20 minuti

Castello Interiore V

Quinte Mansioni - Parte 1 (Cap 1 e 2)

Autore: Santa Teresa d'Avila

Capitolo 1

In che modo l’anima si unisca a Dio durante l’orazione, e come conoscere se vi sia inganno

1 – In che modo, sorelle, vi potrei parlare delle ricchezze, dei tesori e delle delizie che si trovano nelle quinte mansioni? Di queste, come di quelle che ancora restano, sarebbe meglio non parlare, perché non vi sono termini sufficienti, come non vi è intelletto per comprenderle, né paragoni per spiegarle.
Le cose della terra sono troppo basse per servire a questo scopo. Ma siccome Voi, o Signor mio, vi siete compiaciuto che alcune delle vostre serve ne godano tanto spesso, mandate luce dal cielo affinché io le sappia illuminare, premunendole contro gli inganni del demonio quando si trasformerà in angelo di luce. Dopo tutto, esse non desiderano che di piacervi.

2 – Ho detto che in queste mansioni ne entrano soltanto alcune, mentre avrei dovuto dire che solo pochissime non vi entrano.
Anzi, siccome vi è il più e il meno, penso che certe particolarità siano soltanto di poche. Tuttavia, arrivare anche solo alle porte è sempre una grande grazia di Dio, perché molti sono i chiamati e pochi gli eletti. Così di noi che portiamo questo sacro abito del Carmine.
Tutte siamo chiamate all’orazione e alla contemplazione perché in ciò è la nostra origine e siamo progenie di quei santi Padri del monte Carmelo che in grande solitudine e nel totale disprezzo del mondo cercavano questa gioia, questa preziosa margherita di cui parliamo: eppure in poche ci disponiamo per ottenere che Dio ce la scopra.
Quanto all’esteriore si va bene, ma quanto alle virtù necessarie per arrivare a detto stato, ci manca ancora moltissimo, per cui non dobbiamo mai trascurarci, né in poco né in molto.
Facciamoci coraggio, sorelle mie, e siccome un po’ di cielo lo possiamo godere fin da ora, supplichiamo il Signore a concederci di non rimanerne prive per nostra colpa, ma a mostrarcene la strada e a fortificarci l’anima, onde scavare sino a scoprire questo tesoro nascosto che sta dentro di noi. Se Dio si compiacerà di aiutarmi, ve ne dirò qualche cosa.

3 – Ho detto che ci fortifichi l’anima, acciocché intendiate che le forze del corpo, se Dio non le dà, non sono necessarie. Non solo Egli non impedisce ad alcuno di acquistarsi le sue ricchezze, ma si contenta che ognuno gli dia ciò che ha. Sia benedetto per sempre un così grande Signore!
Badate però, figliuole mie, che per acquistarvi ciò che dico, Egli esige che non vi riserviate nulla. Sia poco o molto quello che avete, lo vuol tutto per sé. Più o meno grandi saranno le grazie che ne avrete, ma sempre in proporzione di quello che vedrete di aver dato: per sapere se la nostra orazione arrivi o non arrivi all’unione, non vi è prova migliore.
Non crediate che questa orazione somigli al sonno, come la precedente: dico sonno in quanto che l’anima sembra che sia mezzo assopita, perché se pare che non sia del tutto addormentata, non si sente neppure sveglia.
Qui invece è addormentata – e addormentata profondamente – non solo a tutte le cose della terra, ma pure a se stessa, tanto che per la breve durata di questo fenomeno essa rimane così fuori di sé, da non poter formare alcun pensiero, neppure volendolo. Qui per sospendere il pensiero non c’è proprio da ricorrere ad alcuna industria. Se ama, non sa come, né chi; se vuole, non sa cosa vuole: è come se sia morta al mondo per più vivere in Dio.

