Come nacque Gesù? E altre domande
Tratto da "50 domande su Gesù (II)"
Autore: Don Juan Chapa
5. Come nacque Gesù?
Maria concepì Gesù senza l’intervento di un uomo. Così viene affermato con chiarezza nei primi due capitoli dei vangeli di San Matteo e di san Luca: “ciò che è concepito in lei, viene da Spirito Santo” dice l’angelo a san Giuseppe (Mt 1,20); e a Maria che domanda “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” l’angelo risponde: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra…” (Lc 1, 34-35). D’altra parte, il fatto che Gesù dalla Croce affidi sua madre a san Giovanni fa supporre che la Vergine non avesse altri figli.
Il carattere soprannaturale della nascita di Gesù è stato tramandato fin dall’inizio, in modo unanime e la Chiesa lo ha sempre difeso.
Sant’Ignazio di Antiochia, nella Lettera agli Efesini, 19, 1, composta intorno all’anno 100, conferma questo punto scrivendo che “Al principe di questo mondo rimasero nascosti la verginità di Maria, il suo parto e la morte del Signore, i tre misteri clamorosi che si compirono nel silenzio di Dio”.
Alla fine del II secolo, Sant’Ireneo scrive che il parto fu senza dolore (Demonstratio Evangelica, 54) e Clemente Alessandrino afferma che la nascita di Gesù fu verginale (Stromata 7,16). In un testo del IV secolo attribuito a San Gregorio Taumaturgo si dice chiaramente: “Nascendo (Cristo) conservò immacolati il seno e la verginità, perché l’inaudita natura di questo parto fosse per noi il segno di un grande mistero” (JB Pitra, Analecta Sacra, 4, Greg Press, Franborough 1966, p. 391).
I vangeli apocrifi più antichi come le Odi di Salomone (Ode 19), l’Ascensione di Isaia (cap.14), il Protovangelo di Giacomo (cap. 20-21) e lo Pseudo-Matteo (cap. 13) riferiscono che la nascita di Gesù ebbe un carattere miracoloso. Malgrado il loro tono alle volte esagerato e stravagante, questi testi apocrifi conservano tradizioni popolari che coincidono con le testimonianze più dotte e ortodosse sopra segnalate.
Tutti questi scritti riflettono una tradizione di fede che è stata sancita dall’insegnamento della Chiesa e che afferma che Maria fu vergine prima del parto, nel parto e dopo il parto: “Maria «sempre Vergine».
L’approfondimento della fede nella maternità verginale ha condotto la Chiesa a professare la verginità reale e perpetua di Maria anche nel parto del Figlio di Dio fatto uomo. Infatti la nascita di Cristo «non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l’ha consacrata». La Liturgia della Chiesa celebra Maria come la «Aeiparthenos», «sempre Vergine»”.
6. Che significa la verginità di Maria?
Il concepimento verginale di Gesù va inteso come un’opera del potere di Dio –“per Lui niente è impossibile” (Lc 1,37)– che sfugge ad ogni comprensione umana.
Non ha nulla a che vedere con le rappresentazioni mitologiche pagane nelle quali un dio, in sembianze umane, si unisce con una donna. Nel concepimento verginale di Gesù, Dio agisce con un atto simile alla creazione.
Ciò è impossibile da accettare per il non credente, come lo fu per i giudei e i pagani, tra i quali fiorirono storie triviali sulla nascita di Gesù; una di questa l’attribuiva ad un soldato romano di nome Pantheras. Questo personaggio è una figura letteraria su cui si imbastisce una leggenda per prendersi gioco dei cristiani. Ma dal punto di vista storico e filologico il nome Pantheras (o Pandera) ha molto interesse, perché nella parodia del racconto è la corruzione della parola greca parthénos (in greco: vergine). Nelle regioni orientali dell’Impero Romano era corrente utilizzare il greco, e chi udiva parlare i Cristiani di Gesù come il “Figlio della Vergine” (huios tou parthénou), volendosi burlare di loro lo chiamava “il figlio di Pantheras”. Questa storiella testimonia che le prime comunità cristiane proclamavano la Verginità di Maria, anche se appariva come una cosa impossibile.
