Dell'orazione
Tratto da "Castello Interiore I - Prologo e Prime Mansioni"
Autore: Santa Teresa d'Avila
PROLOGO
1 – Fra le cose impostemi dall’obbedienza, ben poche mi sono state così difficili come questa di mettermi ora a scrivere dell’orazione, sia perché sembra che il Signore non mi conceda lo spirito né il desiderio di farlo, e sia perché mi trovo da tre mesi con la testa così debole e intontita da scrivere con pena anche per gli affari di necessità. Ma sapendo che la forza dell’obbedienza suole appianare ogni cosa, anche quelle che sembrano impossibili, mi accingo all’opera di buona voglia, benché ne senta un’estrema ripugnanza: Iddio non mi ha mai dato di vedermi in continua lotta con le infermità e con ogni sorta di occupazioni senza che la natura ne soffra. Mi assista Colui nella cui misericordia confido, e che in mio favore ha già fatto cose assai più difficili.
2 – Credo che poco saprò aggiungere di nuovo a quanto mi fu già imposto di scrivere. Temo anzi di non far quasi che ripetermi, perché io sono in tutto come quegli uccelli a cui s’insegna a parlare, e che non sapendo più in là di quanto hanno appreso o sentito, non fan altro che ripetere le stesse cose.
Se il Signore mi vorrà far dire qualche cosa di nuovo, si degnerà d’illuminarmi, o, per lo meno, di richiamarmi alla mente ciò che ho scritto altre volte. Mi contenterei anche di questo. Data l’infedeltà della mia memoria, mi terrei fortunata di poter ripescare certe cose che, a quanto dicevasi, erano ben dette, e ciò nel caso che fossero perdute.
Ma se il Signore non vorrà concedermi neppur questo, mi sarà di guadagno lo stancarmi e l’accrescermi il mal di testa per obbedienza, quand’anche da ciò che fossi per dire non si ricavasse alcun vantaggio.
3 – Incomincio dunque quest’obbedienza oggi, festa della SS. Trinità dell’anno 1577, a Toledo, in questo monastero di S. Giuseppe del Carmine, ove attualmente mi trovo. Mi sottometto al giudizio delle dottissime persone che mi hanno imposto di scrivere. Si abbia intanto per certo che se mi sfuggirà qualche cosa di non conforme a quanto insegna la S. Chiesa Cattolica Romana, ciò non sarà per malizia, ma per pura ignoranza, poiché, grazie a Dio, sono stata, sono e sarò sempre ad essa soggetta. – Sia Egli benedetto e glorificato in eterno! Amen.
4 – Quegli che mi comandò di scrivere, mi disse che le monache di questi monasteri di nostra Signora del Carmine avevano bisogno di qualche spiegazione intorno a certi dubbi di orazione; e siccome le donne fra di loro s’intendono meglio, gli è sembrato che se fossi riuscita a dirne qualcosa, sarei stata di qualche loro vantaggio, specialmente per l’amore che mi portano. Perciò in questo scritto non mi volgerò che a loro, tanto più che sarebbe follia illudermi di esser utile ad altri. Grande grazia mi farebbe di certo il Signore se alcuna se ne giovasse per lodarlo un po’ di più. E sa bene Sua Maestà se io desideri altra cosa. Se riuscirò a dire alcunché di buono, esse vedranno che io, essendone tanto incapace, non ne posso essere l’autrice, a meno che abbiano così poca intelligenza come io abilità, se il Signore nella sua misericordia non mi viene in aiuto
PRIME MANSIONI
Capitolo 1
Bellezza e dignità dell’anima umana – Paragone per meglio intendersi – Vantaggi che si acquistano nel conoscersi e nell’intendere le grazie che si ricevono da Dio – La porta di questo castello è l’orazione.
1 – Oggi stavo supplicando il Signore di parlare in luogo mio, perché non sapevo cosa dire, né come cominciare ad obbedire al comando che mi è stato imposto, ed ecco quello che mi venne in mente. Mi servirà di fondamento a quanto dirò.
Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi siano molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo
Del resto, sorelle, se ci pensiamo bene, che cos’è l’anima del giusto se non un paradiso, dove il Signore dice di prendere le sue delizie?
