Come santificare il lavoro secondo la volontà di Dio
Lavorare bene, lavorare per amore - VII
Autore: Javier López Díaz
Fra tutte le attività temporali che sono materia di santificazione, il lavoro professionale occupa un luogo peculiare negli insegnamenti di san Josemaría. Con la parola e per iscritto afferma costantemente che la santificazione del lavoro è «il cardine della vera spiritualità per tutti noi che – immersi nelle realtà terrene – siamo decisi a coltivare un intimo rapporto con Dio» .
«Nella spiritualità laicale, la peculiare fisionomia spirituale, ascetica, dell’Opera apporta un concetto, figli miei, che è importante mettere in evidenza. Vi ho detto un’infinità di volte, dal 1928, che per noi il lavoro è l’asse attorno al quale deve ruotare tutto il nostro impegno per ottenere la perfezione cristiana. […] E, allo stesso tempo, il lavoro professionale è l’asse attorno al quale ruota tutto il nostro impegno apostolico» .
Questo insegnamento è un carattere distintivo dello spirito che Dio fece vedere a san Josemaría il 2 ottobre 1928. Non è l’unico modo di orientare la santificazione delle realtà terrene, ma il modo specifico e proprio dello spirito dell’Opus Dei. «La vocazione soprannaturale alla santità e all’apostolato, secondo lo spirito dell’Opus Dei, conferma la vocazione umana al lavoro […].
Uno dei segni essenziali di questa vocazione è proprio quello di vivere nel mondo e svolgere lì un lavoro – consapevoli, ripeto, delle proprie imperfezioni personali – nel modo più perfetto possibile, tanto dal punto di vista umano che da quello soprannaturale» .
«Il lavoro ordinario non è un particolare di scarsa importanza, bensì il cardine della nostra santificazione, l’occasione continua del nostro incontro con Dio, per lodarlo e glorificarlo con l’opera della nostra intelligenza e delle nostre mani» . In questi testi e in molte altre occasioni, con l’espressione «il cardine della nostra santificazione», san Josemaría si riferisce alcune volte al lavoro e altre volte alla santificazione del lavoro. Al lavoro, perché è la materia stessa con la quale si costruisce il fulcro; e alla santificazione del lavoro, perché non basta lavorare: se non si santifica, neppure può servire da fulcro per la ricerca della santità.
Il lavoro che san Josemaría indica come fulcro della vita spirituale non è un’attività qualsiasi. Non si tratta delle attività che si svolgono per hobby, per coltivare una passione, o per altri motivi, a volte per necessità e con sforzo. Si tratta esattamente del lavoro professionale: la mansione pubblicamente riconosciuta – munus publicum – che ognuno svolge nella società civile, come attività che la serve e la costruisce, e che è oggetto di alcuni doveri e responsabilità, oltre che di alcuni diritti, tra i quali si trova generalmente quello della giusta retribuzione. Sono professionali, per esempio, le attività di architetto, di carpentiere, di maestro, o i lavori di casa.
In qualche modo si può chiamare lavoro professionale anche il ministero sacerdotale – come a volte fa san Josemaría – in quanto è un’attività pubblica al servizio di tutte le persone e, più precisamente, al servizio della santificazione dei comuni fedeli nel disimpegno delle diverse professioni, contribuendo così all’edificazione cristiana della società, missione che richiede la cooperazione del sacerdozio comune e di quello ministeriale. Pur essendo per se stesso un ministero sacro, un’attività che non è profana ma santa, tuttavia non rende automaticamente santo chi la svolge. Il sacerdote deve lottare per santificarsi nell’esercizio del suo ministero e, di conseguenza, può vivere lo spirito di santificazione del lavoro che insegna il Fondatore dell’Opus Dei, svolgendolo con «anima veramente sacerdotale e mentalità pienamente laicale» .
