«Viene la notte, quando nessuno può più operare»
Omelia e meditazione in preparazione alla commemorazione dei defunti
Autore: Santo Curato d'Ars
Questa è, fratelli miei, la crudele e terribile situazione nella quale si trovano ora i nostri padri e le nostre madri, i nostri parenti e i nostri amici, che sono usciti da questo mondo senza avere soddisfatto completamente alla Giustizia di Dio.
Egli li ha condannati a trascorrere un certo numero di anni in quelle prigioni tenebrose del Purgatorio, dove la sua Giustizia si appesantisce rigorosamente su di loro, fino a che non abbiano pagato interamente i loro debiti.
«Oh! com’è terribile, ci dice il santo re profeta, cadere nelle mani del Dio vivente!» (in realtà non è Davide a dirlo ma è scritto nella Lettera agli Ebrei 10,31; n.d.a).
Ma perchè, fratelli miei, io sono salito sulla cattedra oggi, che cosa vi voglio dire?
Ah! vengo da parte di Dio stesso; vengo da parte dei vostri parenti, per risvegliare in voi quell’amore di riconoscenza che dovete loro; vengo a mettervi davanti agli occhi tutta la bontà e l’amore che essi hanno avuto per voi mentre erano sulla terra; vengo a dirvi che essi bruciano tra le fiamme, che piangono, e che domandano con forti grida il soccorso delle vostre preghiere e delle vostre buone opere.
Mi senbra di sentirli gridare, dal fondo del braciere che li divora: «Ah! di’ ai nostri padri, alle nostre madri, di’ ai nostri figli, a tutti i nostri parenti, come sono crudeli i mali che soffriamo. Ci gettiamo ai loro piedi per implorare l’aiuto delle loro preghiere.
Ah! di’ loro che da quando ci siamo separati da loro, ci troviamo qui a bruciare nelle fiamme!
Oh! chi potrebbe essere insensibile a tanti mali che noi sopportiamo?».
Guardate, fratelli miei, ascoltate questa tenera madre e questo buon padre, e tutti questi parenti che vi tendono le mani?
«Amici miei, gridano, strappateci a queste torture; voi lo potete».
Vediamo dunque, fratelli miei:
1°- la grandezza dei tormenti che sopportano le anime del Purgatorio;
2°- i mezzi che noi abbiamo per aiutarli; questi sono: le nostre preghiere, le nostre buone opere, e soprattutto, il santo sacrificio della Messa.
Non voglio soffermarmi a dimostrarvi l’esistenza del Purgatorio; sarebbe perdere il mio tempo.
Nessuno di voi deve avere il minimo dubbio su questo argomento.
La Chiesa, alla quale Gesù Cristo ha promesso l’assistenza dello Spirito Santo, e che, di conseguenza, non può sbagliarsi nè ingannarci, ce lo insegna in una maniera abbastanza chiara, e abbastanza evidente.
E’ certo, e molto certo, che c’è un luogo in cui le anime dei giusti finiscono di espiare i loro peccati, prima di essere ammessi alla gloria del Paradiso, che gli è assicurato.
Sì, fratelli miei, è un articolo di fede: se non abbiamo fatto una penitenza proporzionata alla grandezza e all’enormità dei nostri peccatri, sebbene perdonati nel santo tribunale della Penitenza, noi saremo condannati ad espiarli nelle fiamme del Purgatorio.
Se Dio, che è la stessa Giustizia, non lascia un buon pensiero, un buon desiderio, e la minima buona azione senza ricompensa, allo stesso modo Egli non lascerà impunita una colpa, per quanto leggera possa essere, e noi andremo a soffrire in Purgatorio, per tutto il tempo che la Giustizia di Dio lo esigerà, per completare la nostra purificazione.
Nella Sacra Scrittura, un gran numero di testi ci mostra che, benchè i nostri peccati siano stati perdonati, il buon Dio ci impone ancora l’obbligo di soffrire in questo mondo, con delle pene temporali, oppure nell’altro, con le fiamme del Purgatorio.
Guardate che cosa accadde ad Adamo: essendosi pentito dopo il suo peccato, Dio gli assicurò che lo aveva perdonato, e tuttuavia lo condannò a fare penitenza per più di novecento anni, penitenza che fu superiore a tuttu ciò che si possa immaginare.
Guardate ancora: Davide ordina, contro il gradimento di Dio, il censimento dei suoi sudditi; ma, spinto dal rimorso di coscienza, riconosce il suo peccato, si getta con la faccia a terra e prega il Signore di perdonarlo.