E allora come sarà la stanza in cui si diletta un Re così potente, così saggio, così puro, così pieno di ricchezze? No, non vi è nulla che possa paragonarsi alla grande bellezza di un’anima e alla sua immensa capacità!
Il nostro intelletto, per acuto che sia, non arriverà mai a comprenderla, come non potrà mai comprendere Iddio, alla cui immagine e somiglianza noi siamo stati creati. Se ciò è vero – e non se ne può dubitare – è inutile che ci stanchiamo nel voler comprendere la bellezza del castello. Tuttavia, per avere un’idea della sua eccellenza e dignità, basta pensare che Dio dice di averlo fatto a sua immagine, benché tra il castello e Dio vi sia sempre la differenza di Creatore e creatura, essendo anche l’anima una creatura.
2 – Che confusione e pietà non potere, per nostra colpa, intendere noi stessi e conoscere chi siamo!
Non sarebbe grande ignoranza, figliuole mie, se uno, interrogato chi fosse, non sapesse rispondere, né dare indicazioni di suo padre, di sua madre, né del suo paese di origine?
Se ciò è indizio di grande ottusità, assai più grande è senza dubbio la nostra se non procuriamo di sapere chi siamo, per fermarci solo ai nostri corpi.
Sì, sappiamo di avere un’anima, perché l’abbiamo sentito e perché ce l’insegna la fede, ma così all’ingrosso, tanto vero che ben poche volte pensiamo alle ricchezze che sono in lei, alla sua grande eccellenza e a Colui che in essa abita.
E ciò spiega la nostra grande negligenza nel procurare di conservarne la bellezza. Le nostre preoccupazioni si fermano tutte alla rozzezza del castone, alle mura del castello, ossia a questi nostri corpi.
3 – Come ho detto, questo castello risulta di molte stanze, alcune poste in alto, altre in basso ed altre ai lati. A1 centro, in mezzo a tutte, vi è la stanza principale, quella dove si svolgono le cose di grande segretezza tra Dio e l’anima.
Considerate bene questo paragone di cui forse Dio si compiacerà di servirsi per farvi intendere qualche cosa delle grazie che Egli si degna di accordare alle anime e la differenza che le distingue.
Ciò, naturalmente, fin dove ho inteso che sia possibile, perché, data la loro moltitudine nessuno è in grado di conoscerle tutte: tanto meno io che sono così misera.
Ma se il Signore ve l’accorderà, vi sarà di grande conforto sapere che lo può fare, mentre quelle che non ne sono favorite ne prenderanno l’occasione per lodare la sua infinita bontà.
Perciò, come non ci è di pregiudizio la considerazione della gloria del cielo e di quanto vi godono i beati, ma serve a rallegrarci e a spingerci per meritare anche noi quel che essi già godono, così non ci sarà di danno comprendere come sia possibile che un Dio tanto grande si comunichi fin da questo esilio con vermiciattoli così ripugnanti come siamo noi, ma ci muoverà ad amare una bontà così buona e una così infinita misericordia.
Chi si scandalizza nell’apprendere che Dio può far tante grazie fin da questo esilio, tengo per certo che sia senza umiltà e senza amore del prossimo. Se non fosse così, perché non dovrebbe compiacersi nel vedere Iddio far tali grazie a un suo fratello, quando ciò non vieta che le possa accordare anche a lui?
Perché non godere che Sua Maestà mostri la sua grandezza con chi meglio gli piace, poiché Egli alle volte non agisce che per questo, come disse del cieco a cui dette la vista, quando gli apostoli lo interrogarono se quella cecità era per i suoi peccati o per quelli dei suoi genitori? Risulta da ciò che se Egli dà a qualcuno le sue grazie, non è perché questi sia più santo degli altri a cui non ne dà, ma perché si manifesti in lui la sua grandezza, come già in S. Paolo e nella Maddalena, e perché noi lo lodiamo nelle sue creature.
4 – Si potrà dire che sembrano cose impossibili e che è bene non scandalizzare i deboli.
Ma è minor male permettere che alcuni non le credano, piuttosto che privare chi ne è favorito del profitto che ne deve ritrarre.