4 – Ma è una morte deliziosa: morte, perché l’anima si sottrae a tutte le operazioni che può avere dall’unione col corpo; deliziosa, perché sembra che si separi dal corpo per meglio vivere in Dio.
Infatti, al corpo non so se rimanga tanto di vita da poter ancora respirare. Pensando ora a quest’ultima cosa, mi sembra che non gliene rimanga affatto. Almeno, se respira, non lo avverte.
L’intelletto vorrebbe tutto occuparsi per intendere qualche cosa di ciò che l’anima sente, ma siccome le sue forze non glielo permettono, rimane così sorpreso che, pur non perdendosi del tutto, non può muovere né mani né piedi, come si direbbe di una persona che fosse così svenuta da parerci morta.
Oh, segreti di Dio!… Non mi stancherei mai di parlarne, se pensassi di farne capire qualche cosa, disposta pure a dir mille spropositi pur di riuscirvi una volta sola, e procurare a Dio un maggior tributo di lodi.

5 – Ho detto che questa orazione non somiglia al sonno.
Nella mansione precedente, finché l’anima non ne abbia fatta una grandissima esperienza, rimane sempre con dubbio sui fenomeni subiti: se furono una sua illusione, se dormiva, se provennero da Dio o dal demonio trasformato in angelo di luce, e tanti altri timori: i quali del resto non è bene che manchino per il pericolo che qualche volta s’intrometta per davvero la nostra natura.
Se là le bestie velenose non hanno modo d’introdursi, vi possono penetrare certe lucertolette che per la loro sottigliezza si cacciano da per tutto: intendo parlare di quei piccoli pensieri provenienti dall’immaginazione e da quello che ho detto, i quali, benché non siano di danno – specialmente se si trascurano – spesso però infastidiscono.
Qui invece non possono entrare neppure le lucertolette più piccole, non essendovi immaginazione, memoria o intelletto capaci d’impedire un tanto bene.
Oso anzi affermare che se si tratta di vera unione con Dio, non vi può entrare a far danno nemmeno il demonio, perché allora Dio è unito all’essenza dell’anima, e il maligno non solo non ha ardire d’avvicinarsi, ma credo che di questi segreti non debba neppure intendersene.
La cosa è assai chiara. Se dicono che egli non conosce i nostri pensieri, a maggior ragione non deve conoscere questi segreti che Dio non confida neppure all’intelletto. Oh, stato felicissimo nel quale il maledetto non può fare alcun danno!
L’anima ne esce con grandissimi vantaggi, perché Dio opera in lei senza che alcuno vi metta ostacoli, neppure noi stessi. Che cosa allora non dovrà mai dare Chi tanto ama di dare, e può dare quanto vuole?

6 – Sembra che io v’ingeneri confusione. Ho detto se è unione di Dio, quasi che vi siano altre unioni. Altro se ve ne sono!…
Può darsi che in riguardo di certe vanità il demonio faccia uscire l’anima da se stessa per la grande passione con cui ella le ami, benché non nella stessa maniera né con gli stessi sentimenti di gioia, di soddisfazione, di diletto e di pace, di cui l’anima si sente ripiena quando l’operazione è da Dio.
I piaceri, le ebbrezze e le consolazioni della terra, nonché non essere paragonabili con i sentimenti che Dio produce, non hanno con essi alcuna relazione di origine, e ben diversa è l’impressione che ne risulta, come voi stesse avrete forse provato. Ho detto in altro luogo che è come se gli uni si sentano alla superficie del corpo e gli altri nel midollo delle ossa. Allora mi sono spiegata assai bene, ma ora meglio di così non so farlo.

7 – Però mi sembra che non siate ancora soddisfatte, e temiate di cadere in inganno.
Grande è la difficoltà che s’incontra nel discernimento di queste cose interiori.
Tuttavia, per coloro che ne hanno esperienza, può essere sufficiente quello che ho detto, nonostante che ben grande ne sia la differenza. Comunque, eccovi un segno evidente per non cadere in inganno ed accertarvi che l’operazione è di Dio.
Il Signore me l’ha riportato oggi alla memoria, e credo che sia sicuro. Nelle questioni più difficili, anche se mi pare di intenderle e di dire la verità, uso sempre questa espressione: Mi sembra; e ciò per far capire che se m’inganno, sono pronta a sottomettermi a coloro che ne san di più.
Costoro, benché di queste cose non abbiano esperienza, hanno però un certo senso che è loro proprio, e siccome Dio li destina a luce della sua Chiesa, quando si tratta di ammettere una verità li illumina Lui stesso.
Se non sono leggeri, ma veri servi di Dio, non solo non si scandalizzano di queste meraviglie, ma sono anzi persuasi che Dio ne possa fare assai di più; e se si tratta di fenomeni non ancora ben chiari, trovano modo di ammetterli studiando quelli che sono scritti.

