Catechismo Degli Adulti - Capitolo 8 - 3 - 4
Il Figlio , Il Cristo Fatto Carne
Autore: Autori Cristiani
Carissimi Fratelli e Sorelle , 3. [293] “Figlio di Dio”, nell’Antico Testamento, veniva chiamato Israele, in quanto scelto da Dio e prediletto tra tutti i popoli; e poi anche il re di Israele, in quanto governava come rappresentante di JHWH.
La fede cristiana delle origini, attribuendo a Gesù questo titolo, lo intese in un senso incomparabilmente più alto: Gesù è il Figlio unico di Dio, eternamente partecipe della sua vita, eternamente amato.
[294] Durante la vita pubblica, Gesù aveva destato sorpresa per la familiarità con cui chiamava Dio “Abbà (Papà)”. Coerentemente aveva presentato se stesso come “il Figlio”, rivolto verso il Padre con un rapporto unico di sottomissione, perfetta intimità e reciprocità.
[295] È soprattutto il Vangelo di Giovanni che mette in risalto il singolarissimo legame di Gesù con il Padre.
Con ineffabile gratitudine, Gesù è consapevole di ricevere tutto da lui: «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (Gv 3,35). A sua volta il Figlio vive totalmente per la gloria del Padre: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). E, di fronte alla passione, l’obbedienza arriva alla suprema dedizione: «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo…» (Gv 14,31).
L’unità del Figlio con il Padre è tale, che vedendo l’uno si vede anche l’altro: sono uno nell’altro, sono una cosa sola. Il Padre, che in se stesso è invisibile, si rivela e si dona attraverso il Figlio. Il suo amore inaudito per gli uomini si manifesta attraverso l’amore del Figlio: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui» (1Gv 4,9).
L’unità di rivelazione del Figlio con il Padre suppone l’unità di essere. Il Figlio si distingue dal Padre, in quanto con lui dialoga, da lui è inviato e a lui è sottomesso; tuttavia non gli è inferiore, perché opera con lui in tutte le sue operenota, vive da sempre presso di lui, è Dio insieme a lui, quasi una sua «irradiazione e… impronta» (Eb 1,3), «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre».
[296] Gesù è il Figlio unigenito di Dio fatto uomo, che ci introduce nell’intimità del Padre, perché «nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27).
4. [297] Con riferimento alla cultura giudeo-ellenistica, largamente imbevuta di tradizione biblica sulla parola di Dio e sulla divina sapienza, il Vangelo di Giovanni presenta Gesù in modo originale come “il Verbo (la Parola)”.
Inesauribile efficacia, secondo l’Antico Testamento, possiede la parola di Dio, che conduce la storia degli uomini, crea e governa l’universonota. A sua volta la divina sapienza abita dall’eternità accanto a Dio ed è artefice di tutte le cose: «È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà. Sebbene unica, essa può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova» (Sap 7,26-27).
[298] Il Vangelo di Giovanni va oltre queste personificazioni e addita una persona precisa. Il Verbo eterno del Padre, creatore del mondo e guida della storia, vicino a Dio e Dio lui stesso, non è un’astrazione evanescente, ma si è fatto uomo mortale, in un luogo e in un tempo determinati; si identifica con la persona di Gesù di Nàzaret: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria» (Gv 1,114).
Il Verbo invisibile apparve dunque visibilmente nella nostra carne; colui che è generato prima dei secoli cominciò ad esistere anche nel tempo, per reintegrare l’universo nel disegno del Padre e ricondurre a lui l’umanità dispersa.
[299] Il nostro pensiero, per poter raggiungere gli altri, diventa suono di una voce. Il Verbo di Dio, per esprimersi e donarsi agli uomini, si è fatto vero e fragile uomo, con una storia umanissima di libertà e di finitudine.
Senza lasciare il cielo, dove da sempre e per sempre vive rivolto al Padre, è disceso sulla terra per essere Dio con noi, nostro amico e fratello. Ha condiviso in tutto eccetto il peccato, la nostra condizione umana, fino alla quotidianità più dimessa. Ha provato fame e sete, lavoro, stanchezza e sonno; ha conosciuto gioia e pianto, compassione e paura, amicizia e sdegno, sorpresa e meraviglia, tristezza e solitudine, tentazione spirituale e tortura fisica. È cresciuto «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52); ha imparato l’obbedienza attraverso quello che ha sofferto. Con la morte e la risurrezione ha portato a compimento la sua crescita di uomo.
[300] Il Verbo eterno, immagine perfetta del Padre, si è fatto carne, fragile uomo, solidale con gli uomini deboli e mortali.