Credo nella risurrezione della carne e nella vita eterna
La vita immortale alla quale è destinato l’uomo
Autore: Autori Cristiani
1. La risurrezione della carne
La Chiesa ha avuto molte occasioni per proclamare la sua fede nella risurrezione di tutti i morti alla fine dei tempi. Si tratta in qualche modo della “estensione” della Risurrezione di Cristo, «il primogenito tra molti fratelli» ( Rm 8, 29) a tutti gli uomini, vivi e morti, giusti e peccatori, che avrà luogo quando Egli verrà alla fine dei tempi. Con la morte l’anima si separa dal corpo; con la risurrezione corpo e anima si ricongiungono, e per sempre (cfr. Catechismo , 997). Il dogma della risurrezione dei morti, mentre parla della pienezza della immortalità alla quale è destinato l’uomo, ci ricorda la sua grande dignità, anche del suo corpo. Ci parla della bontà del mondo, del corpo, del valore della storia vissuta giorno dopo giorno, della vocazione eterna della materia. Per questo, contro gli gnostici del II secolo, si è parlato della risurrezione della carne , vale a dire della vita dell’uomo nel suo aspetto più materiale, temporale, mutevole e apparentemente caduco.
San Tommaso d’Aquino pensa che la dottrina sulla risurrezione è naturale in ciò che riguarda la causa finale (perché l’anima è fatta per stare unita al corpo, e viceversa), però è soprannaturale in ciò che riguarda la causa efficiente (che è Dio) [1] .
Il corpo risuscitato sarà reale e materiale; però non terreno, né mortale. San Paolo si oppone all’idea di una risurrezione come trasformazione che avviene all’interno della storia umana, e parla del corpo risuscitato come “glorioso” (cfr. Fil 3, 21) e “spirituale” (cfr. 1 Cor 15, 44). La risurrezione dell’uomo, come quella di Cristo, avverrà, per tutti, dopo essere morti.
La Chiesa non promette agli uomini, in nome della fede cristiana, una vita di successo su questa terra; non ci sarà un mondo utopico , perché la nostra vita terrena sarà sempre segnata dalla Croce. Allo stesso tempo, avendo ricevuto il Battesimo e l’Eucaristia, il processo della risurrezione è già cominciato in qualche modo (cfr. Catechismo, 1000). Secondo San Tommaso, nella risurrezione l’anima informerà il corpo così profondamente che in esso saranno riflesse le sue qualità morali e spirituali [2] . In questo senso la risurrezione finale, che avrà luogo con la venuta di Gesù Cristo nella gloria, renderà possibile il giudizio definitivo dei vivi e dei morti.
Riguardo alla dottrina della risurrezione, si possono aggiungere quattro riflessioni:
– la dottrina della risurrezione finale esclude le teorie della reincarnazione , secondo le quali l’anima umana, dopo la morte, emigra verso un altro corpo, ripetute volte se occorre, fino a rimanere definitivamente purificata.
A tal riguardo il Concilio Vaticano II ha parlato de «l’unico corso della nostra vita» [3] , perché «è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta» (Eb 9, 27);
– una manifestazione chiara della fede della Chiesa nella risurrezione dei corpi è la venerazione delle reliquie dei Santi;
– anche se la cremazione delle salme non è illecita, a meno che non sia fatta per motivi contrari alla fede (CIC, 1176), la Chiesa consiglia vivamente di conservare la pietosa consuetudine di seppellire i morti. Infatti, «i corpi dei defunti devono essere trattati con rispetto e carità nella fede e nella speranza della risurrezione. La sepoltura dei morti è un’opera di misericordia corporale; rende onore ai figli di Dio, tempi dello Spirito Santo» ( Catechismo , 2300);
– la risurrezione dei morti concorda con quello che la Sacra Scrittura chiama la venuta dei «nuovi cieli e una terra nuova» ( Catechismo , 1042; 2 Pt 3, 13; Ap 21, 1). Non solo l’uomo raggiungerà la gloria, ma l’intero universo, in cui l’uomo vive e agisce, sarà trasformato. «La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità – leggiamo nella Lumen Gentium (n. 48) –, non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo, “quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose” ( At 3, 21), e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo». Certamente ci sarà una certa continuità tra questo mondo e il mondo nuovo, ma anche una grande discontinuità. L’attesa della definitiva instaurazione del Regno di Cristo non deve indebolire, bensì ravvivare per la virtù teologale della speranza, l’impegno per promuovere il progresso di questo mondo (cfr. Catechismo , 1049).