Il concepimento verginale è segno che Gesù è veramente Figlio di Dio – non ha un padre umano – ma allo stesso tempo che è vero uomo nato da donna (Gal 4,4). Con il concepimento verginale di Gesù, si ribadisce l’assoluta iniziativa di Dio nella storia umana per l’avvento della salvezza, e d’altra parte si evidenzia che questa si inserisce con naturalezza nella storia umana, come mostra la genealogia di Gesù riportata dei Vangeli.
Gesù, concepito da Spirito Santo e senza l’intervento di un uomo, è il nuovo Adamo che inaugura una nuova creazione, a cui appartiene l’uomo nuovo da lui redento (1 Co 15,47; Gv 3, 3-4).
Inoltre la Verginità di Maria manifesta la fede senza ombra di dubbio e la donazione piena della madre di Gesù alla volontà di Dio. Si è anche detto che per questa sua fede Maria concepì Cristo prima nella sua mente che nel suo grembo e che “è più benedetta ricevendo Cristo mediante la fede che nel concepire nel suo grembo la carne di Cristo” (Sant’Agostino, La santa verginità, 3). Maria, vergine e madre, è simbolo della Chiesa e ne è la più perfetta realizzazione.
7. La stella di Betlemme
I due capitoli iniziali dei Vangeli di Matteo e Luca sono conosciuti come i “Vangeli dell’infanzia” perché ci fanno conoscere i fatti relativi alla nascita e all’infanzia di Gesù. Tramite san Matteo veniamo a sapere che alcuni “Magi” arrivarono a Gerusalemme e domandarono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2, 2).
Questi racconti hanno uno stile leggermente diverso dal resto dei Vangeli. Sono pieni di riferimenti all’Antico Testamento e ogni fatto narrato è altamente simbolico. In questo senso la loro storicità non si può verificare nella stessa maniera che gli altri episodi narrati nei Vangeli. Inoltre vi sono differenze: in san Luca l’infanzia di Gesù rappresenta l’introduzione al suo Vangelo, mentre in san Matteo è come una sintesi dell’intero testo.
Nel brano sui Magi (Mt 2, 1-12) viene raccontato come alcuni gentili, cioè persone che non appartengono al popolo di Israele, scoprono la rivelazione di Dio grazie a propri studi e alle proprie conoscenze umane (le stelle). Tuttavia arrivano alla pienezza della verità mediante le Scritture Sacre di Israele.
Ai tempi della composizione dei Vangeli era credenza comune sia nella cultura pagana (Svetonio, Vita dei Cesari, Augusto, 94; Cicerone, Sulla divinazione, 1, 23, 47; ecc.) sia in quella giudaica (Flavio Giuseppe, La guerra giudaica, 5, 310-312; 6, 289), che la nascita di qualche personaggio importante o qualche avvenimento di grande rilievo fosse annunciato da prodigi celesti. Inoltre nell’Antico Testamento nel libro dei Numeri si cita l’oracolo di Balaam: «Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele…» (Nm, 24, 17). Questo passo viene interpretato come un annuncio del Messia Salvatore. Quindi per capire adeguatamente perché si cita la stella bisogna tener presente questi riferimenti: relazione tra prodigi celesti e avvenimenti importanti, e la profezia contenuta nel libro dei Numeri.
L’esegesi moderna si è chiesta quale fenomeno naturale fu interpretato dagli uomini di quel tempo come straordinario. Si sono fatte soprattutto tre ipotesi: 1) Keplero (secolo XVII) parlò di una supernova, cioè di una stella nuova molto lontana nella quale avviene un’esplosione, ragion per cui, per alcune settimane, è più luminosa ed è visibile dalla terra. 2) una cometa, dato che esse seguono un percorso regolare ellittico intorno al sole: nella parte più distante del loro percorso non sono visibili, ma quando sono più vicine si possono vedere. Anche questa ipotesi collima con quanto riportato da san Matteo, anche se le apparizioni delle comete che ci sono note e che si vedono dalla terra, non corrispondono con le date della nascita di Gesù. 3)
Un’altra ipotesi è che i saggi persiani abbiano visto una congiunzione tra Giove e Saturno. Anche Keplero notò questo fenomeno periodico e se i nostri calcoli non sono errati è possibile che ne sia avvenuta una 6/7 anni prima della nostra era, cioè intorno alla data più probabile in cui nacque Gesù.