8 – Di questo ho io grande esperienza, come l’ho di certi semi-dotti paurosi che mi costarono assai. Chi non crede che Dio sappia fare assai di più, e non ammette che possa essersi compiaciuto e possa tuttora compiacersi di comunicarsi talvolta con le sue creature, costui, secondo me, tien chiusa la porta a ogni divina effusione.
Voi, sorelle, guardatevene attentamente, credete sempre che Dio può fare assai di più, e non fermatevi mai ad esaminare se chi riceve queste grazie sia virtuoso o no. Il motivo lo sa il Signore: noi non dobbiamo intrometterci. Serviamo Iddio con umiltà c semplicità di cuore, lodandolo per queste sue opere meravigliose.

9 – Eccomi dunque al segno che io chiamo sicuro. Osservate quest’anima a cui Dio ha sospeso del tutto l’intelletto per meglio arricchirla della vera sapienza.
Per tutto il tempo che dura in questo stato – tempo sempre breve, e che all’anima sembra ancora più breve – ella non vede e non sente nulla.
Ma Dio s’imprime nel suo interno, e quando ella torna in sé, in nessun modo può dubitare che Dio sia stato in lei ed ella in Dio. Questa verità le rimane scolpita sì al vivo, da non poterne affatto dubitare né dimenticarla, neppure dopo molti anni, benché Dio non gliela rinnovi: senza poi dire degli altri effetti, sui quali tornerò più avanti.
In questa certezza sta appunto il segno che ho detto.

10 – Ma voi mi direte: Come si vede o s’intende che è Dio, se non si vede e non s’intende nulla?
Non dico che lo si veda allora, ma in seguito; e ciò non per visione, ma per una piena convinzione che rimane nell’anima e che non può essere che da Dio.
Conosco una persona che non sapeva che Dio si trova in ogni cosa per presenza, per potenza e per essenza. Ma lo intese chiaramente dopo un favore di questo genere ricevuto dal Signore.
Avendo interrogato uno di quei semidotti di cui ho parlato più sopra sul come Dio sia in noi, egli che ne sapeva quanto lei prima di questa illustrazione, le rispose che vi sta soltanto per la grazia; ma ella era talmente fissa nella verità, che non gli credette.
In seguito interrogò altre persone che le dissero la cosa come stava, e ne rimase molto consolata.

11 – Badate però di non cadere in errore pensando che questa certezza riguardi una forma corporale, come il corpo di nostro Signore Gesù Cristo presente invisibilmente nel santissimo Sacramento. Qui non vi è nulla di simile, perché non si tratta che della divinità.
Ma che certezza si può mai avere di una cosa che non si vede?
Io non lo so. Sono opere di Dio. Ma so di dire la verità. Se non vi fosse questa certezza, si avrebbe, secondo me, non già un’unione di tutta l’anima con Dio, ma soltanto di una sua potenza, oppure di un altro genere di grazie fra le molte che il Signore usa fare.
Dopo tutto, non è il caso d’indagare come questi fenomeni avvengano. A che tanto affaticarci quando la nostra intelligenza non li può comprendere?
Ci basti sapere che Chi li fa può fare ogni cosa. Sono operazioni di Dio, innanzi alle quali le nostre industrie sono nulla. Essendo incapaci di raggiungerle, guardiamoci pure dal volerle comprendere.

12 – A proposito di quest’impotenza, mi ricordo di ciò che dice la Sposa dei Cantici e che voi stesse avrete udito: Il Re mi ha condotta nella cella del vino, o piuttosto, come credo che dica: Mi ha introdotta. Insomma, non dice che vi sia andata da sé. Dice ancora che andava di qua e di là in cerca del suo Amato.
Ora, l’orazione di cui parlo è appunto la cella vinaria nella quale il Signore intende introdurci, ma quando e come vuol Lui.
Da noi, con i nostri sforzi, non vi possiamo entrare: bisogna che ci introduca Lui. Ed Egli lo fa quando entra nel centro dell’anima nostra. Qui, per meglio mostrare le sue meraviglie, vuole che altro non facciamo che assoggettargli la volontà, guardandoci bene dall’aprir le porte delle potenze e dei sensi che giacciono addormentati, perché intende entrare nel centro dell’anima senza passare per alcuna porta, come entrò dai suoi discepoli quando disse: Pax vobis, e come usci dal sepolcro senza smuovere la pietra.
Più avanti vorrà che l’anima lo goda nel centro di se stessa ben più intensamente che non qui; ma sarà nell’ultima mansione.