Questi infatti ne avrà piacere, e si ecciterà a più amare Colui che nella sua infinita potenza e maestà gli usa così grandi misericordie.
D’altra parte, so di parlare ad anime per le quali questo pericolo non esiste, perché conoscono e credono che Dio può discendere a manifestazioni di amore ben più sublimi. Chi non lo crede, sono sicura che non ne farà mai l’esperienza, perché Dio ama che non si ponga limite alle sue opere.
Parlando a coloro che Dio non conduce per questa strada, 1i scongiuro che non sia di essi così.
5 – Tornando al nostro incantevole e splendido castello, dobbiamo ora vedere il modo di potervi entrare.
Sembra che dica uno sproposito, perché se il castello è la stessa anima, non si ha certo bisogno di entrarvi, perché si è già dentro. Non è forse una sciocchezza dire a uno di entrare in una stanza quando già vi sia? Però dovete sapere che vi è una grande differenza tra un modo di essere e un altro, perché molte anime stanno soltanto nei dintorni, là dove sostano le guardie, senza curarsi di andare più innanzi, né sapere cosa si racchiuda in quella splendida dimora, né chi l’abiti, né quali appartamenti contenga. Se avete letto in qualche libro di orazione consigliare l’anima ad entrare in se stessa, è proprio quello che intendo io.
6 – Mi diceva ultimamente un gran teologo che le anime senza orazione sono come un corpo storpiato o paralitico che ha mani e piedi, ma non li può muovere. Ve ne sono di così ammalate e talmente avvezze a vivere fra le cose esteriori, da esser refrattarie a qualsiasi cura, quasi impotenti a rientrare in se stesse.
Abituate a un continuo contatto con i rettili e gli animali che stanno intorno al castello, si son fatte quasi come quelli, e non sanno più vincersi, nonostante la nobiltà della loro natura e la possibilità che hanno di trattare nientemeno che con Dio.
Se queste anime non cercano d’intendere la loro immensa miseria e non vi pongono rimedio, avverrà che per non volger lo sguardo a se stesse, si trasformeranno in altrettante statue di sale, come avvenne alla moglie di Lot per essersi voltata indietro.
7 – Per quanto io ne capisca, la porta per entrare in questo castello è l’orazione e la meditazione.
Non sto più per la mentale che per la vocale, perché dove si ha orazione occorre che vi sia pure meditazione.
Non chiamo infatti orazione quella di colui che non considera con chi parla, chi è che parla, cosa domanda e a chi domanda, benché muova molto le labbra.
Alle volte sarà buona orazione anche questa, quantunque non accompagnata da tali riflessioni, purché queste si siano fatte altre volte. Ma se alcuno ha l’abitudine di parlare con la maestà di Dio come con uno schiavo, senza pensare se dice bene o male, contento di quello che gli viene in bocca o ha imparato a memoria per averlo recitato altre volte… non tengo ciò per orazione, né piaccia a Dio che vi siano cristiani che così facciano.
Quanto a voi, sorelle, spero nella bontà di Dio che questo non vi accada, grazie all’abitudine che avete di trattare spesso di cose interiori: cosa assai utile per preservarvi da simili stupidaggini.
8 – Non parliamo dunque di queste anime paralitiche, alle quali, se il Signore non comanderà di alzarsi come al paralitico che stava da trent’anni alla piscina, toccherà serio pericolo e sventura assai grave.
Parliamo, invece di quelle che poi finiscono con entrare nel castello. Benché ingolfate nel mondo, non mancano di buoni desideri: di tanto in tanto si raccomandano a Dio, e, sia pure in fretta, rientrano in se stesse con qualche considerazione. Pregano qualche volta al mese, benché distrattamente, dato che il loro pensiero è quasi sempre tra gli affari, a cui sono molto attaccate, secondo il detto: Dov’è il tuo tesoro ivi è il tuo cuore.
Però, di tanto in tanto decidono di liberarsene perché, grazie al proprio conoscimento – che è sempre una gran cosa – riconoscono che la strada per cui camminano non è quella che conduce al castello. Finalmente entrano nelle prime stanze del pianterreno, ma vi portano con sé un’infinità di animaletti, i quali non solo impediscono di veder le bellezze del castello, ma neppur permettono di rimanervi in pace.
