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Il lieto annuncio e l'attesa

Tratto dal "Catechismo Degli Adulti"- Capitolo 3 - 1 - 2

Autore: Autori Cristiani

Carissimi Fratelli e Sorelle,

1. [106] Capita spesso di leggere o ascoltare una pagina dei Vangeli. Forse ricordiamo qualche parabola e qualche detto, che ci hanno profondamente colpito. Rischiamo però di non coglierne esattamente il significato e la portata, se non li collochiamo nella prospettiva originaria. È importante, allora, scoprire qual era l’obiettivo fondamentale di Gesù, qual era il tema centrale della sua predicazione.
[107] Gesù di Nàzaret non insegna una visione del mondo, ricavata dalla comune esperienza umana, un insieme di verità religiose e morali, frutto di riflessione particolarmente penetrante. Si presenta piuttosto come il messaggero di un avvenimento appena iniziato e in pieno svolgimento. Il suo, prima di essere un insegnamento, è un annuncio, un grido di gioia: viene il regno di Dio!
Una semplice frase, collocata in apertura del vangelo di Marco, riassume tutta la sua predicazione: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). Questa è la buona notizia che Gesù ha da comunicare. Questa è la causa per cui vive, la ferma speranza che lo sostiene.

[108] I concetti, tra loro intimamente collegati, di vangelo e di regno di Dio, fanno riferimento ad alcuni oracoli del libro di Isaia, che prospettano un grandioso intervento di Dio a favore di Israele, un nuovo esodonota. Dio si prenderà cura personalmente del suo popolo, come un pastore fa con il suo gregge. Lo libererà, lo risanerà, lo guiderà verso Gerusalemme. Un messaggero correrà avanti a portare la buona notizia, «messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» (Is 52,7); messaggero «mandato a portare il lieto annunzio ai miseri… per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere» (Is 61,13).

[109] Sullo sfondo di queste profezie, Gesù afferma che la storia è arrivata alla svolta decisiva: la grande promessa comincia a realizzarsi. Dio viene per regnare in modo nuovo e definitivo. Viene per aprire un cammino sicuro verso la pienezza della vita e della pace. Il suo regno è da intendere soprattutto come sovranità, regalità, come una realtà misteriosa e dinamica, che si è fatta vicina, anzi è già in mezzo agli uomini e deve essere accolta con umiltà e fiducia.

[110] Gesù identifica se stesso con la figura del messaggero che annuncia l’inaugurazione del regno di Dio: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Ma, oltre che messaggero, si considera anche protagonista del Regno: l’intervento di Dio si attua attraverso di lui. Egli è venuto a radunare le «pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15, 24), in modo da attirare anche le nazioni «dall’oriente e dall’occidente» (Mt 8,11). È venuto per dare inizio alla liberazione integrale dell’umanità, con le meraviglie tipiche del nuovo esodo: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5).

Incontrare il Maestro e vivere in comunione con lui significa fare un’esperienza privilegiata, superiore a quella di Giovanni Battistanota. I discepoli devono rendersi conto che stanno partecipando a un avvenimento di importanza unica, al vertice della storia: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non lo udirono» (Lc 10,23-24).
[111] Gesù è il messaggero e il protagonista del regno di Dio che viene nella storia. La sua predicazione si può riassumere in questo annuncio e appello: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15).

2. [112] Gesù non ha bisogno di spiegare a lungo in che cosa consista il regno di Dio che va annunciando: nel suo ambiente questa idea era già, per dir così, nell’aria, come fa intuire l’evangelista Luca con sobrie annotazioni: «il popolo era in attesa» (Lc 3,15); «credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro» (Lc 19,11). Tale aspettativa era maturata in Israele durante una secolare esperienza storica, a partire dall’esodo.

[113] Come un re vittorioso, Dio liberò e fece uscire dall’Egitto il popolo ebraiconota; gli fece dono della sua alleanza e della sua legge; gli procurò il possesso di una terra fertile, dove scorreva latte e miele. Il suo disegno era quello di costituire una comunità, governata dalla sua legge e depositaria delle sue promesse, dove fosse riconosciuta la sua sovranità: «Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,4-6).

[114] Israele vide nell’esodo dall’Egitto il fondamento e il simbolo di tutte le salvezze successive. Di generazione in generazione imparò a riconoscere la presenza di Dio nella propria storia e ad acclamarla nella liturgia con il grido gioioso: «Il Signore regna!» (Sal 96,10). Coltivò la speranza che in futuro la gloria del Signore avrebbe attirato verso Gerusalemme l’attenzione dei popoli e avrebbe diffuso la pace sulla terranota.

