Vantaggi delle orazioni
Tratto da "Come pregare sempre" - Parte seconda - la pratica - Cap 3 bis
Autore: Padre Rodolphe Plus S.J.
La pratica delle orazioni giaculatorie e dell’esercizio della presenza di Dio è raccomandata dall’insegnamento e dall’esempio dei grandi maestri di vita spirituale e dei santi. Alle testimonianze gia riportate, ne aggiungiamo altre.
«Si procuri -dice sant’Ignazio di Loyola- la presenza di Dio in tutte le cose, nelle conversazioni e nelle passeggiate, nel guardare, nel gustare, nell’ascoltare e nel riflettere, in una parola in tutto quello che stiamo facendo. Questa maniera di meditare, che ci fa trovare Dio in tutto, è più facile di quella che ci eleva a cose divine più astratte e che esigono dello sforzo per potersele rappresentare. Questo salutare esercizio, quando ci prepariamo per farlo bene, ci attira delle grandi visite del Signore anche nel breve tempo della nostra orazione. Esercitiamoci pure ad offrire spesso al Signore i nostri lavori e le nostre fatiche, pensando che le accettiamo per amore suo, sacrificando i nostri gusti per servire in qualche maniera la sua divina Maestà e venire in aiuto di tutti quelli, per la salute dei quali Gesù Cristo ha accettato la morte. Conviene esaminarsi bene su questi due punti».
«La via più breve che ci conduce alla divina carità -dice a sua volta Luigi di Granata- consiste nell’elevare il nostro cuore a Dio con affetti forti e con desideri infiammati del suo amore, conversando con Lui, in una confidenza rispettosa, tenendoci sempre raccolti alla sua presenza».
San Francesco di Sales e san Leonardo da Porto Maurizio danno i medesimi consigli: «Dal raccoglimento spirituale e dalle giaculatorie dipende l’opera della devozione: se vi è, quello può supplire al difetto delle altre preghiere; se manca, non vi si può rimediare con altro mezzo. Senza di esso è impossibile la vita contemplativa e riesce malagevole e imperfetta la vita attiva; senza di esso il riposo è ozio e la fatica impaccio. Filotea, te ne scongiuro: abbraccialo di buona voglia e non lasciarlo mai». Al vescovo di Ginevra fa eco il santo missionario italiano: «Volete voi un paradiso anticipato sulla terra e una compagnia sicura per arrivare rapidamente alla perfezione? […] Vivete nel raccoglimento interiore e camminate alla presenza di Dio». Parlando poi di se stesso, san Leonardo da Porto Maurizio diceva ancora: «La mia vocazione sono le missioni e la solitudine: predicare le missioni per essere sempre occupato per Dio, ritirarmi in solitudine per essere sempre occupato in Dio. Tutto il resto è vanità». Ognuno di noi, se ha ben capito questo, non ha forse la medesima vocazione?
Se i santi e i maestri di spiritualità magnificano con tanto ardore e in cosi comune accordo di opinioni l’esercizio della presenza di Dio e le frequenti orazioni giaculatorie, bisogna credere che i frutti siano molto preziosi.
E in effetti lo sono.
Il primo vantaggio consiste nel rendere più facile l’orazione e il distacco, che sono, come abbiamo detto, i due fondamenti dell’unione con Dio.
Rende più facile l’orazione. «È certo che l’amore provoca il frequente ricordo dell’oggetto amato, ed è anche vero che questo frequente ricordo accresce di molto l’amore. Un’anima fedele, nel ricordarsi spesso di Dio, sarà presto infiammata di carità e, in proporzione alla crescita nell’amore di Dio, il ricordo di Lui sarà così abituale da non potersene più dimenticare».
Non solamente l’orazione in quanto tale si trova facilitata dall’esercizio della presenza di Dio, ma anche, nel corso della giornata, la vita di silenzio interiore, cosi necessaria all’unione con Dio. Non attrae molto una solitudine in cui non si percepisce nient’altro che il vuoto; ma, se si possiede l’arte di popolarla di cose divine, la propria solitudine allora non apparirà più cupa e austera, ma ricca e splendidamente ricolma, piena di vita e desiderabile! Solo coloro che coltivano la presenza di Dio e frequentemente elevano la mente a Lui conoscono quanto sia vero il detto di Manning: «La solitudine e il silenzio sono pieni di realtà».
Allo stesso modo, la pratica delle orazioni giaculatorie facilita il distacco dalle creature. In questo siamo di solito poco coraggiosi, perché non vediamo con sufficiente chiarezza per chi e per cosa dobbiamo vincere noi stessi. Il pensiero di Dio, soprattutto quando è ardente e pieno d’amore, opera sulla tiepida cenere della nostra esistenza al pari di una folata di vento sulla polvere: scopre la brace e ravviva la fiamma.