13 – Che grandi cose vedremo, figliuole mie, se cercheremo di non contemplare che la nostra miserabile bassezza, reputandoci indegne di essere le serve di questo eccelso Signore, le cui meraviglie ci sono affatto incomprensibili!…
Sia Egli per sempre benedetto: Amen.

Capitolo 2

Prosegue sul medesimo argomento, e dice con un grazioso paragone in che consiste l’orazione di unione, e quali gli effetti che lascia Capitolo degno di nota

1 – Vi parrà che di questa mansione vi abbia ormai detto ogni cosa; eppure mi rimane ancora molto, perché, come vi ho già fatto osservare, vi è il più e il meno.
Per ciò che riguarda l’unione, non credo di saperne dire di più, ma resta molto da parlare circa gli effetti che Dio produce nelle anime quando esse si dispongono a ricevere le sue grazie. Ne voglio dire qualche cosa, e nel contempo far conoscere lo stato in cui l’anima rimane.
Per farmi meglio capire, voglio servirmi di un paragone che trovo molto appropriato, per mezzo del quale vedremo che quantunque in questa operazione di Dio nell’anima noi non possiamo far nulla, tuttavia per ottenere che il Signore ce ne favorisca, possiamo far molto col disporci.

2 – Avrete già udito parlare delle meraviglie che Dio opera nella produzione della seta, invenzione di cui Egli solo poteva essere l’autore. Si tratta di piccoli semi, simili a granellini di pepe che io non ho mai veduto, ma di cui ho sentito parlare: perciò, se cado in qualche inesattezza la colpa non è mia.
A1 sopraggiungere dell’estate, quando i gelsi si coprono di foglie, questi semi cominciano a prender vita. Prima che spuntino quelle foglie di cui si devono nutrire, stanno là come morti; a poco a poco, con quell’alimento si sviluppano, finché, fatti più grandi, salgono sopra alcuni ramoscelli, ed ivi con la loro piccola bocca filano la seta che cavano dal loro interno, fabbricandosi certi bozzoli molto densi, nei quali ognuno di quegli insetti, che sono brutti e grossi, si rinchiude e muore. Ma poco dopo esce dal bozzolo una piccola farfalla bianca, molto graziosa.
Se questo fenomeno non cadesse sotto i nostri occhi, ma ci fosse raccontato come cosa di altri tempi, nessuno lo crederebbe. Infatti, come potremmo credere che un verme o un’ape, – esseri privi di ragione – siano tanto diligenti e industriosi nel lavorare per noi fino a rimetterci la vita come il povero bacolino nel suo lavoro?
Ecco un buon soggetto, sorelle, per intrattenervi a lungo in meditazione, senza null’altro aggiungere, bastando questo solo per farvi considerare le meraviglie e la sapienza del nostro Dio. Oh, se conoscessimo le proprietà delle cose! Come sarebbe vantaggioso meditare sopra queste meraviglie, compiacendoci di essere le spose da un Re così grande e sapiente!

3 – Tornando ora al nostro argomento, l’anima, di cui quel verme è l’immagine, comincia a prendere vita quando per il calore dello Spirito Santo, comincia a valersi dei soccorsi generali che Dio accorda a ognuno e a servirsi dei rimedi che Egli ha lasciato nella sua Chiesa, come le frequenti confessioni, le buone letture e le prediche: rimedi opportuni per l’anima che sia morta nel peccato e si trovi fra le occasioni cattive a causa della sua trascuratezza.
Ripreso a vivere con quei rimedi e pie meditazioni, vi si andrà pure sostentando finché sia cresciuta. E questo è il punto in cui la considero, poco curandomi di ciò che precede.