È bene ricordare che qualche volta san Josemaría chiama lavoro professionale anche la malattia, la vecchiaia e altre situazioni della vita che assorbono le energie che, se si potesse, si dedicherebbero alla professione: è il caso, per esempio, di chi deve occuparsi di ottenere un posto di lavoro. Nel chiamarlo lavoro professionale, indubbiamente in senso analogo, fa vedere che chi si trova in queste situazioni deve comportarsi come davanti a un lavoro professionale che si vuole santificare. Come l’amore a Dio induce a compiere con perfezione i doveri professionali, così anche un malato può occuparsi, per ciò che da lui dipenda, per amore a Dio e con senso apostolico, delle esigenze di una terapia, di alcuni esercizi o di una dieta, ed essere un buon malato che
sa obbedire fino a identificarsi con Cristo, «obbediente fino alla morte e morte di Croce» .
In questo senso, «la malattia e la vecchiaia, quando arrivano, si trasformano in un lavoro professionale. E così non s’interrompe la ricerca della santità, secondo lo spirito dell’Opera, che, come la porta si affida al cardine, si basa sul lavoro professionale» . Altre volte, riferendosi a coloro che sono in cerca di lavoro, suole dire che il loro lavoro “professionale” è, in quel momento, proprio quello di “cercare lavoro”, e che debbono svolgere il meglio possibile, per amore a Dio, tutte le
pratiche che il caso richiede.
Ad ogni modo, com’è logico, quando si parla di lavoro professionale si pensa di solito alle persone che esercitano una professione civile, e non a queste altre situazioni alle quali l’espressione si applica per analogia. In questo capitolo parleremo del lavoro professionale, nel senso proprio e principale, che nell’insegnamento di san Josemaría costituisce il fulcro o cardine della santificazione.
Le attività familiari, professionali e sociali formano una trama che è la materia di santificazione e il terreno di apostolato di un comune fedele. È una trama che si può santificare in diversi modi. Ciò che insegna san Josemaría ha come una delle sue caratteristiche principali che il fulcro di questa santificazione è il lavoro professionale, fattore fondamentale con il quale la società civile qualifica i cittadini .
Questa caratteristica si fonda sulle relazioni tra la santificazione personale in mezzo al mondo e l’adempimento dei doveri professionali, familiari e sociali, come vedremo in seguito.
Per mondo s’intende qui la società civile che i fedeli laici, con la cooperazione del sacerdozio ministeriale, debbono delineare e impregnare di spirito cristiano. La santificazione in mezzo al mondo richiede «la santificazione del mondo ab intra, dall’interno stesso della società civile» , che consiste nell’«illuminare e ordinare tutte le realtà temporali, alle quali essi sono strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e crescano e siano di lode al Creatore e al Redentore» . Per soddisfare questa missione è essenziale santificare la famiglia, che è «principio e fondamento della società umana» e sua «prima e vitale cellula» ; però la società non è semplicemente un insieme di famiglie, come neppure un corpo è solo un’aggregazione di cellule.
C’è una organizzazione e una struttura, una vita propria del corpo sociale. Per illuminare la società con lo spirito cristiano è necessario santificare, oltre la famiglia, le relazioni sociali, creando un clima di amicizia e di servizio, cooperando attraverso i canali di cooperazione sociale e politica per stabilire alcune strutture, come le leggi civili, in modo conforme alla dignità della persona umana e, dunque, alla legge morale naturale, e dando un tono cristiano ai costumi, alla moda e allo svago. Tuttavia, per far questo non bastano le relazioni sociali. Sono le diverse attività professionali a configurare radicalmente la società, la sua organizzazione e la sua vita, influenzando anche, in modo profondo, le stesse relazioni familiari e sociali.
