vi supplico, eterno Padre, di non sopportarlo voi oltre; arrestate questo fuoco, Signore, voi che, volendolo, lo potete. Considerate che vostro Figlio è ancora nel mondo; per rispetto a lui cessino tante cattiverie, orrori e sozzure: la sua bellezza e la sua purezza non meritano ch’egli stia dove si annidano simili cose. Non fatelo per noi, Signore, che non lo meritiamo; fatelo per vostro Figlio. Quanto a supplicarvi che egli non resti quaggiù, non osiamo chiedervelo: che ne sarebbe di noi? Se infatti c’è qualcosa con cui potervi placare è l’aver fra noi tale pegno. Ma ci dev’essere, mio Signore, qualche rimedio a tutto questo. Vostra Maestà vi faccia ricorso.

5. Oh, mio Dio! Potessi io importunarvi insistentemente e avervi reso molti servigi per chiedervi la grazia in ricompensa di essi, visto che non ne lasciate alcuno senza retribuzione. Ma non l’ho fatto, Signore, anzi forse proprio io ho provocato la vostra collera a causa dei miei peccati, da attirare tanti mali. Allora, che altro posso fare se non presentarvi questo Pane sacratissimo e, anche se ce l’avete dato, tornare a darvelo e supplicarvi, per i meriti di vostro Figlio, che mi facciate questa grazia ch’egli ha meritato in tanti modi? Oh, sì, Signore, fate che questo mare si calmi, che non proceda sempre in così gran tempesta la nave della Chiesa, e salvateci, Signore, perché siamo sul punto di perire.

CAPITOLO 36

Tratta di queste parole del Pater noster: Dimitte nobis debita nostra.

1. Il nostro buon Maestro vedendo, dunque, che con questo nutrimento celeste tutto ci è facile, purché non siamo noi a mancare, e che possiamo adempiere assai bene ciò che abbiamo detto al Padre circa il compimento in noi della sua volontà, lo prega ora di perdonarci i nostri debiti, perché noi perdoniamo a nostra volta. Pertanto, proseguendo nell’orazione che ci insegna, dice queste parole: Perdonaci, Signore, i nostri debiti, come noi li perdoniamo ai nostri debitori.

2. Consideriamo, sorelle, che non dice: «come perdoneremo», ma «come perdoniamo», per farci capire che chi chiede un dono così grande come il precedente e chi ha ormai rimesso la sua volontà in quella di Dio, debba aver già fatto questo. Chi avrà, pertanto, detto di tutto cuore al Signore: Fiat voluntas tua, deve aver già perdonato tutto, o almeno deve esserselo proposto. Considerate quindi, sorelle, perché i santi godevano di patire offese e persecuzioni: per aver qualcosa da offrire al Signore quando lo pregavano. Ma che farà mai una misera creatura come me, che ha avuto così poco da perdonare e alla quale c’è tanto da perdonare? Questa è una verità, sorelle, su cui dobbiamo molto riflettere. Una grazia così grande e tanto importante, come il perdono da parte di nostro Signore dei nostri peccati meritevoli del fuoco eterno, ci è concessa in cambio di una cosa di così poco prezzo com’è quella di perdonare anche noi. E io ho tanto poco da perdonare che voi, Signore, dovete perdonarmi gratuitamente! Questa è una bella occasione per l’attuazione della vostra misericordia. Siate benedetto perché mi sopportate, misera qual sono, accogliendo la preghiera che vostro Figlio fa in nome di tutti, ma in cui io non dovrei esser compresa per il fatto d’esser così povera e priva di risorse.