Dio, toccato dal suo pentimento, lo perdona, infatti; ma, malgrado ciò, gli invia Gad per dirgli: «Principe, scegli uno dei tre flagelli che il Signore ti prepara in punizione della tua colpa: la peste, la guerra e la carestia».
Davide rispose: «E’ meglio cadere nelle mani del Signore, del quale ho sperimentato tante volte la misericordia, che in quelle degli uomini».
Egli scelse dunque la peste, che durò tre giorni e che gli tolse settantamila sudditi; e, se il Signore non avesse fermato la mano dell’angelo, già stesa contro la città, tutta Gerusalemme sarebbe rimasta spopolata!
Davide, vedendo tanti mali a causa del suo peccato, chiese al buon Dio la grazia di punire lui soltanto, e di risparmiare il suo popolo che era innocente.
Ahimè! fratelli miei, quale sarà dunque il numero degli anni che dovremo soffrire in Purgatorio, noi che abbiamo tanti peccati; noi che, col pretesto che li abbiamo confessati, non facciamo affatto penitenza e non versiamo alcuna lacrima?
Quanti anni di sofferenza ci attendono nell’altra vita! (l’obiezione frequente che nell’altra vita non esista il tempo, è frutto di grande ignoranza: solo per Dio, eterno e immutabile, il tempo non esiste, ma per gli esseri creati, uomini e angeli, soggetti al mutamento, il tempo continua a esistere, come successione di istanti e come sequenza di stati d’animo, che la coscienza continuerà sempre a percepire, per tutta l’eternità; n.d.a.).
Ma come potrei farvi il quadro straziante dei mali che sopportano questepovere anime, poichè i santi padri ci dicono che i mali che essi sopportano in quei luoghi, sembrano uguagliare le sofferenze che Gesù Cristo ha sopportato durante la sua dolorosa passione?
Tuttavia, è certo che se il minimo supplizio di Gesù Cristo fosse stato condiviso tra tutti gli uomini, essi sarebbero tutti morti per la violenza delle sofferenze.
Il fuoco del Purgatorio è lo stesso di quello dell’inferno; la differenza che c’è, è che non è eterno.
Oh! bisognerebbe che il buon Dio, nella sua misericordia, permettesse che una di queste povere anime che bruciano nelle fiamme, apparisse qui, al mio posto, tutta avviluppata dalle fiamme che la divorano, e che lei stessa vi facesse il resoconto dei mali che sopporta.
Occorrerebbe, fratelli miei, che ella facesse risuonare questa chiesa delle sue grida e dei suoi singhiozzi, e forse così intenerirebbe i vostri cuori.
«Oh! quanto soffriamo, esse ci gridano, o fratelli nostri, liberateci da questi tormenti; voi lo potete!
Ah! se sentiste il dolore di essere separati dal proprio Dio…».
Crudele separazione!
Bruciare in un fuoco acceso dalla Giustizia di un Dio!… soffrire dolori incomprensibili per l’uomo mortale!… essere divorati dal rimpianto, sapendo che avremmo potuto benissimo evitarlo!
«Oh! figli miei, gridano questi padri e queste madri, potete forse abbandonarci, noi che vi abbiamo tanto amati?
Potete forse coricarvi nella mollezza e lasciarci distesi su un braciere di fuoco?
Avreste il coraggio di dedicarvi ai piaceri e alla gioia, mentre noi siamo qui a soffrire e a piangere, notte e giorno?
Voi possedete i nostri beni e le nostre case, voi godete i frutti delle nostre fatiche, e ci abbandonate in questo luogo di tormenti, dove soffriamo di mali così terribili, da tanti anni!… E nessuna elemosina, nessuna Messa, che ci aiuti a liberarci!
Voi potete aiutarci, aprire la nostra prigione, e invece ci abbandonate?
Oh! come sono crudeli le nostre sofferenze!…».
Sì, fratelli miei, si valutano ben altrimenti, nelle fiamme, tutte quelle colpe leggere, se pure si possono chiamare leggere, che ci faranno sopportare dolori così rigorosi.
«O mio Dio! grida il re profeta, disgraziato quell’uomo, anche il più giusto, se Tu lo giudichi senza misericordia».
«Se Tu hai trovato delle macchie nel sole, e la malizia negli angeli, che ne sarà dunque dell’uomo peccatore?».
E per noi, che abbiamo commesso tanti peccati mortali, e che non abbiamo ancora fatto quasi nulla per soddisfare alla Giustizia di Dio, quanti anni di Purgatorio?…
«Mio Dio! diceva santa Teresa, quale anima sarà abbastanza pura da entrare in cielo, senza passare tra le fiamme della vendetta?».
