Così Dio ha amato il mondo!
IV Domenica di Quaresima
Autore: Cardinale Raniero Cantalamessa
Nel Vangelo di questa Domenica troviamo una delle frasi, in assoluto, più belle e consolanti della Bibbia:
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
Questo tema dell’amore di Dio per noi, è ribadito nella seconda lettura:
“Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo”.
Approfittiamo dunque di questa occasione per riflettere un po’ su questo tema che costituisce il cuore di tutta la Bibbia. “Non importa – ha scritto il filosofo Kierkegaard – sapere se Dio esiste; importa sapere se è amore”. E la Scrittura ci rassicura proprio su questo: Dio è amore. Se tutta la Bibbia, da libro scritto, muto, si trasformasse, per qualche miracolo, in libro parlante, in parola pronunciata, si leverebbe da esso un grido più forte del fragore del mare: “Dio vi ama!”.
Per parlarci del suo amore, Dio si è servito delle esperienze d’amore che l’uomo fa nell’ambito naturale. Dante dice che in Dio esiste, come rilegato in un unico volume, “ciò che per l’universo si squaderna”. Tutti gli amori umani – coniugale, paterno, materno, di amicizia – sono pagine di un quaderno, o faville di un incendio, che ha in Dio la sua sorgente e la sua pienezza.
In questo modo, la Bibbia diventa, indirettamente, una scuola di amore. Se infatti l’amore umano serve da simbolo all’amore di Dio, l’amore di Dio serve da modello all’amore umano. Guardando come ama Dio, apprendiamo come dovrebbe amare una madre, come dovrebbe amare un papà; come dovrebbero amarsi tra loro gli sposi, gli amici. Sono stati scritti trattati e poemi intitolati “L’arte di amare” (Ars amandi); ma la Scrittura divina è l’unica capace di insegnarci veramente quest’arte, se per amore intendiamo qualcosa di più che il solo amore erotico.
Andiamo dunque a scuola di amore dalla Bibbia. Anzitutto Dio, nella Bibbia, ci parla del suo amore attraverso l’immagine dell’amore paterno. Nel profeta Osea, per esempio, Dio si paragona a un padre che insegna al suo bambino a camminare, che lo solleva alla sua guancia e si china per dargli da mangiare (cfr. Osea 11, 1-4). L’amore paterno è fatto di stimolo, di spinta. Il padre vuole far crescere il figlio, spingendolo a dare il meglio di sé. Per questo, difficilmente un papà loderà il figlio incondizionatamente in sua presenza. Ha paura che si creda arrivato e non si sforzi più. Un tratto dell’amore paterno è anche la correzione. “Il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto” (Proverbi 3, 12). Ma un vero padre non passa tutto il tempo a correggere e fare osservazioni al figlio. Finirebbe per scoraggiarlo. È anche colui che dà libertà, sicurezza al figlio, che lo fa sentire protetto nella vita. Ecco perché Dio si presenta all’uomo, lungo tutta la rivelazione, come la sua “roccia e il suo baluardo”, “fortezza sempre vicina nelle angosce”.
Altre volte Dio ci parla con l’immagine dell’amore materno. Dice:
“Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai” (Isaia 49, 15).
L’amore della madre è fatto di accoglienza, di compassione e di tenerezza; è un amore “viscerale”. Parte dalle fibre più profonde del suo essere, là dove la sua creatura si è formata, e invade tutta la persona, facendola “fremere di compassione”. Qualsiasi cosa, per quanto terribile, un figlio abbia fatto, se torna, la prima reazione della madre è sempre quella di aprirgli le braccia e di accoglierlo. Le madri sono sempre un po’ complici dei figli e spesso devono difenderli e intercedere per loro presso il padre.
Questo è ciò che Dio sente per noi. “Il mio cuore – dice – si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Osea 11, 8). E ancora: “Come una madre consola un figlio, così io ti consolerò” (Isaia 66, 13). Si parla sempre della potenza di Dio, della sua forza; ma la Bibbia ci parla anche di una debolezza di Dio, di una sua impotenza. È la “debolezza” materna. Egli dovrebbe punire e distruggere il suo popolo che è infedele, ma non può; le sue viscere materne glielo impediscono; egli “si commuove e cede alla compassione” (cfr. Geremia 31, 20).
L’uomo conosce per esperienza un altro tipo di amore, l’amore sponsale, di cui si dice che è “forte come la morte” e le cui vampe “sono vampe di fuoco” (cfr. Cantico dei Cantici 8, 6). E anche a questo tipo di amore Dio ha fatto ricorso per convincerci del suo appassionato amore per noi. Tutti i termini tipici dell’amore tra uomo e donna, compreso il termine “seduzione”, si trovano usati nella Bibbia per descrivere l’amore di Dio per l’uomo.
L’amore sponsale è fondamentalmente un amore di desiderio e di scelta. Non si sceglie il proprio padre o la propria madre, ma ognuno sceglie (o almeno dovrebbe poter essere libero di scegliere) il proprio sposo o la propria sposa. Un tratto tipico di questo amore è la gelosia, e difatti la Scrittura afferma spesso che il nostro Dio “è un Dio geloso”. Negli sposi terreni la gelosia è indice di debolezza e di insicurezza. L’uomo geloso, o la donna gelosa, teme per se stesso, o per se stessa; ha paura che un’altra persona più “forte”, o più “bella”, possa rubargli il cuore della persona amata. Dio teme, ma per l’uomo, non per se stesso. Sa che l’uomo facilmente si dà in braccio agli idoli, ai falsi amori che sono la sua rovina.