3. Ma, mio Signore, non ci saranno altre persone che mi rassomiglino e non abbiano inteso, come me, questa verità? Se ci sono, io le prego, in vostro nome, di pensarci e di non dare importanza a certe piccolezze che si chiamano offese: far caso a questi punti d’onore è come quando i bambini vogliono costruire casette con le pagliuzze. Oh, mio Dio, sorelle, se riuscissimo a capire che cos’è il vero onore e in cosa consiste il non perderlo! Con questo io non mi riferisco a voi, che commettereste un gran male se ancora non lo sapeste, ma parlo di me nel tempo in cui facevo caso dell’onore, senza sapere che cosa fosse. Seguivo l’opinione comune. Oh, di quante cose mi sentivo offesa, al punto da vergognarmene oggi! E pensare che non ero di quelle che badavano particolarmente a questi punti d’onore, ma non andavo al nocciolo della questione, perché non consideravo né davo importanza all’onore in cui è implicito un profitto, cioè quello che è utile all’anima. Come ha detto bene colui che ha affermato che onore e profitto non possono stare insieme! Io non so se lo ha detto a questo proposito, ma è esattamente così, perché il profitto dell’anima e quello che il mondo chiama onore non possono mai andare d’accordo. È spaventoso vedere come il mondo vada alla rovescia. Sia benedetto il Signore, per averci tirato fuori da esso!

4. Ma state attente, sorelle, che il demonio non si dimentica di noi; inventa punti d’onore anche nei monasteri e ne stabilisce le leggi, in base alle quali si sale o si scende di dignità, come nel mondo. I dotti devono regolarsi secondo il grado del loro sapere – benché io non sappia nulla di ciò – e, per esempio, colui che è giunto ad essere un professore di teologia non deve abbassarsi a insegnare filosofia, perché il punto d’onore vuole che si salga e non che si scenda. Se anche glielo imponesse l’obbedienza, la prenderebbe come un’offesa e troverebbe chi condivide il suo parere, ritenendolo un affronto. Il demonio, intanto, trova motivi in base ai quali sembra che abbia ragione anche secondo la legge di Dio. Fra noi monache, poi, quella che è stata priora, non è più utile per un altro ufficio inferiore; quella che è più anziana esige segni di rispetto, e di questo non ci dimentichiamo mai, anzi ci facciamo un merito dell’averlo presente, perché l’Ordine ce lo impone.

5. C’è proprio da ridere o forse, meglio, da piangere! Come se la Regola c’imponesse di non avere umiltà! Esige che vi sia un ordine, ma io non debbo essere così esigente dei riguardi dovutimi da preoccuparmi tanto di questo punto della Regola, come di altri, che forse potrò osservare in modo imperfetto. Tutta la nostra perfezione non sta nel rispettare la Regola solo a questo riguardo. Altre ci baderanno per me, se io la trascuro. Il fatto è che, essendo inclini a salire – anche se per questa strada non saliremo al cielo – non accettiamo di scendere. Oh, Signore, Signore! Non siete voi il nostro modello e il nostro Maestro? Sicuramente sì. Ebbene, in cosa avete posto il vostro onore, voi che siete il datore dell’onore nostro? Forse che l’avete perduto, umiliandovi fino alla morte? No, Signore, non l’avete perduto, ma l’avete guadagnato per tutti.

6. Oh, per amor di Dio, sorelle, guardiamoci dal perdere la strada perché si sbaglia fin dal principio! E piaccia a Dio che non si perda nessun’anima per osservare questi miserabili punti d’onore, senza comprendere in cosa consista il vero onore! Per giunta, arriveremo a pensare di aver fatto molto perdonando una miseria di tal genere, che non era offesa, né ingiuria, né niente, e come se avessimo fatto qualcosa, andremo a chiedere perdono al Signore perché abbiamo perdonato. Fateci capire, Dio mio, che non comprendiamo nulla, che ci presentiamo davanti a voi con le mani vuote e perdonateci per la vostra misericordia. In verità, Signore, non vedo, infatti, nulla (poiché tutte le cose hanno una fine quaggiù, mentre il castigo è eterno) che meriti di esservi presentato allo scopo di ottenere da voi una grazia così grande, se non è per colui che ve la chiede.