Nella sua ultima malattia ella gridava all’improvviso: «»O Giustizia e potenza del mo Dio, quanto siete terribili!
Durante la sua agonia, Dio le fece vedere la sua Santità, così come gli angeli e i santi la vedono in cielo, e questo le causò un tale terrore, che le sue consorelle, vedendola tutta tremante e in una straordinaria agitazione, gridarono in lacrime: «Ah! madre nostra, che cosa ti è successo? temi ancora la morte, dopo tante penitenze e lacrime così abbondanti e così amare?».
«No, figlie mie, rispose loro santa Teresa, io non temo la morte, al contrario, io la desidero, per potermi unire per sempre al mio Dio».
«Sono forse i tuoi peccati che ti spaventano, dopo tante macerazioni?».
«Sì, figlie mie, rispose loro, temo i miei peccati, ma temo anche qualche altra cosa».
«E’ forse il Giudizio?».
«Sì, io fremo alla vista del conto terribile che si dovrà rendere al buon Dio, che, in quel momemnto sarà senza misericordia; ma c’è ancora un’altra cosa che, al solo pensiero, mi fa morire di terrore».
Quelle povere sorelle rimasero desolate.
«Ahimè! è forse l’inferno?».
«No, rispose quella, l’inferno, grazie a Dio non è per me; oh! sorelle mie, ciò che mi spaventa è la Santità di Dio! Mio Dio, abbi pietà di me! Bisogna che la mia vita sia confrontata con quella di Gesù Cristo stesso! Povera me, se avrò la minima sporcizia, la minima macchia! Povera me, se avessi anche solo un’ombra di peccato!».
«Ahimè! gridarono quelle povere religiose, che ne sarà dunque di noi?…».
E che ne sarà dunque di noi, fratelli miei, di noi che, forse, in tutte le nostre penitenze e nelle nostre buone opere, non abbiamo ancora soddisfatto a un solo peccato, anche se già perdonato nel tribunale della Penitenza?
Ah! quanti anni e quanti secoli di tormenti per punizione!…
Come pagheremo care tutte quelle colpe che consideriamo un nonnulla, come le piccole menzogne che diciamo per divertirci, le piccole maldicenze, il disprezzo delle grazie che il buon Dio ci fa ad ogni istante, quei piccoli mormorii, nelle pene che ci manda!
No, fratelli miei, non avremmo mai la forza di commettere il minimo peccato, se potessimo comprendere appieno quanto rechi oltraggio al buon Dio, e come meriti di essere punito rigorosamente, anche in questo mondo (può anche sembrare un tantino esagerato tutto questo discorso del curato, ma è un utile antidoto alla perdita quasi totale del senso del peccato, che domina ai nostri gironi, anche con la complicità di chi promette, bontà sua, un perdono troppo facile; e se le cose stessero, invece, proprio come dice il curato, supportato pienamente dalla Sacra Scrittura?; n.d.a).
Leggiamo nella Sacra Scrittura, che il Signore disse un giorno a uno dei suoi profeti: «Vai a trovare, da parte mia, il re Geroboamo, per rimproverargli l’orrore della sua idolatria; ma ti proibisco di prendere cibo presso di lui, nè durante il cammino».
Il profeta obbedì all’istante, esponendosi anche al rischio evidente di perire.
Si presentò davanti al re, e gli rimproverò il suo crimine, come il Signore gli aveva detto.
Il re, tutto infuriato perchè il profeta aveva avuto l’ardire di riprenderlo, stende la mano e ordina di prenderlo.
La mano del re si dissecca nello stesso istante.
Dio poi, toccato dal suo pentimento, gli perdona il suo peccato e gli restituisce la mano.
Questo beneficio mutò il cuore del re, che invitò il profeta a mangiare con lui.
«No, gli disse il profeta, il Signore me lo ha proibito; anche se mi dessi la metà del tuo regno, io non lo farò».
Mentre ritornava incontrò un falso profeta, che si diceva inviato dal Signore, che lo invita a mangiare con lui.
Egli si lasciò ingannare da questo discorso, e prese un po’ di cibo. Ma, all’uscita dalla casa del falso profeta, egli incontrò un leone di enorme grandezza, che si gettò su di lui e lo uccise.
Adesso, se voi chiedete allo Spirito Santo quale sia stata la causa di questa morte, Egli vi risponderà che la disobbedienza del profeta gli ha meritato questo castigo.