La santificazione del lavoro professionale non solo è necessaria, insieme con la santificazione della vita familiare e sociale, per modellare la società secondo la Volontà di Dio, ma serve da fulcro nella trama formata da queste attività. Questo non significa che i doveri professionali siano più importanti delle attività familiari e sociali, ma costituiscono un sostegno per formare la famiglia e la convivenza sociale. Come non servirebbe a niente una cerniera senza porta, allo stesso modo non avrebbe senso, per quanto brillante, un lavoro professionale isolato dall’insieme, divenuto fine a se stesso: un lavoro che non fosse il fulcro della santificazione dell’intera
vita ordinaria, professionale, familiare e sociale. Ma nello stesso tempo, che cosa sarebbe una porta che non avesse il suo fulcro? Secondo san Josemaría, il lavoro professionale e l’adempimento dei doveri familiari e sociali non debbono entrare in conflitto, ma al contrario: sono gli elementi inseparabili dell’unità di vita imprescindibile per santificarsi in mezzo al mondo santificandolo dal di dentro.
Oltre alla funzione peculiare del lavoro per santificare la società dal di dentro, occorre considerare che la santificazione del lavoro può essere presa come fulcro della vita spirituale perché ordina la persona a Dio in alcuni aspetti profondi che precedono la vita familiare e sociale; aspetti che la medesima vita familiare e sociale debbono servire. «Infatti – come dichiara il Concilio Vaticano II –, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura ha sommamente bisogno della vita sociale» . Quando si 187 parla di istituzioni sociali, si includono, come indica poco dopo lo stesso documento, «la famiglia e la comunità politica che sono più immediatamente rispondenti all’intima natura dell’uomo» . Pertanto, la famiglia e la società si ordinano interamente al bene della persona, che ha bisogno della vita sociale. Da parte sua, la persona deve cercare il bene della famiglia e della società, ma non si ordina interamente a questo bene, con tutto il suo essere e il suo operare. In senso stretto, si ordina interamente soltanto all’unione con Dio, alla santità .
Il lavoro può essere il fulcro dell’intera vita spirituale perché, oltre a servire al bene della famiglia e alla configurazione cristiana della società, è il campo adatto al perfezionamento dell’uomo e al suo ordinamento a Dio in quegli aspetti che non sono inclusi nella vita familiare e sociale, ma che sono specifici dell’ambito professionale, come la giustizia nei rapporti di lavoro, la responsabilità nello stesso lavoro, la laboriosità e molte manifestazioni di fortezza, costanza,
lealtà, pazienza… – per fare solo alcuni esempi –, che il lavoro professionale richiede.
In definitiva, l’affermazione che la santificazione del lavoro è il “fulcro” della santificazione in mezzo al mondo è solidamente fondata nella concezione cristiana della persona e della società, tanto a motivo della missione di santificare la società dal di dentro, giacché essa si configura soprattutto per le diverse attività professionali, quanto per la santificazione personale nel compimento di questa missione, giacché – vale la pena insistere – la santificazione del lavoro serve all’ordinamento totale della persona a Dio: non solo contribuisce a ordinare cristianamente la vita familiare e sociale, ma serve alla completa identificazione con Cristo attraverso il perfezionamento di altre dimensioni della persona che si trovano inglobate nell’ambito familiare e in quello sociale.
A tutto questo insieme di elementi si riferisce san Josemaría quando invita a considerare che «il lavoro è il veicolo attraverso il quale l’uomo si inserisce nella società, il mezzo mediante il quale si unisce all’insieme delle relazioni umane, lo strumento che gli assegna un posto, un luogo nella convivenza degli uomini. Il lavoro professionale e l’esistenza nel mondo sono due facce della stessa moneta, sono due realtà che si esigono a vicenda, senza che sia possibile concepire l’una al di fuori dell’altra» .
Se il lavoro è il fulcro della vita spirituale, allora si comprende perfettamente l’affermazione di san Josemaría: «la vocazione professionale non è semplicemente una parte, ma è una parte principale della nostra vocazione soprannaturale» .
La vocazione professionale si scopre dalle qualità e dalle attitudini che ciascuno ha ricevuto da Dio, dai doveri che deve compiere nel posto e nelle circostanze in cui si trova, dalle necessità della sua famiglia e della società, dalle possibilità reali di esercitare questa o quella professione. Tutto questo, e non solamente le preferenze o le inclinazioni – e ancor meno i capricci della fantasia – è ciò che configura la vocazione professionale di ciascuno.