7. Ma quanto dev’essere stimato questo reciproco amore dal Signore! Il buon Gesù, infatti, avrebbe potuto presentargli altre ragioni e dire: «Perdonateci, Signore, poiché facciamo molta penitenza», o «perché preghiamo molto e digiuniamo», o «perché abbiamo abbandonato tutto per voi e vi amiamo moltissimo» e non ha neanche detto «perché siamo disposti a perdere la vita per voi», né – ripeto – altre cose che avrebbe potuto dire, ma solamente «perché noi perdoniamo». Forse, conoscendoci talmente attaccati a questo falso punto d’onore che ci resta assai difficile giungere noi a liberarcene e sapendo che a suo Padre è particolarmente gradito il sacrificio, dice e offre questo da parte nostra.

8. Considerate inoltre bene, sorelle, l’espressione «come noi perdoniamo»: cioè ne parla – ripeto – come di cosa già fatta. E fate molta attenzione a ciò: se dalla grazia che Dio concede all’anima nell’orazione che ho chiamato di contemplazione perfetta, essa non trae la ferma determinazione – e non sia pronta, all’occorrenza, a mantenerla – di perdonare qualunque offesa, per grave che sia, e non queste sciocchezze a cui si dà il nome di offese, non confidi molto nella propria orazione, perché l’anima che Dio avvicina a sé in così elevata orazione non dà importanza all’essere stimata o no. Non mi sono espressa bene: c’è, sì, qualcosa che le sta a cuore: le dà molto maggior pena l’onore del disonore, e una gran gioia goduta in tutto riposo la fa soffrire più delle pene. Quando infatti Dio le dato davvero qui il suo regno, essa non vuole più altro riposo in questo mondo: si rende conto che per regnare in modo più alto è questo il vero cammino, avendo visto per esperienza il gran profitto che trae e i progressi che compie nel soffrire per Dio, perché è raro che Sua Maestà giunga a concedere tali grandi favori se non si tratta di persone che hanno sopportato di buon animo molte sofferenze per amor suo. Infatti, come ho già detto in altro luogo di questo libro, sono grandi le tribolazioni dei contemplativi e il Signore non le manda se non ad anime sperimentate.

9. Potete dunque capire, sorelle, che tali anime, comprendendo il nulla di tutte le cose terrene, non indugiano molto su ciò che passa. Se, in un primo momento, una grave ingiuria o una dura prova le fa soffrire, non se ne rendono ancora ben conto. Subito sopravviene la ragione e sembra che innalzi la bandiera della vittoria quasi annullando del tutto quella pena, per la gioia che esse hanno di vedere come il Signore abbia fornito loro il mezzo con cui guadagnare in un giorno, di fronte a Sua Maestà, più grazie e favori eterni di quel che forse non avrebbero guadagnato in dieci anni di tribolazioni di loro scelta. Questo è assai frequente, per quel che ne so io che ho trattato con molti contemplativi, e sono sicura che succede proprio così. Come altri apprezzano l’oro e i gioielli, esse apprezzano le sofferenze e le desiderano, perché sanno che le faranno ricche.

10. Queste persone sono molto lontane dal tenersi in alcuna stima: hanno piacere che i loro peccati siano conosciuti e godono nel rivelarli quando si accorgono di essere stimate. Lo stesso accade loro per quanto riguarda la propria stirpe, poiché ormai sanno che nel regno eterno non guadagneranno nulla in considerazione di essa. Se godono d’essere di una stirpe illustre è quando ciò sia necessario per servire meglio Dio; altrimenti soffrono di essere stimate al di là dei loro meriti e non solo si adoperano a disingannare gli altri senza provarne alcuna pena, ma con gioia. È certo che le anime alle quali il Signore concede questa umiltà e un grande amore di Dio sono ormai così dimentiche di sé, quando si tratta di servirlo meglio, che non possono neanche credere che altre siano sensibili a certe cose né che le considerino ingiuria.