Guardate ancora Mosè, che era così gradito al buon Dio. Per aver dubitato un istante della sua potenza, colpendo due volte la pietra per farne uscire acqua, il Signore gli disse: «Ti avevo promesso di farti entrare nella terra promessa, dove scorrono ruscelli di miele e latte; ma, in punizione del fatto che tu hai colpito due volte la pietra, come se un solo colpo non bastasse, arriverai ai piedi di questa terra di benedizioni, ma morirai prima di entrarvi» (Numeri 10,11-12).
Se Dio, fratelli miei, punisce così rigorosamente dei peccati così leggeri, che accadrà dunque per una distrazione nella preghiera, per aver girato la testa in chiesa, ecc.?
Oh! come siamo ciechi!…
Come ci stiamo preparando anni e secoli di Purgatorio, per tutte quelle colpe che consideriamo un nulla…
Come cambieremo idea, quando saremo nelle fiamme, dove la giustizia di Dio si fa sentire tanto rigorosamente!…
Dio è giusto, fratelli miei, in tutto quello che fa; quando Egli ci ricompensa per la minima buona azione, lo fa oltre tutto ciò che possiamo desiderare; un buon pensiero, un buon desiderio, ossia desiderare qualche buona opera, anche se non possiamo compierla, Egli non li lascia senza ricompensa; ma, allo stesso modo, allorchè si tratta di punirci, lo fa con rigore, e, anche se avremo una piccola colpa, saremo gettati comunque in Purgatorio (discorso oggi fuori moda, a causa di impostori incoscienti, anche nei piani alti, che inducono a credere di potersi salvare senza merito, che è un classico peccato, imperdonabile, contro lo Spirito Santo; n.d.a.).
Ciò che ho detto è vero, poichè vediamo nella vita dei santi, che molti di loro non sono saliti in cielo, prima di essere passati per le fiamme del Purgatorio.
San Pier Damiani racconta che sua sorella dimorò per molti anni in Purgatorio, per avere ascoltato una cattiva canzone con un certo piacere (si pensi anche a Fatima, all’amica di Lucia, Amelia, una giovane di appena 19 anni, riguardo alla quale la Madonna disse che sarebbe rimasta in Purgatorio fino alla fine del mondo, secondo il racconto autentico delle apparizioni; n.d.a).
Si racconta che due religiosi si promisero l’un l’altro che il primo che fosse morto, sarebbe venuto a riferire al sopravvissuto lo stato in cui si trovava.
In effetti, Dio permise a colui che morì per primo, di apparire al suo amico.
Gli disse che era rimasto quindici giorni in Purgatorio, per aver amato troppo, il fare la sua volontà.
E poichè quest’amico si felicitava con lui per esservi rimasto così poco: «Avrei preferito meglio, rispose il defunto, essere scorticato vivo per diecimila anni di seguito, perchè questa sofferenza non sarebbe stata paragonabile a quello che ho sofferto tra le fiamme!».
Un sacerdote disse a uno dei suoi amici, che il buon Dio lo aveva condannato a restare in Purgatorio parecchi mesi, per aver ritardato a eseguire un testamento, che avrebbe potuto fare del bene.
Ahimè! fratelli miei, quanti, tra quelli che mi ascoltano avrebbero da rimproverarsi la stessa colpa? Quanti ce n’è che, forse, da otto o dieci anni, hanno ricevuto dai loro parenti o dai loro amici, l’incarico di far dire delle messe, di fare delle elemosine, e che hanno lasciato perdere?
Quanti ce n’è che, per paura di trovare qualche buona opera da compiere, non vogliono prendersi la briga di leggere il testamento che i loro parenti o i loro amici hanno fatto in loro favore?
Ahimè! queste povere anime sono trattenute nelle fiamme, perchè non si vuole compiere le loro ultime volontà!
Poveri padri e madri, voi vi siete sacrificati per rendere felici i vostri figli o i vostri eredi; voi avete forse trascurato la vostra salute per accrescere la loro fotuna; vi siete fidati delle buone opere che avreste lasciato nel vostro testamento!
Poveri eredi! come siete stati ciechi a dimenticarvi voi stessi di queste cose!…
Voi forse mi direte: «Ma i nostri genitori sono vissuti bene, erano molto saggi».
Ah! ci vuole così poco per andare a finire in quel fuoco!
Sentite cosa dice a questo proposito Alberto Magno, lui, le cui virtù brillarono in una maniera così straordinaria; egli rivelò un giorno a uno dei suoi amici, che Dio lo aveva condotto in Purgatorio, per aver nutrito un piccolo pensiero di compiacimento, per la sua scienza.