Tuttavia han già fatto molto con l’entrarvi.
9 – Vi parrà forse, figliuole, che tutto ciò non sia a proposito, perché voi, grazie a Dio, non siete di questo numero.
Ma abbiate pazienza, perché altrimenti non saprei come farvi intendere, nel modo che le intendo io, certe cose interiori riguardanti l’orazione.
Piaccia a Dio che riesca a dirvene qualche cosa, perché si tratta di un argomento assai difficile, specialmente per chi non ne ha esperienza. Ma se voi l’avrete, capirete che certe cose si devono toccare per forza.
Piaccia a Dio nella sua infinita misericordia che esse non accadano a noi!
Capitolo 2
Deformità di un’anima in peccato mortale – Il Signore ne fa vedere qualcosa a una certa persona – Qualche pensiero sul proprio conoscimento – Capitolo assai utile per certi punti che meritano attenzione – Come intendere queste mansioni.
1 – Prima di andare innanzi, vi prego di considerare come si trasformi questo castello meraviglioso e risplendente, questa perla orientale, quest’albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita che è Dio, quando s’imbratti di peccato mortale.
Non vi sono tenebre così dense, né cose tanto tetre e buie, che non ne siano superate e di molto. Il Sole che gli compartiva tanta bellezza e splendore è come se più non vi sia, perché, pur rimanendo ancora nel suo centro, l’anima tuttavia non ne partecipa più.
Conserva sempre la capacità di goderlo, come il cristallo di riflettere i raggi, ma intanto non vi è più nulla che le sia di merito; e finché dura in quello stato, non le giovano a nulla per l’acquisto della gloria neppure le sue buone opere, perché, non procedendo esse da quel principio per cui la nostra virtù è virtù – voglio dire da Dio, da cui, anzi, si allontanano – non gli possono essere accette.
Infatti, chi commette un peccato mortale intende di contentare,non Dio, ma il demonio; e siccome il demonio non è che tenebra, la povera anima si fa tenebra con lui.
2 – So di una persona (Parla di se stessa, Ndr) a cui il Signore volle far vedere lo stato di un’anima in peccato mortale.
Secondo lei, sarebbe impossibile, comprendendolo bene, che alcuno potesse ancora peccare, anche se per fuggirne le occasioni dovesse soffrire i maggiori tormenti immaginabili.
Da ciò le venne un ardentissimo desiderio che tutti se ne persuadessero. E io ora vi scongiuro, figliuole, di pregar molto il Signore per coloro che si trovano in questo stato, trasformati in una stessa tenebra con le loro opere.
Come da una fonte limpidissima non sgorgano che limpidi ruscelli, così di un’anima in grazia: le sue opere riescono assai grate agli occhi di Dio e degli uomini, perché procedenti da quella fonte di vita nella quale essa è piantata come un albero, e fuor dalla quale non avrebbe né freschezza né fecondità. Quell’acqua la conserva, impedisce che inaridisca e le ottiene frutti saporosi, ma se l’anima l’abbandona di sua colpa per mettersi in un’altra dalle acque sudicie e fetenti, non sgorgherebbe da lei che la stessa abominevole sporcizia.
3 – Si deve intanto considerare che la fonte, o, a meglio dire, il Sole splendente che sta nel centro dell’anima, non perde per questo il suo splendore né la sua bellezza. Continua a star nell’anima, e non vi è nulla che lo possa scolorire. Supponete un cristallo esposto ai raggi del sole, ravvolto in un panno molto nero: il sole dardeggerà sulla stoffa, ma il cristallo non ne verrà illuminato.
4 – Anime redente dal sangue di Gesù Cristo, aprite gli occhi e abbiate pietà di voi stesse! Com’è possibile che, persuase di questa verità, non procuriate di togliere la pece che copre il vostro cristallo? Se la morte vi sorprende in questo stato, quella luce non la godrete mai più!…
O Gesù! … Che orrore vedere un’anima priva di questo lume! Come rimangono le povere stanze del castello!