8. Perché festeggiamo il Natale il 25 dicembre?
Non sembra che i primi cristiani celebrassero il compleanno (cfr. per es. Origene, PG XII, 495). Festeggiavano invece il dies natalis, il giorno dell’entrata nella patria definitiva per coloro che erano morti (cfr. per es. Martirio di Policarpo, 18, 3), come partecipazione alla salvezza operata da Gesù che aveva sconfitto la morte con la sua passione gloriosa. Ricordavano con precisione il giorno della glorificazione di Gesù, il 14/15 del mese di Nisan (settimo mese dell’anno ebraico, mese della primavera corrispondente a marzo-aprile, in cui si celebrava la Pasqua), ma non la data della sua nascita, di cui niente ci tramandano i racconti evangelici.
“L’anno liturgico della Chiesa innanzitutto non si è sviluppato guardando alla nascita di Cristo, ma a partire dalla fede nella sua resurrezione. Per questo la festa più antica della cristianità non è il Natale, ma la Pasqua. In effetti solo la resurrezione del Signore ha fondato la fede cristiana ed ha così dato origine alla Chiesa” (J. Ratzinger, Immagini di Speranza, 1999, pag. 7).
Fino al III secolo non abbiamo notizia sulla data della nascita di Gesù: “Il primo ad affermare con certezza che Gesù nacque il 25 dicembre è stato Ippolito di Roma nel suo commento a Daniele, scritto verso il 204” (J. Ratzinger, op.cit. pag. 7). Il primo riferimento diretto ed esplicito alla festa si trova nel calendario liturgico filocaliano dell’anno 354 (MGH, IX, I, 13 – 196): «VIII kal. Ian. natus Christus in Betleem Iudeae» («il 25 dicembre nacque Cristo a Betlemme di Giudea»). Dal secolo IV il consenso su questo giorno come data della nascita di Cristo si generalizza nella tradizione occidentale. Invece in oriente prevale la data del 6 gennaio.
Ma perché il 25 dicembre? Una spiegazione piuttosto diffusa è che dall’anno 274 d.C., il 25 di quel mese a Roma si celebrava il dies natalis Solis invicti, la vittoria della luce sulla notte più lunga dell’anno. Tale ipotesi si appoggia sulla liturgia del Natale, in cui vengono effettuati accostamenti tra la nascita di Gesù Cristo ed espressioni bibliche come “sole di giustizia” (Mc 3, 20) e “luce del mondo” (Gv 1, 4ss). Tuttavia, non ci sono prove che le cose stiano proprio così, e d’altra parte è difficile immaginare che i cristiani di quell’epoca volessero adattare feste pagane al calendario liturgico, specialmente dopo aver sperimentato una persecuzione. È però possibile che con il tempo la festa cristiana sia andata sostituendo quella pagana.
Ma ci sono altre spiegazioni più fondate. La prima collega la nascita del Battista con quella di Gesù: Luca riferisce che Zaccaria, padre di Giovanni Battista, era sacerdote della classe di Abìa. Egli stava esercitando le sue funzioni nel tempio quando l’angelo Gabriele gli annunciò la nascita del figlio (Luca, 1, 5-13).
Secondo il calendario qumranico solare, i turni della famiglia di Abìa per il servizio nel tempio capitavano due volte all’anno: dall’8 al 14 del 3° mese e dal 24 al 30 dell’8° mese. La tradizione orientale che fa risalire la nascita di Giovanni il 24 giugno, colloca la data del servizio al tempio di Zaccaria nel secondo turno: 24-30 dell’8° mese. A sua volta Luca data l’annunciazione dell’angelo a Maria nel 6° mese successivo al concepimento di Giovanni (Luca, 1, 26). Le liturgie orientali ed occidentali concordano nel fissare questa data al 31 del mese di Adar, corrispondente al nostro 25 marzo. Infatti in questa data la Chiesa celebra anche oggi l’annuncio dell’angelo ed il concepimento di Gesù.
Di conseguenza la data della nascita doveva essere posta 9 mesi dopo, appunto il 25 dicembre (Fonte: culturacattolica.it).