2. Il senso cristiano della morte
L’enigma della morte dell’uomo si comprende soltanto alla luce della risurrezione di Cristo. Infatti la morte, la perdita della vita umana, si presenta come il male più grande nell’ordine naturale, proprio perché è qualcosa di definitivo, che sarà superato in modo completo solo quando Dio risusciterà gli uomini in Cristo.
Per un certo verso, la morte è naturale nel senso che l’anima si può separare dal corpo. Da questo punto di vista la morte segna il termine del pellegrinaggio terreno. Dopo la morte l’uomo non può più meritare o demeritare. «Con la morte, la scelta di vita fatta dall’uomo diventa definitiva» [4] . Non avrà più la possibilità di pentirsi. Subito dopo la morte andrà in paradiso, all’inferno o in purgatorio. Per questo, c’è ciò che la Chiesa chiama il giudizio particolare (cfr. Catechismo , 1021-1022). Il fatto che la morte segna il termine del suo periodo di prova serve all’uomo per indirizzare la propria vita, per utilizzare bene il tempo e gli altri talenti, per comportarsi con rettitudine, per spendersi nel servizio agli altri.
La Scrittura insegna che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato originale (cfr. Gn 3, 17-19; Sap 1, 13-14; 2, 23-24; Rm 5, 12; 6, 23; Gc 1, 15; Catechismo , 1007). Pertanto dev’essere considerata come un castigo: l’uomo che voleva vivere facendo a meno di Dio, deve accettare il dolore della rottura con la società e con se stesso come frutto del suo allontanamento. Tuttavia Cristo «assunse [la morte] in un atto di totale e libera sottomissione alla Volontà del Padre suo» ( Catechismo , 1009). Con la sua obbedienza vinse la morte e ottenne la risurrezione per l’umanità. Per chi vive in Cristo grazie al battesimo, la morte continua ad essere dolorosa e ripugnante, però non è più una conseguenza del peccato, ma una preziosa possibilità di essere corredentori con Cristo, mediante la mortificazione e la donazione agli altri. «Se moriamo con Lui, vivremo anche con Lui» (2 Tm 2, 11). Per questa ragione, «grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo» ( Catechismo , 1010).
3. La vita eterna nella comunione intima con Dio
Nel creare e redimere l’uomo, Dio lo ha destinato all’eterna comunione con Lui, a quella che san Giovanni chiama la “vita eterna” o a quello che si suole chiamare “il paradiso”. Così Gesù comunica ai suoi la promessa del Padre: «Bene, servo buono e fedele […], sei stato fedele nel poco […], prendi parte alla gioia del tuo padrone» ( Mt 25, 21). La vita eterna non è «un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia» [5] .
La vita eterna è ciò che dà un senso alla vita umana, all’impegno etico, alla donazione generosa, al servizio abnegato, allo sforzo per comunicare la dottrina e l’amore di Cristo a tutte le anime. La speranza cristiana nel cielo non è individualistica, ma si riferisce a tutti [6] . In base a questa promessa il cristiano può essere fermamente convinto che “vale la pena” vivere pienamente la vita cristiana. «Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva» ( Catechismo , 1024); così ne parla sant’Agostino nelle Confessioni : «Tu ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te» [7] . La vita eterna, in definitiva, è l’oggetto principale della speranza cristiana.
«Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come Egli è” ( 1 Gv 3, 2), “faccia a faccia” ( 1 Cor 13, 12)» ( Catechismo , 1023). La teologia ha denominato questo stato “visione beatifica”. «A motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è se non quando Egli stesso apre il suo Mistero alla contemplazione immediata dell’uomo e gliene dona la capacità» ( Catechismo , 1028). Il paradiso è la massima espressione della grazia divina.