Che turbamento s’impossessa dei sensi che ne sono gli abitanti!
In che stato di accecamento e mal governo cadono, le potenze che ne sono le guardie, i maggiordomi e gli scalchi!
Ma siccome l’albero è piantato nella stessa terra del demonio, che altro ne può venire?
5 – Udii una volta una persona spirituale meravigliarsi non tanto di ciò che faccia un’anima in peccato mortale, quanto di ciò che non faccia.
Ci liberi Iddio, nella sua misericordia, da male così funesto, il solo che quaggiù possa meritare questo nome, degno di castighi che non avranno mai fine.
In ciò, figliuole mie, dobbiamo esser sempre timorose, né mai desistere dal pregare Iddio di liberarcene, perché se Egli non custodisce la città, invano lavoriamo noi, che siamo il nulla medesimo.
Quella persona inoltre diceva di aver ricavato due vantaggi dalla grazia di cui Dio l’aveva favorita: anzitutto, un timore grandissimo di offenderlo, per cui alla vista di così gravi danni continuava a pregarlo di non lasciarla cadere; e, in secondo luogo, uno specchio di umiltà, nel quale vedeva che il principio del bene che facciamo non procede da noi, ma dal fonte nel quale l’albero dell’anima è piantato, e dal Sole che feconda le nostre buone opere.
Questa verità, aggiungeva, le era apparsa così chiara, che quando faceva o vedeva qualche opera buona, pensava subito a Colui che ne era il principio, persuasa che senza il suo aiuto non si possa proprio far nulla. Indi si levava a dar grazie al Signore, scordando quasi sempre se stessa quando le avveniva di far qualche cosa di buono.
6 – Non sarebbe perduto, sorelle, il tempo trascorso, io a vergare questo scritto e voi a leggerlo, se pur noi vi ricavassimo questi due vantaggi. E se il Signore permette che simili paragoni giungano a nostra cognizione, può essere perché siano d’aiuto non tanto per i dotti e gli esperti che già sanno ogni cosa, ma piuttosto per noi donne, che nella nostra ignoranza abbiamo bisogno di tutto.
Ci conceda Iddio nella sua bontà di cavarne profitto!
7 – Queste cose interiori sono di così difficile intelligenza che una persona ignorante come me, prima di dirne una parola giusta, ne deve dire, necessariamente, molte di inutili e d’inopportune.
Ci vorrà pazienza per leggermi, come ne occorre a me per scriver di ciò che ignoro. Alle volte mi avviene di prender in mano la penna come un idiota, senza sapere cosa dire, né da dove cominciare. Tuttavia, farò del mio meglio per spiegarvi certe cose interiori, che credo vi saranno utili.
Benché ci parlino spesso dell’eccellenza dell’orazione che le nostre Costituzioni ci impongono per varie ore, però non ci spiegano quello che vi possiamo fare, e poco ci dicono dei fatti soprannaturali che Dio opera nell’anima, mentre parlandone e spiegandoli in diverse maniere, se ne avrebbe del gran conforto, grazie alla considerazione di questo celeste ed interiore edificio che i mortali conoscono così poco, benché molti vi si trovino.
In altri libri da me scritti, il Signore ne ha già dato qualche lume, ma certe cose, specialmente più difficili, io non le ho mai intese così bene come ora. I1 male è che per giungere a spiegarle, dovrò ripeterne una quantità di conosciute: con una intelligenza così rozza come la mia, non se ne può proprio fare a meno.
8 – Ritorniamo dunque al nostro castello e alle sue molte mansioni.Non dovete figurarvi queste mansioni le une dopo le altre, come una fuga di stanze.
Portate il vostro sguardo al centro, dove è situato l’appartamento o il palazzo del Re.
Egli vi abita come in una palmista, (palma tipica dell’Andalusia, Ndr) di cui non si può prendere il buono se non togliendo le molte foglie che lo coprono. Così qui: intorno e al di sopra della stanza centrale, ve ne sono molte altre, illuminate in ogni parte dal Sole che risiede nel mezzo. Le cose dell’anima si devono sempre considerare con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, perché la capacità dell’anima sorpassa ogni umana immaginazione.