11. Questi effetti di cui ho parlato or ora sono propri di persone già pervenute a un alto grado di perfezione, e alle quali il Signore molto di frequente concede la grazia di avvicinarle a sé mediante la contemplazione perfetta. Ma i primi effetti, che consistono nell’essere decisi a patire ingiurie e sopportarle anche a costo della pena che se ne provi, ripeto che si hanno assai presto, quando si riceve dal Signore la grazia dell’orazione fino a giungere all’unione. Se l’anima non consegue questi effetti e non esce dall’orazione fermamente decisa a soffrire, deve ritenere che essa non le veniva da Dio, ma che si trattava di qualche illusione e attrattiva del demonio per farle credere di essere privilegiata d’un particolare onore.

12. Può darsi che, all’inizio, quando il Signore concede queste grazie, l’anima non abbia subito molta forza, ma sostengo che se continua a riceverne, in breve tempo l’acquisterà. E se non l’ha nei riguardi di altre virtù, l’avrà certamente nei confronti del perdono. Io non posso credere che un’anima pervenuta così vicino alla stessa misericordia, con l’aiuto della quale riconosce quello che è e quanto Dio le ha perdonato, tralasci di perdonare subito con la più grande facilità e non resti rasserenata dall’essere in buon accordo con chi l’ha offesa. Siccome ha presenti le grazie e i favori ricevuti, nei quali ha visto le testimonianze del grande amore di Dio, gioisce di avere anch’essa qualcosa per testimoniare l’amore che nutre per il Signore.

13. Ripeto, conosco molte persone che Dio ha favorito di grazie soprannaturali, accordando loro questa orazione o contemplazione di cui ho parlato. Anche se le vedo con molti difetti e imperfezioni, pure non ne ho visto né credo che ve ne sarà nessuna che lasci a desiderare su questo punto, purché le grazie vengano da Dio, come ho detto. Colui che ne riceverà di più grandi consideri se tali effetti vadano in lui aumentando, e se non ne scorgesse in sé alcuno, avrà molto di che temere ed essere certo che i favori non vengono da Dio, il quale – ripeto – arricchisce sempre l’anima alla quale si unisce. Questo è fuor di dubbio, perché anche se la grazia e il favore passano presto, se ne ha la consapevolezza a poco a poco, dal profitto che ne viene all’anima. E siccome il buon Gesù lo sa bene, con piena determinazione dice al suo divin Padre che perdoniamo ai nostri debitori.

CAPITOLO 37

Parla dell’eccellenza della preghiera del Pater noster e dei vari modi di trovare in essa consolazione.

1. C’è da lodare molto il Signore per la sublime perfezione di questa preghiera evangelica, che reca l’impronta di un così buon Maestro; pertanto, ognuna di noi, figlie mie, può servirsene a seconda delle sue necessità. Io sono meravigliata nel vedere che in così poche parole sono racchiuse tutta la contemplazione e tutta la perfezione, al punto che sembra non ci sia bisogno di studiare altro libro all’infuori di questo. Il Signore, infatti, fin qui ci ha insegnato tutti i gradi di orazione e di alta contemplazione, dalla preghiera dei principianti all’orazione mentale, a quella di quiete e di unione. Se fossi capace di esporre tutto questo, potrei comporre un gran libro di orazione, basandomi su così saldo fondamento. Ora egli già comincia a farci comprendere gli effetti che lasciano queste grazie, quando sono sue, come avete visto.

2. A volte, mi sono chiesta perché Sua Maestà non si sia spiegato più chiaramente circa cose tanto elevate e oscure, in modo che ogni persona le capisse. Mi è sembrato che, siccome quest’orazione era destinata a tutti in generale, il suo intento, nel lasciarla un po’ confusa, è stato che ciascuno potesse pregare secondi i suoi bisogni particolari e trovare nella preghiera motivo di consolazione, persuaso di interpretarla bene. Così, i contemplativi, che non hanno più desiderio di beni terreni, e le anime che si sono date profondamente a Dio chiedono quei favori celesti che per la bontà divina possono esser dati in questo mondo. Coloro invece che vivono ancora legati ad esso, e devono viverci in conformità del loro stato, chiedono anch’essi il loro pane, destinato al sostentamento proprio e delle proprie famiglie, richiesta ben giusta e santa, come quella di altre cose, in base alle loro necessità.