Si chiama vocazione perché questo insieme di fattori rappresenta una chiamata di Dio a scegliere l’attività professionale più conveniente come materia di santificazione e apostolato.
La vocazione professionale è parte della nostra vocazione divina «in quanto è un mezzo per santificarci e per santificare gli altri» ; e pertanto, «se in qualche momento la vocazione professionale presenta un ostacolo, […] se è a tal punto assorbente da rendere difficile o impedire la vita interiore o il fedele compimento dei doveri di stato […], non fa parte della vocazione divina, perché non è vocazione professionale» .
Dato che la vocazione professionale è determinata in parte dalla situazione di ciascuno, non è una chiamata a esercitare un lavoro professionale fisso e predeterminato, indipendente dalle circostanze. «La vocazione professionale è una cosa che si va concretando nel corso della vita: non poche volte colui che ha iniziato certi studi, scopre poi che è meglio dotato per altre attività, e si dedica ad esse; o finisce con lo specializzarsi in un campo diverso da quello previsto in un
primo tempo; o trova, ormai nel pieno esercizio della professione che aveva scelto, un nuovo lavoro che gli permette di migliorare la posizione sociale dei suoi o di contribuire più efficacemente al bene della collettività; oppure si vede obbligato, per motivi di salute, a cambiare ambiente e occupazione» .
La vocazione professionale è una chiamata a praticare una professione nella società. Non una qualsiasi, ma quella – fra le tante che appaiono possibili – con la quale meglio si può raggiungere il fine soprannaturale al quale si ordina il lavoro come materia e mezzo di santificazione e di apostolato e con la quale tutti «si guadagnano la vita, sostengono la famiglia, contribuiscono al bene comune, realizzano la loro personalità» . Non si deve dare la preferenza al lavoro più semplice, come se fosse lo stesso scegliere l’uno o l’altro, né si deve scegliere guidati esclusivamente da ciò che piace di più o dalla rilevanza umana di un lavoro, o dal guadagno economico. Il principale criterio di scelta dev’essere l’amore a Dio e alle anime: il servizio che si può prestare alla diffusione del Regno di Cristo e al progresso umano, facendo fruttare i talenti che abbiamo ricevuto.
Quando il cardine è perfettamente montato e ingrassato, la porta ruota con sicurezza e dolcezza. Quando il lavoro è fermamente radicato nel senso della filiazione divina, quando è lavoro di un figlio di Dio – opera di Dio, come il lavoro di Cristo –, allora tutto il tessuto della vita ordinaria è in grado di muoversi armonicamente, e diventa possibile santificare la società dal di dentro. Se venisse meno il cardine, in che modo la società si potrebbe impregnare di spirito cristiano? Se il cardine fosse ossidato, o distorto, o fuori asse, a che servirebbe, per eccellente che fosse il metallo di cui è fatto?
Se entrasse in conflitto con le attività familiari e sociali, se le disturbasse, le complicasse e addirittura le paralizzasse, ci dovremmo chiedere a che serve un cardine senza porta. E soprattutto, e alla base di tutto, se il lavoro fosse sradicato dal suo fondamento che è la filiazione divina, se non fosse un lavoro santificato, che senso avrebbe per un cristiano?
«Chiediamo luce a Gesù Cristo nostro Signore, e preghiamolo di aiutarci a scoprire, in ogni momento, il significato divino che trasforma la nostra vocazione professionale nel cardine sul quale poggia e ruota la nostra chiamata alla santità. Nel Vangelo potete leggere che Gesù era conosciuto come faber, filius Mariae (Mc 6, 3), l’artigiano, il figlio di Maria: ebbene, anche noi, con santo orgoglio, dobbiamo dimostrare coi fatti che siamo lavoratori, uomini e donne che lavorano!» .