Quello che è ancora più sorprendente, è il fatto che ci siano stati dei santi, perfino canonizzati, che sono passati per il Purgatorio.
San Severino, arcivescovo di Colonia, apparve a uno dei suoi amici molto tempo dopo la sua morte, e gli disse che era stato in Purgatorio, per avere detto la sera, alcune preghiere che doveva dire al mattino.
Oh! quanti anni di Purgatorio, per quei cristiani che non hanno alcuna difficoltà a rimandare le loro preghiere in altro tempo, con la scusa di avere delle faccende urgenti da fare!
Se desiderassimo sinceramente la felicità di possedere il buon Dio, eviteremmo sia le piccole colpe che le grandi, poichè la separazione da Dio è un tormento così terribile per quelle povere anime!
I santi padri ci dicono che il Purgatorio è un luogo vicino all’inferno.
Ciò è molto facile da comprendere, poichè il peccato veniale è vicino al peccato mortale; ma essi credono anche che non tutte le anime sono trattenute in quel luogo, per soddisfare alla giustizia di Dio, e che parecchie soffrono nel luogo stesso dove hanno compiuto il male.
Infatti san Gregorio, papa, ce ne dà una prova molto forte.
Egli racconta che un santo sacerdote, infermo, andava ogni giorno, per ordine del suo medico, a fare dei bagni in un luogo appartato; egli trovava ogni giorno un personaggio sconosciuto, che lo aiutava a togliersi le calze, e dopo che aveva fatto il bagno, gli offriva un panno per asciugarsi.
Il santo sacerdote, toccato dalla riconoscenza, tornando un giorno dall’aver celebrato la santa Messa, offrì al suo sconosciuto un pezzo di pane benedetto (non si tratta, evidentemente, dell’Eucaristia; n.d.a).
«Padre mio, gli rispose quell’uomo, tu mi presenti una cosa che io non posso prendere, sebbene tu mi veda con un corpo. Io sono il padrone di questo luogo, che faccio qui il mio Purgatorio».
E disparve dicendo: «Ministro del Signore, abbi pietà di me! Oh! quanto soffro! tu puoi liberarmi; per favore, offri per me il santo sacrificio della Messa, offri le tue preghiere e le tue infermità, e il Signore mi libererà» (a parte la credenza medioevale, un po’ “fantasmagorica”, l’episodio testimonia la vicinanza quasi fisica dei defunti ai vivi, a causa della meravigliosa realtà della comunione dei santi, dalla quale solo i dannati sono esclusi; n.d.a.).
Se fossimo ben convinti di ciò, potremmo mai dimenticare tanto facilmente i nostri parenti, che sono, forse, continuamente intorno a noi?
Se il buon Dio permettesse loro di mostrarsi, li vedremmo gettarsi ai nostri piedi.
«Ah! figli miei, direbbero queste povere anime, abbiate pietà di noi! Per favore, non ci abbandonate!».
Sì, fratelli miei, la sera, coricandoci, vedremmo i nostri poveri padri e madri, reclamare il soccorso delle nostre preghiere; li vedremmo nelle nostre case, nei nostri campi.
Queste povere anime ci seguono dappertutto: ma, ahimè! sono come dei poveri mendicanti dietro a dei cattivi ricchi.
Hanno un bel da fare a presentare i loro bisogni e i loro tormenti: questi cattivi ricchi non ne sono disgraziatamente toccati neanche un po’.
«Amici miei, ci gridano, un Pater e un’Ave! una santa Messa!»
E che? saremo così ingrati da rifiutare a un padre, a una madre, una così piccola parte dei beni che essi hanno acquistato o conservato con tante pene?
Ditemi, se vostro padre, vostra madre, o uno dei vostri figli fossero in mezzo al fuoco materiale, e vi tendessero le mani per supplicarvi di liberarli, avreste il coraggio di essere insensibili e di lasciarli bruciare sotto i vostri occhi?
Ora, la fede ci insegna che queste povere anime soffrono quello che mai un uomo mortale potrà comprendere…
Se vogliamo, fratelli miei, assicurarci il cielo, dobbiamo avere una grande devozione nel pregare per le anime del Purgatorio.
Si può anche dire che questa devozione è un segno quasi certo di predestinazione, e un potente strumento di salvezza.
La Sacra Scrittura ci fornisce un esempio ammirevole nella storia di Gionata.
Saul, suo padre, aveva proibito a tutti i soldati, sotto pena di morte, di prendere cibo, prima di avere sconfitto i Filistei.