3. Ma state attente che queste due promesse, l’una del consegnare la nostra volontà nelle sue mani, l’altra del perdonare le offese, riguardano tutti. È vero che in ciò si può fare di più o di meno – come ho detto – : quelli che sono perfetti consegneranno la loro volontà in modo perfetto e perdoneranno con la perfezione di cui si è parlato; noi, sorelle, faremo quello che potremo: il Signore riceve tutto, perché sembra che il nostro Maestro abbia stabilito con suo Padre una specie di accordo in nostro nome, come chi dice: Voi fate questo, Signore, e i mie i fratelli faranno quest’altro. E si può essere certi che, da parte sua, non mancherà mai. Oh, egli è un ottimo retributore e paga sempre senza misura!

4. Ci potrà anche accadere un giorno di recitare questa preghiera in modo tale ch’egli, vedendo l’assenza in noi di infingimenti e il fermo proposito di fare quanto diciamo, ci arricchirà dei suoi doni. Egli ama molto che trattiamo con lui sinceramente, con semplicità e con chiarezza, senza dire una cosa con le labbra e averne un’altra in cuore, e quando lo facciamo, ci concede sempre più di quel che gli chiediamo. Il nostro buon Maestro conosceva tutto questo e sapeva che chi fosse arrivato davvero alla perfezione nel chiedere, sarebbe giunto a un grado molto elevato per le grazie che avrebbe ricevuto dal Padre. Egli sapeva che coloro che sono già perfetti, o che si avviano ad esserlo, non hanno alcuna paura, né devono averla, visto che, come si dice, tengono sotto i piedi il mondo. Il Signore del mondo è contento di loro, potendo, essi, invero, nutrire grande speranza che lo sia Sua Maestà per gli effetti da lui operati nelle loro anime. Sapeva infine che, assorti in quelle grazie, non avrebbero voluto più ricordare che c’è un altro mondo né che ci sono possibili nemici.

5. Oh, Sapienza eterna! Oh, buon Maestro! E che gran cosa è, figlie mie, un maestro saggio e prudente che previene i pericoli! E questo è il più grande bene che un’anima spirituale possa desiderare quaggiù: camminare con sicurezza. Non saprei trovare parole adeguate per esprimere l’importanza di tale grazia. Il Signore, vedendo infatti la necessità di svegliare queste anime, ricorda loro che hanno nemici. E sapendo quanto più pericoloso sarebbe per esse procedere distrattamente, perché hanno molto più bisogno dell’eterno Padre, cadendo più dall’alto, per impedire che, senza rendersene conto, restino ingannate, gli rivolge queste richieste così necessarie a tutti noi finché viviamo in quest’esilio: E non c’indurre, Signore, in tentazione, ma liberaci dal male.

CAPITOLO 38

Tratta della grande necessità in cui siamo di supplicare l’eterno Padre perché ci conceda ciò che chiediamo con queste parole: Et ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo, e spiega alcune tentazioni. È un capitolo degno di nota.

1. Qui abbiamo, sorelle, grandi cose da meditare e da comprendere, poiché ci disponiamo a chiederle a Dio. Considerate, anzitutto, che io ritengo assolutamente certo che coloro i quali arrivano alla perfezione non chiedono a Dio di liberarli dai pericoli né dalle tentazioni né dalle persecuzioni né dalle lotte; è questo un altro indizio ben grande ed evidente che la contemplazione e le grazie ad essi concesse da Sua Maestà provengono dallo spirito del Signore e non sono frutto di illusione. Anzi, come ho detto poco fa, desiderano – piuttosto che temere – tali prove e le amano. Somigliano ai soldati che son più contenti quando hanno più occasioni di combattere, nella speranza di uscirne con maggior guadagno. Se infatti tali occasioni mancano, militando col soldo ordinario, vedono che non possono arricchirsi molto.