Gesù, venendo in questo mondo, ha portato a compimento tutte queste forme di amore, paterno, materno, sponsale (quante volte si è paragonato a uno sposo!); ma ne ha aggiunto un’altra: l’amore di amicizia. Diceva ai suoi discepoli:
“Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Giovanni 15, 15).
Che cos’è l’amicizia? Qui mi rivolgo soprattutto ai giovani, per i quali l’amicizia è una cosa importante, e spesso anche tanto problematica. Gli antichi dicevano: “L’amicizia è come avere un’anima sola in due corpi”. Può costituire un vincolo più forte della stessa parentela. La parentela consiste nell’avere lo stesso sangue; l’amicizia nell’avere gli stessi gusti, ideali, interessi. Essa nasce dalla confidenza, cioè dal fatto che io confido a un altro quello che c’è di più intimo e personale nei miei pensieri ed esperienze. Volete scoprire quali sono i vostri veri amici e fare una graduatoria tra di essi? Cercate di ricordare quali sono le esperienze più segrete della vostra vita, positive o negative, osservate a chi le avete confidate: quelli sono i vostri veri amici. E se c’è una cosa della vostra vita, così intima che l’avete rivelata a una persona sola, quella è il vostro più grande amico o amica; cercate di non perderlo, o di non perderla!
Ora, Gesù spiega che ci chiama amici, perché tutto quello che lui sapeva dal Padre suo celeste, l’ha fatto conoscere a noi, ce lo ha confidato. Ci ha messi a parte dei segreti di famiglia della Trinità! Per esempio, del fatto che Dio predilige i piccoli e i poveri, che ci ama come un papà, che ci tiene preparato un posto. Gesù dà alla parola “amici” il suo senso più pieno.
L’amore di Dio, come si vede, è un oceano senza rive e senza fondo. Quello che ne abbiamo detto fin qui non è che una goccia. Ma ci basta. Cosa dobbiamo fare dopo aver ricordato questo amore? Una cosa semplicissima: credere nell’amore di Dio, accoglierlo; ripetere commossi, con san Giovanni:
“Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi!” (1 Giovanni 4, 16).
Dobbiamo, soprattutto in questo, imitare i bambini. Essi non hanno paura di lasciarsi amare; più amore si dà loro, più ne prendono, come fosse la cosa più naturale del mondo. Ci sguazzano dentro felici, come fanno, a volte, nell’acqua in cui la mamma fa loro il bagno. Gesù ha detto che bisogna accogliere il regno di Dio come fanno i bambini (cfr. Marco 10, 15). E che cos’è il “regno di Dio” se non il suo amore?
Ho detto che se l’amore umano serve da simbolo all’amore di Dio, l’amore di Dio serve da modello all’amore umano. In altre parole, da Dio impariamo come anche noi dobbiamo amare. Mi limito a segnalare due punti in cui dovremmo imitare Dio. Primo, Dio non ha avuto paura di peccare di debolezza, ripetendo spesso nella Bibbia all’uomo: “Io ti amo”, “tu sei prezioso ai miei occhi”. Perché ci sono papà e (meno) mamme che non lo dicono mai ai figli? Mariti che non lo dicono mai alla moglie? Molti giovani soffrono per tutta la vita per non essersi mai sentiti rivolgere, chiare e tonde, parole come queste da chi più le attendevano.
L’altro punto ha a che fare con la libertà: educare i figli a libertà Una mamma obbiettava: “Ma quale libertà: quella di offendere Dio? Gli esempi tristissimi intorno a noi non ci dicono abbastanza cosa produce la troppo libertà concessa oggigiorno ai giovani? I figli hanno diritto di avere in noi genitori anzitutto dei maestri di vita”. L’esempio di Dio ci può aiutare anche a chiarire questo dubbio. Pur amandoci tanto, Dio, abbiamo visto, ci lascia liberi; anzi, esprime la qualità “paterna” del suo amore, proprio dandoci libertà. E non si può dubitare che Dio sia anche un buon educatore.
Non si tratta semplicemente di dare libertà ai figli, ma di educarli alla libertà. Dare libertà può diventare permissivismo, e allora si avrebbe effettivamente ragione di rimanere perplessi. Educare alla libertà può essere invece proprio il modo migliore per reagire al permissivismo. Significa infatti aiutare i ragazzi a non essere succubi delle mode, della pubblicità, di quello che fanno gli altri; a non aver paura di essere diversi, di andare, all’occorrenza, anche controcorrente. Ad avere insomma il coraggio delle proprie convinzioni e decisioni. Molte cose sbagliate, i giovani le fanno perché non sono abbastanza liberi, non perché lo sono troppo. Sono convinto che il servizio più bello che si possa fare ai giovani oggi, da parte dei genitori e degli educatori, è proprio questo di aiutarli a diventare interiormente liberi. Liberi, in questo senso, non si nasce, ma si diventa.