Gionata, che non aveva sentito questa proibizione, essendo spossato dalla stanchezza, intinse la punta della sua lancia in un favo di miele e ne gustò.
Saul consultò il Signore per sapere se qualcuno avesse violato il divieto.
Avendo appreso che era stato suo figlio a violarlo, il padre ordinò che lo prendessero, con questa parole: «Voglio che il Signore mi punisca, se tu non morirai oggi».
Gionata, vedendosi condannato a morte da suo padre, per aver violato un divieto di cui non era al corrente, si voltò verso il popolo e, lasciando colare le sue lacrime, sembrava ricordargli tutti i servizi che gli aveva resi, e tutta la bontà che aveva avuto verso di lui.
Il popolo si gettò subito ai piedi di Saul: «Che cosa? tu faresti morire Gionata, lui che ha appena salvato Israele? lui che ci ha liberati dalla mano dei nostri nemici? No, no, non gli cadrà neanche un capello della testa; abbiamo troppo a cuore la sua conservazione; ci ha fatto troppo bene, per poterlo dimenticare così presto».
Questa è l’immagine espressiva di ciò che accade nell’ora della morte.
Se avremo avuto la fortuna di pregare per le anime del Purgatorio, allorchè compariremo davanti al tribunale di Gesù Cristo, per rendere conto di tutte le nostre azioni, queste anime si getteranno ai piedi del Salvatore, dicendogli: «Signore, ti chiediamo grazia per quest’anima! grazia e misericordia per lei! abbi pietà, Dio nostro di quest’anima così caritatevole, che ci ha strappato dalle fiamme, e che ha soddisfatto alla tua giustizia!
Mio Dio! Mio Dio! dimentica, te ne preghiamo, le sue colpe, come lei ti ha fatto dimenticare le nostre!».
Oh! come sono potenti questi motivi, per ispirarvi una tenera compassione verso queste povere anime sofferenti!…
Ahimè! esse purtroppo vengono subito dimenticate. Si ha ben ragione di dire che il ricordo dei morti se ne va col suono delle campane!
Soffrite, povere anime, piangete in quel fuoco acceso dalla giustizia di Dio, ma sarà invano! non vi si ascolta, non vi si soccorre!…
Eco dunque, fratelli miei, la ricompensa di tanta bontà e della carità che esse hanno avuto per noi durante la loro vita.
No, non dobbiamo appartenere al numero di questi ingrati, poichè, lavorando alla loro liberazione, noi lavorermo alla nostra salvezza.
«Ma, mi direte voi, come possiamo aiutarle e condurle in cielo?».
Se desiderate, fratelli miei, prestare loro soccorso, vi mostrerò che è facile, e potrete farlo:
1°- per mezzo della preghiera e delle elemosine;
2°- per mezzo delle indulgenze;
3°- soprattutto per mezzo del santo sacrificio della Messa.
Ho detto, anzitutto, per mezzo della preghiera. Quando preghiamo per le anime del Purgatorio, noi cediamo loro tutto ciò che il buon Dio accorderebbe a noi, se pregassimo per noi stessi; ma, ahimè! le nostre preghiere sono poca cosa, perchè è sempre un peccatore che prega per un colpevole!
Mio Dio, come deve essere grande la tua carità!…
Noi possiamo, ogni mattina, offrire tutte le nostre azioni della giornata, tutte le nostre preghiere, per il sollievo di queste povere anime sofferenti.
Tutto questo è ben poca cosa, è vero; ma ecco: noi facciamo loro come a una persona che abbia le mani legate e sia carica di un pesante fardello, alla quale noi veniamo di tanto in tanto a togliere un po’ di questo carico; poco a poco ella si troverebbe libera di tutto.
La stessa cosa accade per le povere anime del Purgatorio, quando facciamo qualcosa per loro; una volta, abbrevieremo le loro pene di un’ora, un’altra volta di un quarto d’ora, di modo che, ogni giorno le avviciniamo al cielo.
In secondo luogo diciamo che le possiamo liberare per mezzo delle indulgenze, che le conducono a grandi passi verso il cielo.
Il bene che comunichiamo loro è di un prezzo infinito; infatti noi applichiamo i meriti del Sangue adorabile di Gesù Cristo, delle virtù della santa Vergine e dei santi, che hanno fatto più penitenze di quanto meritassero i loro peccati.