D’altra parte il paradiso non consiste in una pura, astratta e immobile contemplazione della Trinità. In Dio l’uomo potrà contemplare tutte le cose che in qualche modo si riferiscono alla sua vita, godendo di esse, e in particolare potrà amare quelli che ha amato nel mondo con un amore puro e perpetuo. «Non dimenticatelo mai: dopo la morte vi accoglierà l’Amore. E nell’amore di Dio ritroverete tutti gli amori limpidi che avete avuto sulla terra» [8] . Il godimento del paradiso raggiunge il culmine pieno con la risurrezione dei morti. Secondo sant’Agostino, la vita eterna consiste in un riposo eterno e in una deliziosa e suprema attività [9] .
Che il paradiso duri eternamente non vuol dire che là l’uomo non è più libero. Nel cielo l’uomo non pecca, non può peccare, perché, vedendo Dio faccia a faccia, vedendolo fra l’altro come sorgente viva di tutta la bontà creata, in realtà non vuole peccare. Liberamente e filialmente, l’uomo salvato resterà in comunione con Dio per sempre. Con ciò, la sua libertà ha raggiunto la sua piena realizzazione.
La vita eterna è il frutto definitivo della donazione divina all’uomo. Per questo ha qualcosa di infinito. Tuttavia la grazia divina non elimina la natura umana, né nel suo essere né nelle sue facoltà, né la sua personalità, né quello che ha meritato durante la vita. Per questo c’è distinzione e diversità fra quelli che godono della visione di Dio, non in quanto all’oggetto, che è Dio stesso, contemplato senza intermediari, ma in quanto alla qualità del soggetto: «chi ha più carità partecipa di più della luce della gloria, e più perfettamente vedrà Dio e sarà felice» [10] .
4. L’inferno come rifiuto definitivo di Dio
Molte volte la Sacra Scrittura dice che gli uomini che non si pentono dei loro peccati perderanno il premio eterno della comunione con Dio, e finiranno invece nella dannazione eterna. «Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da Lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola “inferno”» (Catechismo, 1033). Questo non vuol dire che Dio abbia predestinato alcuni alla condanna eterna; è l’uomo stesso che, cercando il suo fine ultimo al di fuori di Dio e della sua volontà, costruisce per sé un mondo a parte nel quale non può entrare la luce e l’amore di Dio. L’inferno è un mistero, il mistero dell’Amore respinto, e sta anche a indicare quale sia il potere distruttore della libertà umana quando si allontana da Dio [11] .
È tradizionale distinguere, per ciò che riguarda l’inferno, tra la “pena di danno”, la più fondamentale e dolorosa, che consiste nella separazione perpetua da Dio, sempre anelato dal cuore dell’uomo, e la “pena dei sensi”, alla quale si allude spesso nei Vangeli con l’immagine del fuoco eterno.
La dottrina sull’inferno è presentata nel Nuovo Testamento come un richiamo alla responsabilità nell’uso dei doni e dei talenti ricevuti, e alla conversione. La sua esistenza fa intravedere all’uomo la gravità del peccato mortale, e la necessità di evitarlo con tutti i mezzi, sopratutto, com’è logico, mediante la preghiera fiduciosa e umile. La possibilità della condanna richiama ai cristiani la necessità di vivere una vita interamente apostolica.
Indubbiamente l’esistenza dell’inferno è un mistero: il mistero della giustizia di Dio nei confronti di quelli che si chiudono al suo perdono misericordioso. Alcuni autori hanno pensato alla possibilità dell’annichilimento del peccatore impenitente al momento della morte. Questa teoria è difficile da conciliare con il fatto che Dio ha dato per amore l’esistenza – spirituale e immortale – a ogni uomo [12] .
5. La purificazione necessaria per l’incontro con Dio
«Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo» ( Catechismo , 1030). Si può pensare che molti uomini, pur non avendo vissuto una vita santa sulla terra, non si siano neppure chiusi definitivamente nel peccato. La possibilità, dopo la morte, di essere mondati dalle impurità e dalle imperfezioni di una vita più o meno vissuta male si presenta allora come ulteriore manifestazione della bontà di Dio, come la necessaria preparazione per entrare in intima comunione con la santità di Dio. «Il purgatorio è una misericordia di Dio, per purificare i difetti di quanti vogliono identificarsi con Lui» [13] .