Importa molto che un’anima di orazione, a qualunque grado sia giunta, sia lasciata libera di circolare come vuole, in alto, in basso, e ai lati, senza incantucciarla e restringerla in una sola stanza.
Poiché Dio l’ha fatta così grande, non obblighiamola a rimaner a lungo nello stesso posto, sia pure nel proprio conoscimento.
Oh, il proprio conoscimento! Intendetemi bene figliuole!
Esso è tanto necessario che le stesse anime ammesse da Dio nel suo medesimo appartamento non devono mai trascurarlo, nonostante siano giunte tanto in alto.
Del resto, non potrebbero trascurarlo neppure volendolo, perché è proprio dell’umiltà fabbricare, come ape nell’alveare, quel miele, senza del quale tutto è perduto.
Ma come l’ape non lascia di uscire a succhiare i fiori, così l’anima, la quale, pur addestrandosi nel proprio conoscimento, deve di tanto in tanto innalzarsi a considerare la grandezza e la maestà di Dio.
In ciò scoprirà la propria miseria meglio che rimanendo in se stessa, e sarà meno infastidita dagli animaletti immondi che entrano nelle prime stanze, dove ci si esercita nel proprio conoscimento.
Tuttavia, è sempre una grande grazia di Dio saperci in esso esercitare, benché, come suol dirsi, vi si possa mancare per eccesso o per difetto. Insomma credetemi: lavoreremo assai più virtuosamente con l’aiuto di Dio, che non col rimanere attaccate alla nostra miseria.
9 – Non so se mi spiego bene. È tanto importante conoscerci, che in ciò non vorrei vi rilassaste, neppure se foste già arrivate ai più alti cieli, perché mentre siamo sulla terra, non c’è cosa più necessaria dell’umiltà.
Torno dunque a ripetere che è assai utile, – anzi, utile in modo assoluto – che prima di volare alle altre mansioni, si entri in quelle del proprio conoscimento, che sono le vie per andare a quelle. Ora, se possiamo camminare sopra un terreno piano e sicuro, perché voler ali per volare? Facciamo piuttosto del nostro meglio per approfondirci in questa nostra conoscenza.
Ma credo che non arriveremo mai a conoscerci, se insieme non procureremo di conoscere Dio. Contemplando la sua grandezza, scopriremo la nostra miseria; considerando la sua purezza riconosceremo la nostra sozzura; e innanzi alla sua umiltà vedremo quanto ne siamo lontani.
10 – Vi sono in ciò due vantaggi: primo, perché una cosa bianca messa vicina a una nera appare più bianca, come una nera messa vicino a una bianca; e in secondo luogo, perché la nostra intelligenza e volontà, portate ora su Dio e ora su di noi, si rendono più nobili e più disposte al bene. Se dal fango della nostra miseria non ci sollevassimo mai, ne risulterebbero molti inconvenienti.
Di coloro che sono in peccato mortale abbiamo detto che nero ed immondo è tutto quello che da essi proviene.
Così nel caso nostro, quantunque – Dio ce ne liberi! – non nel medesimo modo, non trattandosi in fondo che di un semplice paragone.
È un fatto, però, che mantenendoci di continuo nella ignominia della nostra terra, le nostre correnti possono intorbidirsi a contatto con il fango del timore, della pusillanimità, della codardia e dei pensieri come questi: ” Mi guardano o non mi guardano? Che mi avverrà camminando per questa via? Sarà per superbia se ardirò cominciare quest’opera? È bene che una miserabile come me si eserciti in cose così sublimi come l’orazione? Non mi riterranno forse migliore, se non cammino per la strada comune? E dato che le esagerazioni non sono mai buone, neppure in fatto di virtù, non verrò forse io, povera peccatrice, a cadere da più grande altezza, senza più coraggio di muovere un passo? Non sarò forse di danno ai buoni? Oh, no, una persona come me, non è fatta per le singolarità! ” .
11 – Ohimè, figliuole mie, quante anime il demonio deve rovinare per questa strada, facendo loro credere che tutto ciò sia per sentimento di umiltà! E quante altre cose potrei dire, provenienti dall’insistere troppo sul proprio conoscimento!