Ahimè! se volessimo, come potremmo ben presto svuotare il Purgatorio, applicando tutte le indulgenze che possiamo guadagnare per queste anime sofferenti!…
Vedete, fratelli miei, si possono guadagnare quattordici indulgenze plenarie, facendo la Via crucis. lo si fa in diverse maniere…
Oh! come siete colpevoli per aver lasciato bruciare i vostri parenti, allorchè avreste potuto così bene e così facilmente liberarli! (è difficile seguire il curato quando comincia a parlare di indulgenze, sostituendo tutto ciò che ha detto fin qui sulla necessità delle fatiche ascetiche, e penitenziali, necessarie per guadagnarsi il cielo, con un mezzo a buon mercato, come le indulgenze, che cancella tutti i peccati quasi per magia…n.d.a.).
Ma il mezzo più potente per affrettare la loro felicità, è la santa Messa, poichè allora non è più un peccatore che prega per un altro peccatore, ma un Dio, uguale a suo Padre, che non gli rifiuterà mai nulla.
Gesù Cristo ce lo assicura nel Vangelo, quando dice: «Padre mio, ti ringrazio, perchè Tu mi ascolti sempre!».
Per meglio convincervene, vi citerò un esempio fra i più toccanti, che vi mostrerà com’è grande il potere della santa Messa.
Si racconta nella storia della Chiesa che, poco tempo dopo la morte dell’imperatore Carlo il calvo, un sant’uomo della diocesi di Reims, di nome Bernoldo, essendo caduto malato, e avendo ricevuto gli ultimi sacramenti, restò quasi un giorno senza parlare; si riusciva appena ad accorgersi che fosse in vita; egli aprì infine gli occhi e ordinò a coloro che lo guardavano di far venire al più presto il suo confessore.
Il sacerdote accorse e trovò il malato tutto commosso, che gli disse: «Sono stato trasportato (in visione) nell’altro mondo, e mi sono trovato in un luogo dove ho visto il vescovo Pardule de Laon, che passava, vestito di stracci sudici e neri, e che soffriva orribilmente nelle fiamme; egli mi ha fatto questo discorso: “Poichè tu hai la fortuna di ritornare sulla terra, io ti prego di aiutarmi a di darmi sollievo; tu puoi anche liberarmi e procurarmi la grande felicità di vedere il buon Dio”. Ma, gli ho risposto, come potrei procurarti questa felicità?
“Vai a trovare coloro ai quali ho fatto del bene durante la mia vita, e di’ loro che in cambio preghino per me, e il buon Dio avrà pietà di me”
Dopo aver fatto ciò che mi ha ordinato, l’ho rivisto bello come il sole, egli non sembrava più soffrire e, nella sua contentezza, mi ha ringraziato dicendo: “Guarda come le preghiere e la santa Messa mi hanno procurato dei beni e tanta felicità”
Un po’ più lontano ho visto il re Carlo, che mi parlò in questi termini: “Amico mio, quanto soffro! Vai a trovare il vescovo Hincmar, e digli che soffro per non avere ascoltato i suoi consigli, ma che conto su di lui perchè mi aiuti a uscire da questo luogo di sofferenze; raccomanda anche a tutti quelli ai quali ho fatto del bene durante la mia vita, di offrire il santo sacrificio della Messa, e così sarò liberato”.
Andai a trovare il vescovo, il quale si preparava a dire la Messa e che, con tutto il suo popolo, si mise a pregare per questa intenzione.
In seguito rividi il re, coperto dei suoi abiti regali, e tutto sfolgorante di gloria: “ Guarda, mi disse, quale gloria tu mi hai procurato, eccomi ora felice per sempre”.
In quel momento sentii l’odore di un profumo squisito, che veniva dal soggiorno dei beati.
Io mi avvicinai, dice il padre Bernold, e ho visto delle bellezze e delle delizie che il linguaggio umano non può esprimere ».
Ecco la prova di come le nostre preghiere e le nostre buone opere, e soprattutto la santa Messa, siano potenti per tirare quelle povere anime fuori dalle loro sofferenze.
Ma eccovi un altro esempio, che troviamo anche nella storia della Chiesa: è ancora più sorprendente.
Un santo sacerdote, avendo appresa la morte di un suo amico, che amava unicamente per il buon Dio, non trovò alcun mezzo più efficace per la sua liberazione, di quello di andare prontamente ad offrire il sacrificio della Messa.
Egli cominciò con tutto il fervore possibile e il dolore più vivo.
Dopo aver consacrato il Corpo adorabile di Gesù Cristo, lo prese nelle sue mani, e levando le mani e gli occhi al cielo: «Eterno Padre, disse, ecco che offro il corpo e l’anima del tuo carissimo Figlio. Padre Eterno, rendimi l’anima del mio amico, che soffre nelle fiamme del Purgatorio!