Dal racconto di san Luca, in cui le due nascite sono legate tra di loro, si dedurrebbe che egli «presuppone già nel suo Vangelo la data del 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù. Allora in quel giorno si celebrava la festa della dedicazione del tempio, istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a.C. e la data della nascita di Gesù simboleggerebbe così contemporaneamente che con lui, apparso come luce di Dio nella notte invernale, si realizzava veramente la consacrazione del tempio, l’avvento di Dio su questa terra». (J. Ratzinger, op. cit. pag. 8).
Un’altra spiegazione lega la data dell’incarnazione, nove mesi prima della nascita, con la data della sua morte: «nostro Signore fu concepito l’8 delle calende di aprile [25 marzo] che è il giorno della passione del Signore» (B.Botte, Les origines de la Noël et de l’Epiphanie, Louvain 1932, righe 230-233). Nell’oriente cristiano, appoggiandosi su altri calendari, la passione e l’incarnazione si celebravano il 6 aprile, data che concorda con la loro celebrazione del Natale il 6 gennaio.
La mentalità classica e medievale, che ammirava la perfezione dell’universo come un tutto, vedeva nel legame temporale tra la passione e l’incarnazione, l’unitarietà degli interventi divini. Concetto che trae le proprie radici dal pensiero giudaico dove creazione e salvezza avevano un nesso con il mese di Nisan. Nei secoli l’arte cristiana ha espresso queste medesime idee nel rappresentare l’Annunciazione con il bambino Gesù che discende dal cielo con una croce. È quindi possibile che i cristiani abbiano collegato la redenzione operata da Cristo con il suo concepimento e così fu fissata anche la data della nascita. Sembra quindi di poter affermare: «Decisiva fu la relazione tra la creazione e la croce, tra la creazione e il concepimento di Cristo» (J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia).
9. La strage degli innocenti
La strage degli innocenti appartiene, come l’episodio della stella e dei Magi, al vangelo dell’infanzia di san Matteo. I Magi hanno fatto domande sul re dei Giudei (Mt 2,1) ed Erode –che si considera il legittimo re dei Giudei – ricorre all’inganno per sapere chi sia quel potenziale usurpatore, e raccomanda che lo informino al loro ritorno. Quando si accorge che sono andati via per un’altra strada, «si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi.» (Mt 2, 16).
Il passo evoca un altro episodio, dell’Antico Testamento: anche il Faraone aveva ordinato di uccidere tutti i neonati degli ebrei, ma Mosè, che poi avrebbe liberato il suo popolo, si salvò (cfr. Es 1, 8-2, 10). Per Matteo, con il martirio di questi bambini si compiva un oracolo di Geremia (Ger 31, 15). Il popolo di Israele fu esiliato in Babilonia, ma da lì lo liberò il Signore che, con un nuovo esodo, lo riportò nella sua terra promettendogli una nuova alleanza (Ger 31, 31). Pertanto il senso del brano di Matteo è chiaro: per quanto si impegnino, i potenti della terra nulla possono contro i progetti salvifici di Dio.
In questo contesto si deve esaminare la storicità di questo episodio, che conosciamo solo tramite il racconto di Matteo. Nella logica della ricerca storica vale la regola “testis unus testis nullus”, un solo testimone non basta. Tuttavia è facile pensare che la strage di bambini di Betlemme, una piccola località, non sia stata tale da essere trascritta negli annali. Ciò che è sicuro è che la malvagità e la mancanza di scrupoli di Erode è attestata anche da Flavio Giuseppe: fece affogare il cognato Aristobulo quando questi raggiunse grande popolarità; assassinò il suocero Arcano II, un altro cognato, Costobar e la moglie Mariamne; negli ultimi anni di vita fece assassinare anche i propri figli Alessandro e Aristobulo e cinque giorni prima della sua morte un altro figlio, Antipatro; infine ordinò che prima della sua morte fossero giustiziati alcuni notabili del regno, in modo che la popolazione della Giudea, spontaneamente o meno, piangesse per la morte di Erode (cfr. Antichità giudaiche, capp. 15, 16 e 17).