Anche l’Antico Testamento parla della purificazione ultraterrena (cfr. 2 Mac 12, 40-45). Nella prima lettera ai Corinzi ( 1 Cor 3, 10-15) san Paolo presenta la purificazione cristiana, in questa vita e in quella futura, attraverso l’immagine del fuoco; un fuoco che in qualche modo emana da Gesù Cristo, Salvatore, Giudice e Fondamento della vita cristiana [14] . Anche se la dottrina del purgatorio non è stata definita formalmente fino all’Età Media [15] , l’antichissima e unanime pratica di offrire suffragi per i defunti, specialmente mediante il Sacrificio eucaristico, è un chiaro indizio della fede della Chiesa nella purificazione ultraterrena. Infatti non avrebbe senso pregare per i defunti se si trovassero o salvati nel cielo o condannati nell’inferno. La maggioranza dei protestanti nega l’esistenza del purgatorio, perché la ritengono frutto di una fiducia eccessiva nelle opere umane e nella capacità della Chiesa di intercedere per quelli che hanno lasciato questo mondo.
Più che un luogo , il purgatorio deve essere considerato uno stato di temporanea e dolorosa lontananza da Dio, nel quale si perdonano i peccati veniali, si purifica l’inclinazione al male che il peccato lascia nell’anima e si soddisfa la “pena temporale” dovuta al peccato. Il peccato non solo offende Dio e danneggia lo stesso peccatore, ma, mediante la comunione dei santi, danneggia la Chiesa, il mondo, l’umanità. La preghiera della Chiesa per i defunti ristabilisce in qualche modo l’ordine e la giustizia: soprattutto per mezzo della Santa Messa, delle elemosine, delle indulgenze e delle opere di penitenza (cfr. Catechismo, 1032).
I teologi insegnano che nel purgatorio si soffre molto, a seconda della situazione di ciascuno. Tuttavia si tratta di un dolore che ha un significato, di «un dolore beato» [16] . Per questo i cristiani sono invitati a cercare la purificazione dei peccati nella vita presente mediante la contrizione, la mortificazione, la riparazione e la vita santa.
6. I bambini che muoiono senza il Battesimo
La Chiesa affida alla misericordia di Dio i bambini morti senza aver ricevuto il Battesimo. C’è motivo di pensare che Dio in qualche modo li accoglie, sia per il grande affetto dimostrato da Gesù verso i bambini (cfr. Mc 10, 14), sia perché ha inviato suo Figlio col desiderio che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1 Tm 2, 4). Allo stesso tempo, il fatto di confidare nella misericordia di Dio non è una ragione sufficiente per rinviare l’amministrazione del Sacramento del Battesimo ai bambini appena nati (CIC 867), che conferisce una particolare configurazione con Cristo: «significa e opera la morte al peccato e l’ingresso nella vita della Santissima Trinità attraverso la configurazione al Mistero pasquale di Cristo» ( Catechismo , 1239).
[1] Cfr. San Tommaso, Summa contra gentiles, IV, 81.
[2] Cfr. San Tommaso, Summa Theologiae , III. Suppl., qq. 78-86.
[3] Concilio Vaticano II, Cost. Lumen Gentium , 48.
[4] Benedetto XVI, Enc. Spe salvi , 30-XI-2007, 45.
[5] Ibidem , 12.
[6] Cfr. Ibidem , 13-15, 28, 48.
[7] Sant’Agostino, Confessioni , 1, 1, 1.
[8] San Josemaría, Amici di Dio , 221.
[9] Cfr. Sant’Agostino, Epistulae , 55, 9.
[10] San Tommaso, Summa Theologiae , I, q. 12, a. 6, c.
[11] «Con la morte, la scelta di vita fatta dall’uomo diventa definitiva – questa sua vita sta davanti al Giudice. La sua scelta, che nel corso dell’intera vita ha preso forma, può avere caratteri diversi. Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore. Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l’odio e hanno calpestato in se stesse l’amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola inferno» (Benedetto XVI, Enc . Spe salvi , 45).
[12] Cfr. Ibidem , 47.
[13] San Josemaría, Solco , 889.
[14] Infatti Benedetto XVI nella Spe salvi dice che «alcuni teologi recenti sono dell’avviso che il fuoco che brucia e insieme salva sia Cristo stesso, il Giudice e Salvatore» (Benedetto XVI, Enc. Spe salvi , 47).
[15] Cfr. DS 856, 1304.
[16] Benedetto XVI, Enc. Spe salvi , 47.