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Catechismo Degli Adulti - Capitolo 12 - 3 - 4

Il Collegio Episcopale

Autore: Autori Cristiani

Carissimi Fratelli e Sorelle ,
3. [526] Il ministero apostolico ha un carattere personale, in quanto ognuno dei ministri è chiamato da Cristo e, costituito suo rappresentante, agisce con responsabilità propria. Ma ha anche un carattere collegiale, in quanto i vescovi formano il collegio episcopale intorno al papa e, in modo analogo, i presbìteri formano il presbiterio diocesano sotto l’autorità del vescovo.
[527] Ogni vescovo in quanto tale è membro del collegio episcopale. «L’episcopato è uno e indiviso»nota; «come non vi è che un’unica Chiesa… così non vi è che un unico episcopato rappresentato da una molteplicità di vescovi uniti tra loro». Poiché i vescovi, per il dono dello Spirito, governano come rappresentanti di Cristo, in definitiva c’è un solo Pastore in molti pastori: «Cristo è lui solo che pasce il gregge, ma lo fa impersonandosi nei singoli pastori» e «tutti i pastori si identificano con la persona di uno solo, sono una cosa sola». All’interno della comunione in Cristo di tutti i fedeli, vi è una speciale comunione dei pastori.
Il collegio è formato dai vescovi insieme al papa e ha «piena e suprema potestà su tutta la Chiesa… In quanto composto da molti, sta ad esprimere la varietà e l’universalità del popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, sta ad esprimere l’unità del gregge di Cristo»nota. Così viene promossa la comunione pluriforme, dinamica e tesa alla mondialità; viene garantita una maggiore ricchezza nell’insegnamento.
[528] La natura collegiale dell’episcopato si manifesta concretamente nei vincoli visibili di fede, di carità, di disciplina e di corresponsabilità pastorale, in alcune istituzioni come i patriarcati o le conferenze episcopali, in alcuni avvenimenti come la concelebrazione dell’ordinazione, i sinodi e soprattutto i concili ecumenici.
Nei concili ecumenici il collegio dei vescovi «esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale».
[529] Il singolo vescovo «viene costituito membro del corpo episcopale in forza della consacrazione sacramentale e mediante la comunione gerarchica con il capo e i membri del collegio». Anche quando non compie atti formalmente collegiali, si trova nel collegio e ne fa risuonare la voce nella sua Chiesa particolare, se è in armonia con il papa e gli altri vescovi. Pur essendo maestro della fede e capo della sua comunità, ha il dovere di accordarsi con i suoi fratelli nell’episcopato, tenendosi lontano dall’individualismo. Pur esercitando il governo pastorale soltanto nella propria diocesi, è tenuto ad avere sollecitudine per tutte le Chiese. La sua responsabilità è insieme locale e universale, come la Chiesa stessa.
[530] I vescovi formano un collegio che ha come capo visibile il papa e sono corresponsabili di tutta la Chiesa.
4. [531] Il collegio dei vescovi succede a quello degli apostoli; il vescovo di Roma succede a Pietro. Da lui eredita il compito di confermare i fratelli nella fede, il carisma della “roccia”, che dà coesione e stabilità a tutta la Chiesa: «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32).
Durante la vita pubblica, Gesù ha dato a Simone il nuovo nome di Pietro e gli ha promesso uno speciale ruolo di guida con la triplice metafora della pietra, delle chiavi e del legare e sciogliere. Dopo la risurrezione, lo costituisce suo primo testimone: «apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,5)nota. Lo fa pastore di tutto il gregge: «Pasci i miei agnelli… Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,15-16).
[532] Pietro, nella prima comunità di Gerusalemme, è sempre in prima fila come protagonista, nel prendere la parola a nome di tutti gli apostoli, nel compiere le guarigioni miracolose, nel punire gli indegni, nel confermare le conversioni, nell’ammettere i pagani, nell’affermare la libertà cristiana di fronte alla legge mosaica.
Pietro e Paolo, «le più grandi e le più giuste colonne», portano a compimento la loro testimonianza a Roma, dove versano il sangue per Cristo «insieme a una grande moltitudine di eletti». Per questo la Chiesa di Roma «presiede alla carità», e con essa, «per la sua più alta autorità apostolica, deve accordarsi ogni Chiesa, cioè i fedeli di qualsiasi parte», perché attraverso la successione dei suoi vescovi «la tradizione, che è nella Chiesa a partire dagli apostoli, e la predicazione della verità è giunta fino a noi». «Dalla discesa del Verbo incarnato verso di noi, tutte le Chiese cristiane sparse in ogni luogo hanno ritenuto e ritengono la grande Chiesa che è qui[a Roma]come unica base e fondamento, perché, secondo la promessa del Salvatore, le porte degli inferi non hanno mai prevalso su di essa».
[533] Il vescovo di Roma, erede della testimonianza di Pietro, «è il perpetuo e visibile principio e il fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli». Impersona l’unità del collegio episcopale; manifesta e promuove quella della Chiesa.
Il primato del papa implica una potestà piena, suprema e immediata su tutta la Chiesa. Quando come supremo maestro definisce la dottrina della fede, implica anche il dono dell’infallibilità. In lui si concentra il carisma della verità del collegio episcopale e della Chiesa. Anche quando insegna da solo, si fa voce dei suoi fratelli ed esprime la fede già vissuta dal popolo di Dio e da lui interpretata con la speciale assistenza dello Spirito Santo. «Dove è Pietro lì è la Chiesa».
[534] Il papa eredita il compito che Gesù ha assegnato a Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,18-19).

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