Finisce col far deviare, e io non mi stupisco. Se non usciamo mai da noi stesse, ne può venire questo e peggio ancora. Perciò, figliuole, fissiamo gli occhi in Cristo nostro bene e nei suoi santi, e vi impareremo la vera umiltà. Allora la nostra intelligenza si renderà più esperta, e la conoscenza di noi stessi cesserà dal renderci imbelli e codardi.
Questa mansione, benché sia la prima, è così eccellente e preziosa che se l’anima sa sottrarsi agli animali che l’ingombrano, non lascerà di andare innanzi. L’esperienza che ho di queste prime mansioni mi permette di descriverle, e so che terribili ed astute sono le insidie del demonio per impedire che le anime conoscano se stesse e la strada per cui camminano.
12 – Non si deve dunque pensare che gli appartamenti siano pochi: ve ne sono a milioni.
Le anime vi entrano in molti modi, e tutte con buona intenzione. Ma siccome il demonio è maligno, deve aver appostato in ogni stanza legioni di suoi pari, per impedire che passino da una mansione all’altra, e così le poverette, che ne sono ignare, si trovano impigliate in mille lacci: ciò non avviene tanto facilmente a quelle che sono più vicine all’appartamento reale.
Queste, invece, essendo ancora fra le cose del mondo, ingolfate nei suoi piaceri e perdute dietro agli onori e alle ambizioni, si lasciano vincere facilmente, perché i loro vassalli, che sono i sensi e le potenze, si trovano destituiti di quella forza che in origine avevano da Dio ricevuta.
Ciò nonostante desiderano di non offendere il Signore, e fanno qualche opera buona.
Coloro che si trovano in questo stato devono far di tutto per ricorrere spesso al Signore, e non avendo vassalli capaci di difenderli, prendere per intercessori la benedetta Madre di Dio e i suoi santi, perché combattano per loro.
Del resto, non c’è stato in cui non si abbia bisogno dell’aiuto di Dio. Ed Egli si degni di accordarcelo per la sua infinita misericordia! Amen.
13 – Com’è miserabile questa vita!…Avendovi già parlato altrove e lungamente del danno di non ben conoscere ciò che riguarda l’umiltà e il proprio conoscimento, non m’indugio di più, benché l’argomento sia molto importante. Piaccia a Dio che vi abbia detto qualche cosa di utile!
14 – Quanto alla luce che si diffonde dal palazzo reale, dovete avvertire che le prime mansioni ne ricevono assai poca.
Benché non siano nere e tenebrose come quando l’anima è in peccato, tuttavia sono alquanto in penombra, e non possono essere vedute neppure da coloro che le abitano, non per difetto dell’appartamento, ma per ragione delle molte cose nocive, serpenti, vipere e animali velenosi che, essendosi introdotti con l’anima, le impediscono di avvertire la luce.
Non so come spiegarmi, ma è come se uno entra in una stanza inondata di sole con gli occhi così impiastricciati di fango da non poterli quasi dischiudere.
La sala è illuminata, ma egli non ne gode la chiarezza a causa di quel suo impedimento o, nel caso nostro, per le bestie e i serpenti che l’accecano in tal modo da non permettergli di vedere altro che loro. Così mi pare che debba essere dell’anima, la quale, benché non sia in cattivo stato, tuttavia è così immersa nelle cose del mondo, così ingolfata negli affari, nei traffici e negli onori, da sentirsi impedita di considerare se stessa e di godere come vorrebbe della sua propria bellezza, sembrandole, per di più, che da tanti impedimenti non sappia liberarsi.
Eppure per entrare nelle seconde mansioni bisogna che si disbrighi da tutte le cure ed affari che non siano indispensabili, sia pure in conformità al suo stato.
Ciò è di tanta importanza che se non comincia subito a farlo, non solo non arriverà alla mansione principale, ma sarà pure impossibile che, senza grande pericolo, rimanga nella mansione che occupa, benché già nel castello: fra tante bestie velenose è impossibile che una volta o l’altra non ne venga morsicata.
