Come Dio ci parla
Conoscerlo e conoscerti
Autore: José Brage
Territorio della Perea, a est del Giordano, nell’attuale Giordania. In cima a una collina alta millecento metri sul Mar Morto s’innalza, imponente, la fortezza di Macheronte. Erode Antipa vi ha incarcerato Giovanni il Battista (cfr. Mc 6, 17).
La prigione, fredda e umida, era stata scavata nella roccia. Tutto è al buio. Regna il silenzio. Un pensiero tormenta Giovanni: il tempo passa e Gesù non si manifesta con la chiarezza che egli sperava. Ha avuto notizia delle sue opere (cfr. Mt 11, 2), ma non sembra parlare di sé come il Messia. E quando glielo chiedono direttamente, tace. È possibile che Giovanni si sia sbagliato? Egli però lo ha visto chiaramente! Ha visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi sopra di lui (cfr. Gv 1, 32-43). Sicché, inquieto, manda alcuni discepoli che domandano al Maestro: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?» (Mt 11, 3).
Gesù risponde in modo inatteso. Invece di dare una risposta diretta, rivolge l’attenzione verso le sue opere: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la Buona Novella». Una risposta piuttosto velata, ma sufficientemente chiara per chi conosca i segni che le antiche profezie della Sacra Scrittura avevano annunciato come proprie del Messia e del suo Regno: «Di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri» (Is 26, 19); oppure «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi» (Is 35, 5). Perciò il Signore, invitando Giovanni ad avere fiducia, conclude: «E beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11, 6).
In questa scena possiamo riconoscere la situazione dell’uomo che, in modo simile a Giovanni, crede di non ascoltare Dio durante l’orazione. È allora che Gesù invita a cambiare prospettiva, smettendo di cercare certezze umane, ed entrando invece in quel misterioso gioco nel quale il Signore parla attraverso le sue opere e la Sacra Scrittura. Nelle parole finali – «beato colui che non si scandalizza di me» – scopriamo un richiamo a perseverare con fede nell’orazione, anche quando certe volte Dio non dovesse risponderci come noi speravamo.
I gesti che possono rompere il silenzio
Spesso chi comincia a fare orazione deve fare i conti con l’apparente silenzio di Dio: “Io gli parlo, gli racconto le mie cose, gli domando che cosa devo fare, ma egli non mi risponde, non mi dice niente”. Si tratta dell’antica lamentela di Giobbe: «Io grido a te, ma tu non mi rispondi; insisto, ma non mi dai retta» (Gb 30, 20). È facile allora rimanere perplessi: “Ho sempre sentito dire che l’orazione è un dialogo, ma a me Dio non dice nulla. Perché? Se, come dicono, alle altre persone Dio parla…, perché a me no? Che cosa sto facendo di male?”. Sono i dubbi dell’uomo che prega, e che in certi momenti possono trasformarsi in una tentazione contro la speranza: “Se Dio non mi risponde, perché pregare?”. Oppure, se questo silenzio è interpretato come un’assenza, può trasformarsi in una tentazione contro la fede: “Se Dio non mi parla, allora non c’è”.
Che cose si può replicare a tutto questo? Prima di tutto, che negare l’esistenza di Dio a causa del suo apparente silenzio, non è cosa logica. Dio potrebbe scegliere di tacere per un motivo qualsiasi, e questo non aggiungerebbe nulla alla sua esistenza o non esistenza, né al suo amore per noi. La fede in Dio e nella sua bontà è al di sopra di tutto. In ogni caso, può essere un’occasione per implorare con il salmista, con grande fede e fiducia: «Dio, non darti riposo, non restare muto e inerte, Dio» (Sal 83, 2).
Neppure dobbiamo dubitare della nostra capacità di ascoltare Dio. Nell’intimo dell’uomo esistono delle risorse che, con l’aiuto della grazia, gli permettono di ascoltare il linguaggio di Dio, per quanto questa capacità sia offuscata dal peccato originale e dai peccati personali. Il primo capitolo del Catechismo della Chiesa Cattolica comincia proprio con questa affermazione: “L’uomo è capace di Dio”. San Giovanni Paolo II dava questa spiegazione: “L’uomo, come dice la tradizione del pensiero cristiano, è “capax Dei”: capace di conoscere Dio e di accogliere il dono che Egli fa di se stesso. Creato infatti a immagine e somiglianza di Dio, è in grado di vivere un rapporto personale con lui”; un rapporto personale che assume la forma di un dialogo fatto di parole e di atti. E, a volte, soltanto di atti, come succede anche nell’amore umano.