4 – Quando questo verme si è fatto grande – come abbiamo visto in principio di questo scritto – comincia à lavorare la seta e a fabbricarsi la casa nella quale dovrà morire.
Questa casa, come vorrei far intendere, è il nostro Signore Gesù Cristo. Mi pare di aver letto in qualche parte, o di aver udito, che la nostra vita è nascosta in Cristo, ovvero in Dio, che è poi lo stesso, oppure che Cristo è la nostra vita. Che il testo sia o non sia così, per il mio intento poco importa.

5 – Osservate qui, figliuole mie, quello che con l’aiuto di Dio possiamo fare: che Sua Maestà diventi nostra dimora fabbricata da noi stessi, come lo è in questa orazione di unione.
Dicendo che Dio è nostra dimora, e che questa dimora possiamo fabbricarcela da noi stessi per prendervi alloggio, sembra quasi che voglia dire di poter noi aggiungere o togliere a Dio qualche cosa.
E lo possiamo benissimo, ma non già aggiungendo o togliendo a Dio, bensì aggiungendo o togliendo a noi, come quei piccoli vermi, perché non avremo ancora ultimato quanto sarà in nostro potere che Egli verrà, e unendo alla sua grandezza la nostra lieve fatica, che è un nulla, le conferirà un valore così eccelso da meritare che Egli si costituisca in nostra stessa ricompensa.
Non contento di aver sostenute le spese maggiori, vorrà pure unire le nostre piccole pene alle molto grandi che Egli un giorno ha sofferto per non farne che una cosa sola.

6 – Orsù dunque, figliuole mie, mettetevi subito al lavoro!
Tessiamo questo piccolo bozzolo mediante lo spogliamento di ogni nostro amor proprio e volontà, distaccandoci da ogni cosa terrena e praticando opere di pedi orazione, di meditazione e di obbedienza, con resto che già sapete.
Oh, se mettessimo in pratica tutto quello che sappiamo e che ci hanno insegnato! E poi muoia, muoia pure questo verme, come il baco da seta dopo aver fatto il suo lavoro!
Allora ci accorgeremo di vedere Iddio e ci sentiremo sepolte nella sua grandezza, come il piccolo verme nel suo bozzolo. Dicendo che vedremo Iddio, dovete intendere nel modo con cui Egli si fa sentire in questa specie di unione.

7 – Passiamo ora a vedere come questo verme si trasformi, che è lo scopo di quanto finora vi ho detto.
Dico che quando il verme entra in questa orazione e vi rimane morto a tutte le cose del mondo, esce mutato in piccola farfalla bianca.
Oh, potenza di Dio! Oh, in che stato esce l’anima, dopo, essere rimasta nella grandezza di Dio e tanto a Lui unita come qui, sia pure per poco tempo, giacché, a mio parere, non si arriva mai a mezz’ora! In verità vi dico che essa non si riconosce più.
Pensate alla differenza fra un verme ributtante e una piccola farfalla bianca: così di lei.
L’anima ignora come abbia potuto meritare tanto bene, voglio dire che non sa di dove le sia venuto, perché conosce benissimo che a meritarlo non è da lei.
Si sente presa da un desiderio vivissimo di lodare Iddio, sino a bramare di distruggersi e di affrontare mille morti. Brame irresistibili di darsi a grandi sofferenze cominciano tosto ad occuparla senza che sappia liberarsene, e sospira con ardore di abbandonarsi alla penitenza, di stare in solitudine e di fare che tutti conoscano il suo Dio, sino a provare afflizione profonda nel vederlo offeso.
Nelle mansioni seguenti parlerò di questi effetti con particolari maggiori. Benché i fenomeni delle quinte mansioni siano quasi identici a quelli delle seguenti, tuttavia sono assai diversi quanto all’intensità degli effetti. Una anima che Dio ha condotto a questo punto, se si sforza di andare avanti, vedrà grandi meraviglie.