I vantaggi dell’esercizio della presenza di Dio e delle orazioni giaculatorie non si esauriscono qui; ve ne sono molti altri. Non c’è niente di meglio che rinnovare frequentemente questi atti di unione, per entrare poco a poco nello stato di unione moralmente continua.
Agli inizi, potremo cominciare a intraprendere uno sforzo ragionevole per pensare a Dio un determinato numero di volte e offrirgli le nostre diverse azioni; poi, gradualmente, ci abitueremo a progredire con calma.
Nulla di febbrile e di affrettato, ma uno sviluppo armonioso, virile e affettuoso dello spirito di fede. Diventa cosi naturale l’abitudine soprannaturale di rivolgerci al Centro di tutte le cose vivente nel centro stesso di noi, giacché alla periferia niente più ci attira per il servizio del Re. Appena concluso quanto ho da fare per Dio, rivolgo a Lui il pensiero: questa dev’essere la regola della nostra pratica di un raccoglimento che intende diventare nello stesso tempo saggio e intenso.
L’anima possiede allora -o si prepara cosi ad acquistare- l’unione continua, cioè l’elevazione a Dio talmente penetrata nella sua vita e tanto facile e spontanea, che si può dire «elevazione ininterrotta». Non si tratta di parole pronunciate materialmente. Il cuore resta aderente a Dio, la volontà è tutt’uno con quella divina e lo spirito, cosi mobile e a volte dissipato -anche se non sempre per colpa sua-, vive proteso a purificare e a offrire la sua intenzione prima, durante o dopo l’occupazione di ogni momento, cosi che l’anima è simile -per usare il paragone di san Francesco di Sales- al bambino che coglie i fiori lungo il sentiero senza abbandonare la mano del padre che l’accompagna. San Tommaso d’Aquino definisce l’abitudine «una qualità stabile che dispone ad agire con facilità». Spontaneità e perseveranza, ecco ciò che caratterizza ogni abitudine, compresa quella di pregare.
Un filosofo moderno descrive molto bene la conquista progressiva dell’unione con Dio che diventa sempre più facile. «Un primo gradino nel progresso interiore consiste nello sviluppo di certi stati psicologici. All’inizio, ripiegati su se’ stessi e privati, salvo rari casi, dell’occasione di manifestarsi, sembrano acquistare a poco a poco un’importanza che non possedevano ancora […]. Il fedele, per cui l’amore di Dio era ridotto a un breve raccoglimento al mattino e alla sera davanti all Essere supremo, giunge a percepire in sé la continua presenza dell’oggetto del suo amore; mentre prima gli sembrava necessario uno sforzo di volontà per pronunciare qualche formula con attenzione, ora si sente penetrato dal bisogno di pregare […]. Ben presto, poi, l’universo gli appare simile a un velo trasparente che lascia intravvedere ovunque il Creatore […]. Ogni creatura, anche la più umile, è un’immagine del volto di Dio […].
«Riconoscendo in tutte le cose l’impronta divina, segno di comune derivazione, queste appariranno ai suoi occhi come fratelli e sorelle fra loro e verso se stesso. Cosi, dal primo timido sforzo per rivolgere la propria anima al Signore, si svilupperà, come l’albero dal seme, un ardente amore per Dio e per ogni cosa in Lui».
Padre Gratry si esprime con accenti più poetici: «Esistono anime che sentono più di altre il bisogno della quiete e del ritorno al focolare della vita. Quando una di queste anime si è congiunta strettamente a Dio e ha gustato la sua pienezza, pur avendo dovuto subire per lungo tempo l’insopportabile vanità della vita mondana, viene il momento in cui ogni affare, ogni attività esteriore, ogni uscita verso il mondo diventano impossibili. Il mondo è allora come un importuno che viene a guastare una festa intima, e la necessita di subirlo può farci giungere persino alle lacrime, come quando sopravviene un fastidioso inconveniente mentre siamo immersi in un lavoro ispirato; o quando una persona -conosciuta di vista, ma non intimamente- viene a rubarci gran parte di una giornata destinata alla preghiera o allo studio, e tormenta con discorsi lunghi e inutili la nostra attenzione, che viene meno a ogni parola e si concentra altrove. La vita del mondo stanca queste anime e moltiplica i loro aneliti verso l’eterna pace. Senza dubbio, una concezione così matura della morte e rara, ma anche i meno progrediti nella vita spirituale possono comprenderla e accettarla».
Se facciamo parte di quest’ultima categoria di principianti, non meravigliamoci di dovere ancora lottare per giungere al raccoglimento desiderato.
Coraggio… e fiducia in Dio!
