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Cosa ci guadagno?

Omelia a partire Lc 17,5-10 - XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Autore: Don Flavio Maganuco

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Ab 1,2-3; 2,2-4; Sal 94; 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10

COSA CI GUADAGNO?

Semplicemente tutto

C’è una domanda che spesso ci portiamo dentro, brutale nella sua semplicità: “Cosa ci guadagno? E se non ci guadagno niente, che lo faccio a fare?”
È la logica del mondo. Se un giovane lavora per passione ma non guadagna molto, viene giudicato “inutile” , “sfruttato”. Se qualcuno dedica tempo al volontariato senza ricevere nulla in cambio, lo si considera uno che “perde tempo”. Così la vita si riduce a un bilancio: entrate, uscite, vantaggi, perdite. Ma vivere così spegne il cuore.

Ecco perché la Parola oggi ci provoca. Dio ci invita a uscire da questa logica del calcolo, per entrare nella sua logica: quella del dono gratuito, che agli occhi del mondo sembra inutile, ma che in realtà è l’unica che salva.

Dal grido di Abacuc alla voce del Salmo

Proviamo dunque a rielaborare quanto ascolato: Il profeta Abacuc è schietto: “Perché i malvagi prosperano mentre i giusti soffrono?” È la stessa domanda che ci tormenta quando vediamo chi imbroglia fare carriera e chi resta onesto finire scartato. Sembra che convenga più la furbizia che la fedeltà.

Ma Dio risponde: “Il giusto vivrà per la sua fede”. Non vivrà di calcoli, non vivrà di utili immediati, ma di fiducia.
E il Salmo fa eco: “Non indurite il cuore come a Meriba”. Quando viviamo solo di tornaconto, il cuore si indurisce. Invece Dio guarda al gesto piccolo e fedele: un genitore che non smette di accompagnare un figlio anche quando non vede risultati, un lavoratore che non accetta compromessi anche se resta indietro, un povero che condivide il poco che ha. Sono gesti che agli occhi del mondo non fanno notizia, ma agli occhi di Dio sono il vero tesoro.
E da qui capiamo che la fede non è “utile”: è pazienza, è resistenza, è un amore che non produce frutti immediati ma che tiene in vita la speranza.

Dal coraggio di Timoteo alla forza del Vangelo
San Paolo, nella seconda lettura, rafforza questo sguardo: dice a Timoteo di non vergognarsi della fede. Quante volte veniamo derisi perchè facciamo la cosa giusta e ci abbiamo rimesso qualcosa, o perchè non facciamo la cosa sbagliata che ci porterebbe profitto? Il Vangelo non porta onori, anzi spesso porta derisioni. Eppure non ci è stato dato uno spirito di timidezza, di chi si lascia convincere ad indurire il cuore, ma di forza, di carità, di prudenza.
Il mondo ci prende in giro se scegliamo la via dell’amore gratuito? Che lo faccia pure! Noi lo sappiamo che proprio ciò che Al mondo sembra debolezza, è invece manifestazione di forza e fonte di pace. Una donna che in famiglia ricuce una relazione invece di coltivare rancore. Un giovane che difende la sua integrità anche se tutti lo deridono. Una comunità che sceglie la carità invece del profitto. Queste scelte agli occhi del mondo non “pagano”, ma hanno dentro la forza dello Spirito. Arriviamo allora al Vangelo con una domanda chiara: dove trovare questa forza? Gesù ci risponde con l’immagine del granello di senape. Un seme minuscolo, apparentemente inutile, che ha dentro una potenza immensa. E con la parabola del servo che dice: “Siamo servi inutili”. Non perché il suo servizio non serva, ma perché non è fatto per guadagno. È amore gratuito, è dono senza

condizioni.

Dal seme all’Eucaristia

E qui tutto si tiene insieme: dal grido di Abacuc, alla pazienza di chi non indurisce il cuore, al mondo che vuole farti vergognare di questo fino al piccolo seme del Vangelo. Dio ci insegna che non bisogna avere paura dell’inutilità apparente: è lì che germoglia la fede.
E guardiamoci intorno: le montagne che ci spaventano sono tante. La freddezza nelle famiglie, le dipendenze che spezzano vite, le ingiustizie sociali che sembrano insormontabili. Il mondo ci dice: “È inutile provarci, non cambierà mai quella situazione, non sposterai mai quella montagna”. Ma la fede ci assicura: basta un seme, un piccolo gesto quotidiano, perché quella montagna cominci a muoversi. Pensiamo a un matrimonio in crisi: non si ricostruisce con un colpo di scena, ma con piccoli gesti di perdono e di dialogo. Apparentemente inutili, ma sono loro a tenere in piedi l’amore.

E dove impariamo questo stile? Nell’Eucaristia. Gesù non si presenta come padrone, ma chi sta in mezzo a noi come colui che serve. Gesù, non calcola, si dona. Agli occhi del mondo la croce è stato il gesto più inutile della storia: morire per chi non ti ringrazia. Ma quella croce è diventata la salvezza dell’umanità. E nell’Eucaristia noi entriamo proprio in questa logica: la logica dell’amore che non calcola, non cerca utile, non misura.

Conclusione
E allora, fratelli e sorelle, la domanda è: con quale logica vogliamo vivere? Con quella del mondo, che ci chiede sempre “cosa ci guadagno?”, o con quella di Dio, che ci mostra che il vero guadagno è donare senza misura?
Vi lascio un invito concreto: questa settimana scegliete un gesto “inutile”. Un sorriso dato senza motivo, un aiuto a chi non può ricambiare, un perdono che non porta vantaggi. Sono i semi che Dio usa per muovere le montagne.
E lì scopriremo che la gioia non nasce dall’utile, ma dall’amore.
Amen.

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