8 – Oh, lo spettacolo di questa piccola farfalla in continua agitazione! Eppure in tutta la sua vita non ha mai goduta tanta pace e soavità.
Vien proprio da lodare Iddio nel contemplarla così incapace a fermarsi e a riposare. No, dopo aver goduto di un tal bene, le cose della terra non la soddisfano più, specialmente se Dio l’abbia spesso inebriata di quel suo vino, dal quale si ricavano sempre nuovi vantaggi, quasi ogni volta.
Ormai non fa più conto di ciò che praticava quando era verme. Allora intesseva a poco a poco il suo bozzolo, ma ora le sono nate le ali; ed essendo capace di volare, perché contentarsi di andare ancora passo passo?
I suoi desideri sono immensi, e poco le sembra quanto possa fare per Iddio. Neppur più si meraviglia di ciò che i santi hanno fatto, perché sa per esperienza quanto il Signore aiuti, trasformando l’anima in modo tale da renderla irriconoscibile, quasi non sia più quella di prima.
La debolezza che le pareva di avere per non fare penitenza si è convertita in fortezza. E se precedentemente il suo attacco ai parenti, agli amici e ai beni terreni era tale che né i suoi atti interiori, né le sue decisioni, né la sua stessa volontà riuscivano ad infrangerlo, sembrandole anzi di attaccarvisi di più, ora invece si sente così libera da dispiacersi anche di quei rapporti che non può troncare senza offesa di Dio. Avendo sperimentato che il vero riposo non le può venire dalle creature, sente noia di tutto.

9 – Sembra che mi estenda troppo; eppure potrei dire assai di più. Chi ha ricevuto da Dio questa grazia, vedrà che non sono lunga.
Non è dunque da meravigliarsi se questa piccola farfalla, sentendosi straniera fra le cose della terra, cerchi di riposarsi in qualche altra parte. Ma dove andrà la poverina?
Tornare donde è uscita non può, giacché, come ho detto, non è cosa in suo potere, nonostante ogni suo possibile sforzo, finché Dio non si compiaccia di favorirla nuovamente. Che nuovi tormenti cominciano allora per lei! O Signore!…
E chi lo può credere dopo grazie così sublimi?
Sì, finché si vive, in un modo o in un altro si ha sempre da soffrire. Se qualcuno afferma di essere giunto a questo stato, sempre fra consolazioni e delizie, gli rispondo che non vi è giunto affatto o, per lo meno, che essendo entrato nella mansione precedente, vi ha goduto qualche rara consolazione, aiutata anche quella dalla sua naturale debolezza, per non dire forse dal demonio che gli abbia dato un po’ di pace per muovergli in seguito una guerra più accanita.

10 – Non voglio dire con ciò che gli abitanti di questa mansione non abbiano la pace: l’hanno e molto grande, perchè le stesse sofferenze sono qui tanto preziose e di così eccellente radice che, nonostante la loro alta intensità, generano pace e contento.
Dal disgusto che ispirano le cose del mondo nasce nell’anima il desiderio di abbandonarlo; ed è un desiderio così penoso che la poverina, per aver un po’ di sollievo, deve pensare essere volontà di Dio che viva in esilio.
Alle volte non basta neppur questo, perché l’anima, nonostante i suoi molti progressi, qui non è ancora così sottomessa al volere di Dio come lo sarà più avanti. Tuttavia non lascia di rassegnarsi, sia pure con pena e con abbondanza di lacrime, non potendo far altro perché di più non le è ancora concesso.
Sperimenta questa pena ogni qualvolta si mette in orazione, pena che in parte le deriva dal dolore vivissimo di vedere Iddio vilipeso e poco onorato dal mondo, e nel considerare il gran numero di eretici e di mori che van perduti, benché lo senta assai di più per la perdita dei cristiani.
Teme che molti sian quelli che si dannino, sebbene non ignori la grandezza della misericordia di Dio e sappia che quegli infelici possono sempre correggersi e salvarsi, nonostante la malvagità della loro vita.