Così, per esempio, come tra due persone un incrocio di sguardi può costituire un dialogo silenzioso – vi sono sguardi che parlano –, la conversazione fiduciosa dell’uomo con Dio può assumere anche questa forma; quella di «guardare Dio e sentirsi guardato da Lui. Come quello sguardo di Gesù a Giovanni, che determinò una volta per tutte l’orientamento della vita del discepolo. Dice il Catechismo che «la contemplazione è sguardo di fede» e, spesso, uno sguardo può essere più valido e più carico di contenuti, di amore e di luce per la nostra vita, che non una lunga successione di parole. San Josemaría, proprio parlando della gioia che genera una vita contemplativa, affermava che «l’anima erompe ancora una volta in un cantico nuovo, perché si sente e si sa ricambiata dallo sguardo amoroso di Dio, in ogni istante della giornata». Sentire questo sguardo, che è più che sapersi guardati, è un dono che possiamo implorare con umiltà, come «mendicanti di Dio».
Mai nessun uomo ha parlato così
Santa Teresa di Calcutta diceva che «nell’orazione vocale noi parliamo a Dio; in quella mentale è Lui che parla a noi, si sparge su di noi». È un modo di spiegare l’ineffabile: Dio ci parla spargendosi su di noi! È che in realtà l’orazione ha molto del mistero. Questo incontro misterioso tra Dio e la persona ora ha luogo in molte maniere, ma alcune di esse non sono evidenti a prima vista, totalmente comprensibili o facilmente constatabili. Proprio il Catechismo della Chiesa ci avverte: «Dobbiamo anche affrontare alcune mentalità di “questo mondo”; se non siamo vigilanti, ci contaminano; per esempio: l’affermazione secondo cui vero sarebbe soltanto ciò che è verificato dalla ragione e dalla scienza (pregare è, invece, un mistero che oltrepassa la nostra coscienza e il nostro inconscio)». Come Giovanni Battista, assai spesso bramiamo una evidenza che non sempre è possibile sul terreno del soprannaturale.
Il modo in cui Dio parla all’anima va oltre le nostre capacità, non possiamo comprenderlo del tutto: «Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo» (Sal 139, 6). Infatti, il nostro alfabeto non è l’alfabeto di Dio, il nostro idioma non è il suo idioma, le nostre parole non sono le sue parole. Quando Dio parla non ha bisogno di fare vibrare le corde vocali, e il luogo dove lo si ascolta non è l’orecchio, ma il punto più recondito e misterioso del nostro essere, che certe volte chiamano cuore e altre volte coscienza. Dio parla con la realtà del suo essere e alla realtà del nostro essere, nello stesso modo in cui una stella non entra in relazione con un’altra stella con le parole ma con la forza di gravità. Dio non ha bisogno di parlarci con parole, anche se potrebbe farlo; gli basta farlo mediante le sue opere e la silenziosa azione dello Spirito Santo nelle nostre anima, muovendo il nostro cuore, inclinando la nostra sensibilità o illuminando la nostra mente per attrarci dolcemente a sé. Può darsi che, in un primo momento, non siamo neppure consapevoli di ciò, ma il trascorrere del tempo ci aiuterà a distinguere questi suoi effetti in noi: forse saremo diventati più pazienti, o più comprensivi, o lavoreremo meglio, o daremo più valore all’amicizia…; in definitiva, ameremo Dio sempre più.
Nel parlare dell’orazione, il Catechismo della Chiesa afferma che «la trasformazione del cuore che prega è la prima risposta alla nostra domanda». Una trasformazione che in genere è lenta e graduale, a volte impercettibile, ma assolutamente certa, che dobbiamo imparare a riconoscere e ad apprezzare. Lo fece san Josemaría il 7 agosto 1931: «Questa diocesi celebra oggi la festa della Trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo. Nel formulare le intenzioni della santa Messa, mi sono reso conto del cambiamento interiore operato da Dio in me, in questi anni di residenza nella ex-Corte… Un cambiamento avvenuto nonostante me stesso: senza la mia cooperazione, posso dire. Credo di aver rinnovato il proposito di indirizzare tutta la mia vita al compimento della volontà divina». Questo cambiamento interiore, riconosciuto nell’orazione, è un modo in cui Dio parla…, e che modo! Allora si capisce ciò che le guardie del Tempio dissero di Gesù: «Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo» (Gv 7, 46). Dio parla come nessun altro può fare: cambiando il cuore.