15 – Noi infelici, figliuole, se dopo esserci affrancate da questi ostacoli, e avanzate di molto verso le mansioni più segrete, dovessimo uscirne per nostra colpa e gettarci ancora nella confusione!
È per i nostri peccati se molte anime, dopo aver ricevuto tante grazie, le lasciano miseramente perire per loro colpa. Esteriormente noi siamo libere. Piaccia a Dio che lo siamo pure interiormente! Altrimenti, ci liberi Lui!
Figliuole mie, non immischiatevi mai negli affari altrui. Pensate che poche sono le mansioni del castello in cui non vi sia da combattere con il demonio.
È vero che in alcune le potenze, che, come ho detto, ne sono le guardie, hanno forza sufficiente per resistere, ma dobbiamo star molto attente per scoprire le insidie del demonio ed evitare che ci inganni col trasformarsi in angelo di luce, perché ci può danneggiare in moltissime maniere, insinuandosi a poco a poco, in modo da non lasciarci accorgere del male se non dopo avercelo fatto.
16 – Altre volte vi ho detto che il demonio è come una lima sorda che bisogna sorprendere fin dal principio, e per farvelo meglio conoscere voglio ora aggiungere qualche altra cosa.
Ispira egli a una sorella desideri così violenti di penitenza, da farle credere di non aver riposo se non allora che si sta martoriando. Fin qui nulla di male.
Ma ecco che la Priora le ordina di non fare penitenza senza suo permesso. Il demonio allora le fa credere che in cosa tanto buona può prendersi qualche libertà! Ed ella si macera in segreto fino a rovinarsi la salute e a non poter più seguire la Regola.
Ecco dove va a finire quel fervore!…
Ispira a un’altra sentimenti di zelo per una più alta perfezione. Anche qui nulla di meglio.
Ma ne può venire che costei scorga gravi mancanze in ogni minimo difetto delle consorelle, e si ponga ad osservare se ne commettono per poi avvisarne la Priora.
Può intanto avvenire che per meglio zelare l’osservanza religiosa, non si accorga delle sue trasgressioni, per cui le altre, che non sanno nulla delle sue intenzioni, vedendo la cura che si prende per ciò che non la riguarda, possono aversela a male.
17 – Ciò che qui il demonio pretende non è certo da poco. Suo scopo è di raffreddare la carità e l’amore vicendevole, il che è assai grave. Persuadiamoci, figliuole mie, che la vera perfezione consiste nell’amore di Dio e del prossimo.
Quanto più esattamente osserveremo questi due precetti; tanto più saremo perfette: le nostre Regole e Costituzioni non sono infine che il mezzo per meglio osservarli.
Lasciamo da parte questi zeli indiscreti che ci possono essere assai dannosi, e ognuna attenda a se stessa.
Siccome di questo argomento ho già parlato a lungo in altro luogo, non voglio oltre dilungarmi.
18 – È tanta l’importanza dell’amore vicendevole che non dovreste mai dimenticarvene. L’andare osservando certe piccolezze – che alle volte non sono neppure imperfezioni, ma che la nostra ignoranza ci fa vedere assai gravi – nuoce alla pace dell’anima e inquieta le sorelle. Sarebbe una perfezione che costa assai caro!
Il demonio potrebbe far nascere questa tentazione anche in riguardo alla Priora, e sarebbe più pericolosa. Tuttavia bisogna agire con prudenza, perché se si tratta di cose contro la Regola e le Costituzioni, non si deve sempre passar sopra, ma avvisarla, e se non si corregge, darne conto al Superiore.
E questa è carità. Altrettanto si dica delle sorelle in cose di qualche importanza. Lasciarle passare per paura che sia tentazione, sarebbe la stessa tentazione.
Però, dovete star bene in guardia a non lasciarvi ingannare dal demonio con parlare di queste cose le une con le altre. Il maligno ne potrebbe molto guadagnare, introducendo l’abitudine alla mormorazione.
Se ne parli soltanto con chi può mettervi rimedio. Qui, grazie a Dio, il pericolo non è tanto da temersi, per il silenzio quasi continuo che si osserva. È bene però che si stia sempre sull’attenti!…