10. Gesù aveva fratelli?
La Vergine Maria concepì Gesù senza concorso di uomo (Mt 1,25) e non ebbe altri figli, come si desume anche dal fatto che Gesù sulla croce affida la Madre a Giovanni (Gv 19,27). Così ci è stato trasmesso dalla tradizione della Chiesa, che ha confessato Maria come la aeiparthenos, la “sempre vergine”. Si tratta di una verità di fede conforme ai testi evangelici. Le espressioni che si trovano nei vangeli e che sembrano contraddirla debbono essere intesi correttamente:
a) Nel vangelo si dice che Gesù è il primogenito di Maria (Lc 2,6), il che implicherebbe che sia il maggiore di vari fratelli. Ma il termine “primogenito” è il modo legale di nominare il primo figlio (Es 19,29; 34,19, ecc.) e non implica necessariamente che ci siano altri fratelli dopo di lui, come è evidente dalla testimonianza di una famosa iscrizione ebrea in cui si dice di una madre che morì mentre dava alla luce il suo “figlio primogenito”.
b) Le parole di Matteo 1,25, “senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio”, letteralmente si potrebbero tradurre “e non la conobbe fino a che diede alla luce”. La congiunzione greca heos, “fino a che”, sembrerebbe sottintendere che poi “la conobbe”. In realtà, questa congiunzione indica di per sé solo quello che è successo fino a quel momento, in questo caso, la concezione verginale di Gesù, a prescindere dalla situazione successiva. Troviamo la stessa congiunzione in Gv 9,18, dove si dice che i farisei non credettero al miracolo della guarigione del cieco dalla nascita “fino a che” chiamarono i genitori di quello. Ma nemmeno dopo credettero.
c) Nei testi evangelici ci sono riferimenti espliciti ad alcuni “fratelli e sorelle” di Gesù (Mc 3,32 ; 6,3 e par.) E ne vengono riportati quattro nomi: “Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda” (Mc 6,3). Di questi quattro, Giacomo svolgerà un importante ruolo nella chiesa primitiva, come capo della chiesa di Gerusalemme, e sarà conosciuto proprio come “Giacomo, il fratello del Signore” (Ga 1,19; cf. 1Co 15,7). D’altra parte occorre aver presente che in ebraico e in aramaico non esiste un termine specifico per distinguere i gradi di parentela, per cui tutti i parenti sono “fratelli”. La parola greca che traduce “fratello”, adelfòs, impiegata nei vangeli (testi che riflettono un mondo semita e non greco), ha un significato molto ampio, che va dal fratello di sangue fino a fratellastro, cognato, zio, vicino, discepolo, ecc. In Gn 13,8 si dice che Abramo e Lot erano fratelli, quando in realtà per altri dati sappiamo che erano zio e nipote. In Mc 6,17 si dice che Erodiade si era sposata con Erode, “fratello di Filippo”, e in realtà erano fratellastri, giacché avevano madre diversa. In Gv 19,25 si legge che stavano vicino alla croce di Gesù “sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Cleofa”, cioè due Marie che dovevano essere parenti e non sorelle di sangue, poiché avevano lo stesso nome proprio.
È vero che esiste in greco la parola anepsiòs per cugino, ma nel Nuovo Testamento (Col 4,10) compare solo una volta. Affermare che, nel caso che fossero cugini e non veri fratelli, gli evangelisti avrebbero utilizzato questo termine o avrebbero lasciato qualche indizio è partire da un a priori. Addurre la testimonianza di Egesippo raccolta da Eusebio, che parla di “Giacomo, fratello del Signore” (Hist. Eccl. 2,23) e “Simone, cugino del Signore” (Hist. Eccl. 4,22) non è un argomento decisivo. Il primo può intendersi come il titolo con cui era conosciuto Giacomo, senza voler specificare il grado di parentela.
A meno che il contesto lo precisi, è impossibile sapere il significato esatto della parola “fratello” e il grado di parentela o relazione. Se a Gesù vengono attribuiti “fratelli e sorelle”, d’altra parte è il solo ad essere conosciuto come il “figlio di Maria” (Mc 6,3). È il suo unico figlio. La tradizione della Chiesa (e non le analisi filologiche apparentemente più probabili e testimoni isolati per quanto antichi) è la vera interprete di questi testi. Questa stessa tradizione ha spiegato che nel Nuovo Testamento l’espressione “fratelli” di Gesù si deve intendere come “parenti”, secondo il significato della parola greca. Qualsiasi altra interpretazione è possibile, ma arbitraria.