Arrivò invece un’altra sciagura nazionale, l’esilio a Babilonia, amaro frutto di una serie interminabile di ribellioni contro Dio e di ingiustizie contro il prossimo. Nell’ora della desolazione si levò la voce del profeta Ezechiele a confortare e incoraggiare: il Signore manifesterà ancora la santità e la potenza del suo nome; guiderà Israele personalmente e per mezzo di un nuovo David; lo radunerà, lo purificherà, gli darà il suo Spirito, perché possa osservare i comandamenti, lo risusciterà a nuova vita. Mentre l’esilio si protraeva, un altro grande profeta, che noi oggi siamo soliti chiamare il “secondo Isaia”, portò finalmente una buona notizia, un vangelo: Dio interverrà presto, come ai giorni dell’esodo, per liberare e risanare il suo popolo; si metterà alla sua testa come un re e lo ricondurrà attraverso il deserto fino a Gerusalemme.
Ci fu il ritorno; ma il successo fu mediocre e provvisorio. Sopraggiunsero altre invasioni, altre amarezze e sventure. Tuttavia le delusioni, anziché far appassire la speranza dei credenti, la resero più audace: Dio verrà definitivamente a liberare i poveri e gli oppressi, a portare giustizia e pace; «Il Signore sarà re di tutta la terra e ci sarà il Signore soltanto, e soltanto il suo nome» (Zc 14,9); farà brillare la sua luce in Gerusalemme davanti a tutti i popoli; stabilirà il suo regno per sempre, affidandolo a un personaggio misterioso, «simile ad un figlio di uomo», e «al popolo dei santi dell’Altissimo» (Dn 7,1327).

[115] I contemporanei di Gesù ogni giorno levavano al Signore l’appassionata invocazione: «Sii presto re sopra di noi». Tutti i gruppi e i movimenti religiosi del tempo, eccettuati forse i sadducei, si aspettavano a breve scadenza qualcosa di grande da parte di Dio a vantaggio di Israele. Ognuno poi si raffigurava a modo suo quello che Dio avrebbe fatto: i farisei e gli esseni pensavano a un trionfo della legge mosaica e si preparavano con l’osservanza scrupolosa e l’ascesi personale; gli zeloti e gran parte della gente comune miravano a una restaurazione politica contro il dominio di Roma; i circoli apocalittici erano protesi verso un rivolgimento di dimensioni cosmiche con cieli nuovi e terra nuova.

[116] Tra le tante voci si distingueva, per il tono austero e minaccioso, quella di Giovanni Battista. Proclamava come imminente l’intervento decisivo di Dio nella storia di Israele; intimava di prepararsi ad accoglierlo con una pronta e seria conversione: «La scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco» (Lc 3,9). Quelli che si recavano da lui e si riconoscevano peccatori, li battezzava nel fiume Giordano. A tutti dava la testimonianza di una vita ascetica, di digiuno e di preghiera, insieme con i suoi discepoli.
[117] Gesù si inserisce nel suo ambiente, inquieto e pieno di aspettative, con continuità e originalità. Il suo passaggio desta nella gente interesse, stupore, entusiasmo; a volte perfino un misterioso timore. Provoca in molti diffidenza, delusione, rifiuto e ostilità. Non lascia però indifferente nessuno.

Il suo annuncio è che il regno di Dio non è più solo da attendere nel futuro; è in arrivo, anzi in qualche modo è già presente. Viene in modo assai concreto, a risanare tutti i rapporti dell’uomo: con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cosenota. Vuole attuare una pace perfetta, che abbraccia tutto e tutti. Al suo confronto l’esodo dall’Egitto e il ritorno da Babilonia erano solo pallidi presagi. Tuttavia il Regno non comporta né il trionfo della legge mosaica, né la rivoluzione nazionale, né gli sconvolgimenti cosmici. Bisogna credere innanzitutto all’amore di Dio Padre, che si manifesta attraverso Gesù, e convertirsi dal peccato, che è la radice di tutti i mali.

[118] È sempre attuale, anche per noi oggi, la necessità di prepararsi ad accogliere il Regno, educando desideri e domande. Ogni anno, in particolare, la liturgia dell’Avvento ripropone l’attesa dell’Antico Testamento, culminante in Giovanni Battista, e ci offre la grazia che dispone all’incontro con Dio.
[119] Allo scopo di preparare la venuta del suo regno nel mondo, Dio ha riunito e ha educato pazientemente, con un cammino di secoli, un popolo, che potesse accoglierlo e manifestarlo a tutte le genti: il popolo di Israele. L’incontro con Dio rimane comunque carico di novità e di sorpresa.

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