Con l’abitudine che si può acquisire ordinariamente, e con la grazia che moltiplica i benefici dell’abitudine, perché non dovremmo arrivarci anche noi?
«Per più anni -dice di sé santa Teresa- ho sofferto anch’io il tormento di non potermi fermare sopra alcun soggetto, e so che è molto penoso. Ma so pure che il Signore non ci lascia mai così sole da non venirci talvolta a tener compagnia, purché glielo chiediamo con umiltà. Se questo non otteniamo alla fine di un anno, lavoriamo per averlo almeno dopo molti, ne rimpiangiamo un tempo che così spendiamo assai bene. C’è forse qualcuno che ci spinge? Abituiamoci dunque a questa pratica, sforzandoci di mantenerci in compagnia di questo vero Maestro».
A sua volta, Luigi di Granata osserva: «Il santo re Davide viveva sempre alla presenza di Dio: Providebam Dominum in conspectu meo semper. Comportatevi allo stesso modo ed elevate continuamente il cuore a Dio, senza sforzarvi troppo o farvi violenza, ma lasciando che lo spirito si inabissi, semplicemente e amorosamente, in questa sovrana divinità. Non affliggetevi nel vedere che il vostro cuore per la sua naturale tendenza a dissiparsi, è spesso distratto; cercate di raccoglierlo prontamente e offritelo di nuovo al Signore.
«Se avete il coraggio di sostenere questo combattimento per qualche tempo, senza arretrare di un passo, oso assicurarvi che l’abitudine si cambierà in natura, e non solo non proverete più fatica a entrare nel raccoglimento, ma non ne uscirete più. Sarete come un pesce che non può vivere fuor d’acqua, e che, se ne fosse fuori, farebbe di tutto per rituffarsi».
Chi si rivolge a Dio facilmente e abitualmente nel corso delle occupazioni ordinarie, ha raggiunto l’unione con Dio moralmente continua. I suoi rapporti con il Signore sono, nel senso letterale del termine, relazioni di intimità.
A questo punto, se Dio vorrà fare entrare l’anima nello stato di raccoglimento, non soltanto acquisito, ma anche infuso, la via sarà stata ben preparata -nella misura in cui possiamo prepararci a uno stato che è un dono del tutto gratuito di Dio- dallo sforzo di mantenersi, con lo spirito di fede e un’ardente generosità, in una presenza di Dio cosi continua quanto è possibile umanamente.
Santa Teresa, i cui consigli sull’argomento sono ricchi d’esperienza, lo dichiara espressamente: «In tal modo getterete un solidissimo fondamento, in grazia del quale il Signore, volendolo, vi potrà innalzare a grandi cose, tanto più che mantenendovi a Lui vicine, ne avete gia la disposizione».
Non vogliamo qui penetrare nel mondo delle «grandi cose» a cui la santa allude: andremmo fuori dal tema che ci eravamo proposti, e cioè come sia possibile, con le nostre risorse naturali aiutare dalla grazia comune, conquistare l’unione con Dio e pervenire al massimo grado di raccoglimento acquisibile con il nostro libero sforzo.
D’altra parte, regole e consigli sono meno utili della raccomandazione alla docilità, all’umiltà e al dono totale di sé, senza riserve, per le anime a cui Dio -con tocchi momentanei o permanenti- elargisce il raccoglimento infuso.
Lo Spirito Santo si prende cura di istruirle, e lo fa senza strepito di parole.
Possiamo quindi tacere e utilizzare il silenzio, che conviene fare seguire a ogni lavoro, per chiedere al Signore di benedire quanti leggeranno queste pagine e di comunicare loro, il più generosamente possibile, le gioie proprie del «pregare sempre».
Se questo libro dovesse avere anche un solo lettore, a questo lettore -sconosciuto, ma profondamente amato in Gesù Cristo- vogliamo dare un ultimo consiglio. Sono parole di san Giovanni della Croce, forse il più grande maestro della vita spirituale. «Poiché al momento della resa dei conti ti dovrai pentire di non avere impiegato bene questo tempo nel servizio di Dio, perché ora non lo ordini e non lo impieghi come vorresti aver fatto in punto di morte?».
Se il lettore è un’anima da tempo risoluta a essere tutta di Dio e gia intenta con tutto il cuore nell’amarlo, ma desiderosa d’amarlo ancora di più, ricorderemo quest’altro pensiero, tratto dagli stessi Avvisi e Sentenze spirituali e che guarda veramente lontano.
«Non ti mostrare alle creature, se nella tua anima desideri conservare chiara e semplice la faccia di Dio. Piuttosto vuota e distacca del tutto il tuo spirito da quelle e camminerai sotto la divina luce, poiché Dio non è simile ad esse».