2. Credetemi, sorelle, che i soldati di Cristo, cioè quelli che sono elevati alla contemplazione e che praticano l’orazione, non vedono l’ora di combattere, né mai temono molto i nemici dichiarati; ormai li conoscono, sanno che, contro la forza che Dio pone in loro, sono impotenti, e che essi usciranno dalla lotta sempre vincitori e con gran bottino; pertanto, non volgono mai loro le spalle. I nemici che temono, ed è giusto che li temano, pregando Dio di esserne liberati, sono certi nemici traditori, cioè quei demoni che assumono l’aspetto di angeli di luce: si presentano sotto altra veste. Fin tanto che non abbiano fatto molto danno all’anima, non si lasciano conoscere, ma ci succhiano a poco a poco il sangue e ci distruggono le virtù, così da farci piombare nella tentazione senza che ce ne rendiamo conto. Da tali nemici, figlie mie, quando recitiamo il Pater noster, preghiamo e supplichiamo incessantemente il Signore di liberarci e di non permettere che, vittime di qualche inganno, cadiamo in tentazione ma di far sì che si scopra dove sta il veleno e non si nasconda ai nostri occhi la luce della verità. Oh, come ben a ragione il nostro Maestro c’insegna a chiedere questo, rivolgendosi al Padre in nostro nome!

3. Considerate, figlie mie, che i nostri nemici possono nuocerci in molti modi; non pensate che il danno sia solo quello di farci credere che le gioie e le grazie simulate in noi vengono da Dio, giacché questo mi sembra, in parte, il minor danno che essi possono arrecare. Anzi, può darsi che serva a farci camminare più in fretta perché, attirate dal quel diletto, restiamo più ore in orazione e, ignorando che è opera del demonio e vedendoci indegne di quei favori, non finiremo di render grazie a Dio. Così ci sentiremo più obbligate a servirlo e ci sforzeremo di raggiungere la disposizione adatta perché ci faccia altri doni nella convinzione che vengono da lui.

4. Procurate, sorelle, di esser sempre umili, di considerare che non siete degne di tali favori e di non cercarli. Se farete così, sono convinta che sarà un mezzo efficace perché il demonio si vede sfuggire molte anime che egli pensava si perdessero, e perché il Signore, dal male che il maligno voleva farci, tiri fuori il nostro bene. Egli, infatti, vede la nostra intenzione che è quella di contentarlo e di servirlo, stando con lui in orazione, e – come vi ho detto – il Signore è fedele. Dobbiamo, tuttavia, badare che non ci sia incrinatura nell’umiltà e che non si abbia a generare in noi alcuna vanagloria. Se supplicherete il Signore di liberarvi da ciò, non temete, figlie mie, che Sua Maestà non permetterà mai di ricevere altri doni se non da lui.

5. Dove il demonio può nuocere molto, senza che ce ne rendiamo conto, è facendoci credere che abbiamo delle virtù inesistenti, mentre di fatto ne siamo prive, il che è una vera peste. Infatti, se solitamente per le grazie e i favori di cui siamo oggetto ci par solo di ricevere e di restare pertanto più obbligati a servire, qui, invece ci sembra di dare e di servire e che il Signore sia quindi obbligato a pagarci. Così, a poco a poco, il demonio ci fa molto danno: da una parte indebolisce l’umiltà, dall’altra ci fa trascurare di acquistare quella virtù che crediamo di aver già acquisito. Allora, che rimedio abbiamo, sorelle? Quello che a me sembra il migliore è l’insegnamento del nostro Maestro: pregare e supplicare l’eterno Padre di non permettere che cadiamo in tentazione.