11 – Oh, grandezza di Dio! Pochi anni, forse pochi giorni prima, quest’anima non pensava che a se stessa. Chi ora l’ha posta in sollecitudini così penose?
Noi non riusciremmo ad averne di sì intense neppure se vi consumassimo intorno molti anni di meditazione.
E che? Io dunque non potrei avere tali cure nemmeno impiegando giorni ed anni a meditare il gran male che è l’offesa di Dio, nel pensare che quanti si dannano sono suoi figli e miei fratelli, nel considerare i pericoli in cui ci troviamo e quanto ci sarebbe vantaggioso uscire una buona volta da questa miserabile vita?
No, figliuole! La pena che queste riflessioni producono non è come quella di cui parlo. Con l’aiuto di Dio, e indugiandoci molto nelle suddette riflessioni, possiamo pure averne, ma non mai così penetrante come l’altra, la quale sembra che stritoli e macini l’anima senza che essa vi contribuisca, né alle volte lo voglia.
Ma allora in che consiste? Donde viene? Ve lo voglio dire.

12 – Non vi ricordate di ciò che vi ho detto – sebbene non a questo proposito – in riguardo alla sposa che Dio ha introdotto nella cella vinaria, ordinando in lei la carità? E’ quello che avviene qui.
L’abbandono con cui quest’anima si è rimessa nelle mani di Dio, unito al grande amore che ella gli porta, la rende così soggetta da non sapere né volere che una cosa: che Egli faccia di lei tutto quello che vuole.
Credo infatti che Dio non conceda mai questa grazia se non all’anima che già ritiene tutta sua. E così, senza che ella se ne accorga, fa in modo che esca da questo stato segnata con il suo sigillo. Del resto, qui l’anima non è più di una cera su cui s’imprima il sigillo.
La cera non s’imprime il sigillo da sé: essa non fa che tenersi pronta a riceverlo con la sua mollezza. Ma anche in questo non è essa che si modifica: ciò che essa fa è soltanto di stare immobile senza opporre resistenza.
Oh, bontà di Dio! Anche qui dev’esser tutto a vostre spese! L’unica cosa che chiedete è la nostra volontà: cioè, che la cera non opponga resistenza.

13 – Questo, dunque, sorelle, è quello che Dio fa per indurre l’anima a riconoscersi per sua. Le dà quello che ha, vale a dire, le stesse disposizioni avute in terra da suo Figlio: grazia veramente incomparabile. Chi più di suo Figlio ha desiderato di uscire da questa vita? Lo ha detto Lui stesso nella cena: Ho desiderato con desiderio Oh, Signore! E non pensavate alla morte che vi attendeva crudele, dolorosa e terribile?
– No, il grande amore e il desiderio che tutti gli uomini si salvassero, superavano di gran lunga quelle pene, senza poi dire che le ritenevo da nulla di fronte alle molte altre che poi ho patito, e che patisco tuttora da che sono nel mondo. –

14 – È proprio così, e l’ho meditato spesso. Pensando al dolore che ha sofferto e soffre un’anima di mia conoscenza – dolore così intollerabile che pur di non soffrirlo amerebbe meglio morire – mi domandavo: se così insopportabile è il tormento di un’anima la cui carità, dopo tutto, non è neppure paragonabile a quella di Cristo, che cosa avrà mai provato il Signore, e quale sarà mai stata la sua vita, avendo sempre innanzi ogni cosa e vedendo continuamente le gravi offese che si facevano al Padre suo?
Questo tormento dovette essere assai più grave di tutti quelli della sua sacratissima passione. Questa, se non altro, segnava la fine di ogni suo travaglio. E questo pensiero, unito alla consolazione di sapere che la sua morte sarebbe stata di nostro rimedio, e che con i suoi patimenti avrebbe dimostrato al Padre il grande amore che gli portava, doveva addolcire i suoi dolori.
Non è così che avviene anche fra noi? Quando uno si dà a grandi penitenze con alto impeto di amore, nemmeno quasi le sente.
Anzi, vorrebbe farne assai di più, e gli par tutto poca cosa…
Così nostro Signore in quell’occasione così propizia per dimostrare al Padre suo con quanta perfezione gli ubbidisse e quanto amasse noi uomini!
Oh, che gioia soffrire per fare la volontà di Dio! Ma vedere la Maestà di Dio continuamente offesa, e avvertire il gran numero di anime che si dannano, io lo credo così penoso che se nostro Signore fosse stato un semplice uomo, un giorno solo di questo tormento sarebbe bastato, a mio parere, per troncargli, non già una, ma molte vite.

Link alla fonte »