La parola di Dio è efficace (cfr. Eb 4, 12), ci cambia, la sua azione nell’anima va oltre noi stessi. Lo dice lo stesso Yahweh per bocca di Isaia: «Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero» (Is 55, 9-11). Questa efficacia misteriosa ci invita anche all’umiltà, che “è la disposizione necessaria per ricevere gratuitamente il dono della preghiera”, perché ci aiuta a confidare e ad aprirci all’azione di Dio.
La tremenda libertà di Dio
Dio parla quando vuole. Non possiamo dare indicazioni allo Spirito Santo. Non è in nostro potere dirigere la sua azione nelle nostre anime. Una volta san Josemaría ha affermato che Gesù, presente nel tabernacolo, «è un Signore che parla quando vuole, quando meno ce lo si aspetta, e dice cose ben precise. Poi tace, perché aspetta la risposta della nostra fede e della nostra lealtà». Infatti, si entra in preghiera non per la porta del sentimento – vedere, ascoltare, sentire – ma «per la porta stretta della fede», manifestata nella cura e nella perseveranza che mettiamo nei nostri momenti di preghiera; anche se a volte non ce ne accorgiamo immediatamente, questi danno sempre frutto.
È quello che è accaduto spesso anche al fondatore dell’Opus Dei; per esempio, il 16 dicembre 1931, come egli stesso ci racconta: «Volevo fare orazione, dopo la Messa, nella quiete della mia chiesa. Non ci sono riuscito. Ad Atocha ho comprato un giornale (l’ABC) e ho preso il tram. Fino a questo momento in cui scrivo, non sono riuscito a leggere più di un paragrafo del giornale. Ho sentito affluire l’orazione di affetti, copiosa e ardente. Così in tram e fino a casa». San Josemaría tenta, apparentemente senza successo, di fare orazione in un luogo raccolto. Tuttavia, pochi minuti dopo, nel frastuono di un tram pieno di gente, mentre stava cominciando a leggere le notizie della giornata, è trascinato dalla grazia di Dio a fare «l’orazione più intensa» mai fatta, come egli stesso dice.
Molti altri santi sono stati testimoni di questa libertà di Dio nel parlare all’anima quando vuole. Santa Teresa di Gesù, per esempio, lo spiegava con l’immagine della legna e del fuoco. Le era successo più di una volta che, pur avendo messo ogni sforzo – la legna –, alla fine l’orazione – il fuoco – non si propagava. Scrive: «Ridevo di me stessa e provavo piacere nel vedere la piccolezza di un’anima quando Dio non opera sempre in essa. […] Anche se mette legna e fa quel poco che può fare da parte sua, non riesce a far ardere il fuoco del suo amore. […] Allora un’anima, per quanto s’impegni a soffiare e a mettere legna, tanto più sembra che spenga tutto. Credo che la cosa migliore sia arrendersi del tutto, in quanto da sé sola non può nulla», perché Dio parla quando vuole.
Però, nello stesso tempo, Dio ci ha parlato ripetutamente; o meglio, non smette mai di parlarci. In qualche modo, imparare a pregare consiste nell’imparare a riconoscere la voce di Dio nelle sue opere, come Gesù stesso ha fatto vedere a Giovanni Battista. Lo Spirito Santo non cessa di agire nel nostro intimo, per cui san Paolo poteva ricordare ai Corinzi che «nessuno può dire: “Gesù è Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12, 3).
Questo ci riempie di pace. Chi perde di vista questo, può cadere facilmente nella disperazione: «Coloro che cercano Dio mediante la preghiera si scoraggiano presto allorquando ignorano che la preghiera viene anche dallo Spirito Santo e non solo da loro». Per non scoraggiarci mai nell’orazione è necessario avere una grande fiducia nello Spirito Santo e nella sua multiforme e misteriosa azione nelle nostre anime: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa» (Mc 4, 26).
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