6. Ma voglio anche dirvene qualche altro. Se ci sembra che il Signore ci abbia già concesso una virtù, dobbiamo considerarla come un bene da lui ricevuto che egli può ritoglierci, come, in verità, spesso accade non senza che sia gran provvidenza di Dio. Non lo avete mai riscontrato in voi stesse, sorelle? Io, invece, sì: a volte mi sembra d’essere molto distaccata da tutto e, in verità, alla prova dei fatti lo sono; altre volte mi sento così attaccata anche a cose di cui forse il giorno prima avevo riso, che quasi non mi riconosco. A volte mi sembra di aver tanto coraggio da non volgere le spalle a nulla per servire Dio: cosa che in certe occasioni avevo anche provato con i fatti. Il giorno dopo sono così debole che non potrei trovare la forza neanche di uccidere una formica per amore di Dio, se dovessi incontrare in ciò la minima difficoltà. Parimenti, a volte mi sembra che non m’importi nulla di qualunque cosa possano mormorare o dire contro di me, e dimostro in varie occasioni che è così, anzi, ne ho perfino piacere. Ma poi arriva il giorno in cui anche una sola parola mi procura afflizione e vorrei morire, perché tutto in esso mi pesa. E non sono la sola soggetta a tali cambiamenti, perché l’ho notato in molte persone migliori di me, e so che questo può avvenire.

7. Stando così le cose, chi potrà dire di sé che ha virtù o è ricca, quando nel momento in cui sia necessaria la virtù si trova priva di essa? No, sorelle! Pensiamo sempre di essere povere, e non indebitiamoci senza avere di che pagare, perché il nostro tesoro ci deve venire da tutt’altra parte, e non sappiamo fino a quando il Signore vorrà lasciarci nella prigione della nostra miseria senza darci nulla; allora le persone che, ritenendoci virtuose, ci hanno dato tributo di stima e d’onore – che è il prestito di cui ho parlato – resteranno derise insieme con noi. È vero che se noi serviamo il Signore con umiltà, alla fine egli ci aiuterà in tutti i nostri bisogni, ma qualora in noi tale virtù non sia ben radicata, ci lascerà cadere – come si dice – ad ogni passo. Questa è una delle sue grazie più grandi, degna di molta stima, perché motivo per acquistare umiltà e intendere bene che noi non possediamo nulla che non ci venga da lui.

8. E ora state attente a un altro consiglio: il demonio ci fa credere di avere una virtù, per esempio quella della pazienza, perché prendiamo la risoluzione di soffrire per Dio, dandogliene con le nostre azioni continue testimonianze, e ci sembra di essere veramente pronte, di fatto, a patire. Ci sentiamo pertanto assai contente, perché il demonio fa sì che ne siamo convinte. Io vi avverto di non far caso di simili virtù e di non credere di conoscerle se non di nome, né che ve le abbia date il Signore, senza riscontrarlo alla prova dei fatti. Può accadere, in realtà, che di fronte a una parola detta da altri, che vi faccia dispiacere, la pazienza se ne vada in fumo. Quando avrete molto sofferto, allora lodate Dio che comincia a insegnarvi questa virtù e sforzatevi di patire sino in fondo, perché è segno che egli vuole che lo paghiate con la sofferenza: la pazienza che vi dà ne è una prova, ma consideratela solo un deposito, che vi può essere tolto, come già si è detto.

9. Un’altra tentazione è quella di crederci molto povere di spirito: abbiamo l’abitudine di dire che non vogliamo nulla, che non c’importa nulla di nulla, ma non appena ci si offre l’occasione di ricevere qualcosa – anche se non è necessaria – tutta la nostra povertà se ne va all’aria. Contribuisce molto a farci credere di possederla l’aver preso l’abitudine di dirlo. È molto utile, a questo proposito, essere sempre vigili per accorgersi della tentazione, sia nei riguardi delle virtù di cui ho parlato, sia nei riguardi di molte altre perché, quando il Signore ci dona davvero una di queste solide virtù, sembra che essa si trascini dietro tutte le altre: è un fatto assai noto. Ma torno ad avvertirvi che, anche se vi sembra d’averla, dovete temere d’ingannarvi, perché chi è veramente umile dubita sempre delle proprie virtù, e molto spesso gli appaiono più sicure e di maggior pregio quelle che vede nel suo prossimo.

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