Sì, mio Dio, io sono libero di offrirti o meno il tuo Figlio, Tu puoi accordarmi ciò che ti domando!
Mio Dio, facciamo a cambio: libera il mio amico, e io ti donerò il tuo Figlio; ciò che ti pesento vale infinitamante di più di quello che ti domando».
Questa preghiera fu fatta con una fede così viva, che nello stesso istante vide l’anima del suo amico uscire dal Purgatorio e salire al cielo (si tratta di un “santo” ricatto, che ci piace molto poco…; n.d.a.).
Si racconta anche che un sacerdote, dicendo la santa Messa per un’anima del Purgatorio, la vide uscirne sotto forma di una colomba e salire al cielo.
Santa Perpetua raccomanda fortemente di pregare per le anime del Purgatorio.
In una visione, Dio le fece vedere suo fratello che bruciava nelle fiamme e che, tuttavia, era morto all’età di appena sette anni, dopo aver sofferto quasi tutta la vita di un cacro che lo faceva gridare notte e giorno.
Ella fece molte preghiere e penitenze per la sua liberazione, e così lo vide salire al cielo, splendente come un angelo.
Oh! come sono felici, fratelli miei, coloro che hanno simili amici!
Nella misura in cui queste povere anime si avvicinano al cielo, sembrano soffrire ancora di più.
Esse fanno come Absalom: dopo essere rimasto qualche tempo in esilio, egli ritorna nel suo paese, ma senza avere il permesso di vedere suo padre, che lo amava teneramente.
Quando gli fu annunciato che sarebbe rimasto presso suo padre, ma che non lo avrebbe visto: «Ah! gridò, vedrò le finestre e i giardini di mio padre, ma non lo vedrò di persona? Ditegli che preferisco morire, che restare qui senza avere il piacere di vederlo.
Ditegli che non basta che mi abbia perdonato, ma che bisogna che mi accordi il piacere di vederlo».
Allo stesso modo queste povere anime, vedendosi prossime a uscire dal loro esilio, il loro amore per Dio, il desiderio di possederlo, divengono così ardenti, che sembrano non potere più resistere.
«Signore, gridano, rivolgi a noi i tuoi occhi misericordiosi, eccoci alla fine delle nostre sofferenze.
Oh! come siete fortunati, ci gridano da dentro le fiamme che le bruciano, voi che potete ancora evitare questi tormenti!…».
Mi sembra anche di sentire quelle povere anime che non hanno nè parenti nè amici: «Ah! se vi resta ancora qualche po’ di carità, abbiate pietà di noi che, dopo tanti anni, siamo abbandonate in questo fuoco acceso dalla giustizia di Dio!
Oh! se poteste comprendere la grandezza delle nostre sofferenze, non ci abbandonereste come ora fate! Mio Dio! nessuno avrà dunque compassione di noi?».
E’ certo, fratelli miei, che queste povere anime non possono nulla per se stesse, ma possono fare molto per noi.
Questo è tanto vero che non c’è quasi nessuno che abbia invocato le anime del Purgatorio, e che non abbia ottenuto la grazia richiesta.
E ciò non è difficile da comprendere: se i santi che sono nel cielo, e che non hanno bisogno di noi, si interessano alla nostra salvezza, quanto più le anime del Purgatorio, che ricevono i nostri benefici spirituali, in proporzione della nostra santità.
«Non rifiutare questa grazia, Signore, esse dicono, a quei cristiani che si danno da fare in ogni modo, per tirarci fuori dalle fiamme!».
Una madre, potrebbe mai rifiutare di domandare al buon Dio una grazia per dei figli che ella ha amato, e che pregano per la sua liberazione?
Un pastore, che durante la sua vita, ha avuto tanto zelo per la salvezza dei suoi parrocchiani, potrebbe mai non domandare per loro, anche in Purgatorio, le grazie di cui hanno bisogno per salvarsi (la salvezza delle anime, vero massimo assillo del curato, è oggi un concetto riposto nel dimenticatoio, insieme ai quattro “Novissimi”, anche a causa del silenzio di omelie e di documenti ufficiali, che di tutto parlano, anche di inezie, tranne che di salvezza delle anime; n.d.a).
Sì, fratelli miei, tutte le volte che avremo da chiedere qualche grazia, rivolgiamoci con fiducia a queste sante anime, e saremo sicuri di ottenerla.
Quale fortuna per noi avere, nella devozione alle anime del Purgatorio, un mezzo così eccelente per assicurarci il cielo!
Vogliamo chiedere al buon Dio il dolore dei