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Vangelo e omelia nella solennità di Cristo Re

Cristo Re e Giudice della Storia giudicherà ciascuno di noi sulla carità.

Autore: Don Domenico Saretto

La solennità di Cristo Re, che stiamo celebrando, introduce l’ultima settimana dell’anno liturgico — domenica prossima sarà già la Prima d’Avvento —, e a questa festa siamo giunti attraverso un percorso. Consentitemi di ripercorrerlo brevemente.
Il percorso possiamo farlo iniziare dal 1° novembre, solennità di Tutti i Santi. In quell’occasione, Gesù ci diceva: «Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli!». «Grande è la ricompensa nei cieli» di coloro che hanno vissuto la povertà, il pianto e tante situazioni di sofferenza, fino alla persecuzione per causa di Gesù e del suo Vangelo. Infatti hanno vissuto tutto questo in spirito di riparazione, di purificazione; hanno trascorso il loro purgatorio quaggiù. Quelli che l’hanno fatto in modo eroico — i Santi — passano direttamente alla beatitudine; gli altri scontano quello che manca loro nel purgatorio vero e proprio. Dunque, ricordiamoci che anche questa vita ha elementi di purificazione, se siamo capaci di valorizzare i quali «grande è la ricompensa» che ci attende «nei cieli».
I temi escatologici — cioè le Cose Ultime: la morte, il giudizio e l’aldilà — sono ritornati la domenica dopo, XXXII del Tempo ordinario, laddove Gesù ci ammoniva: «Vegliate perché non sapete né il giorno né l’ora». E ha esemplificato l’ammonimento con la parabola delle vergini che accompagnano lo sposo al banchetto delle nozze. Lo Sposo è Gesù Cristo; le anime, le nostre anime, sono chiamate ad accompagnarlo nel cammino di questa vita fino al banchetto delle nozze che rappresenta la festa eterna. E lì si è vista la differenza tra le cinque vergini sagge e le cinque stolte, perché accompagneranno lo sposo solamente quelle che hanno le lampade accese. Hanno le lampade della speranza accese perché hanno l’olio, l’olio della fede. Hanno l’olio della fede perché hanno avuto l’amore di procurarselo prima, di nutrire la propria fede, la quale mantiene accesa la lampada della speranza, senza la quale non possiamo accompagnare Cristo Sposo.
La domenica successiva Gesù ci ha illustrato il mistero della nostra vita con la parabola dei talenti, in cui ci ha illustrato che la nostra vita è una vita di responsabilità. Dio ha affidato a ciascuno di noi dei talenti; ad alcuni di più, ad altri di meno, ma a tutti almeno un talento, quello della vita, che ci chiama a mettere a frutto. Se non lo mettiamo a frutto adeguatamente, finiremo come quel servo inutile «fuori nelle tenebre» dove — con espressione che Gesù ripete più volte nell’arco del Vangelo — «sarà pianto e stridore di denti».
Ebbene, oggi, solennità di Cristo Re, ci viene presentato il grande giudizio. Dopo averci parlato, appunto, dei misteri delle Cose Ultime, oggi Gesù illustra come sarà concretamente il giudizio che Dio darà sulla nostra vita. E qui scopriamo — con grande sollievo direi — che il Re, che Cristo Re, per volontà di Dio Padre Giudice della Storia, —della Storia con la S maiuscola e della storia personale di ciascuno di noi —, che questo Giudice ultimo ci esaminerà su di una sola materia. Questo è bello! Infatti, ognuno di noi, quando andava a scuola aveva le sue materie preferite, aveva le sue materie — diciamo così — più ostiche. E sapere che c’è una sola materia nell’esame finale ci semplifica, ci semplifica lo studio, ci semplifica l’impegno. E la materia è quella della carità; in concreto della carità verso il prossimo.
Ezechiele — l’abbiamo ascoltato nella Prima Lettura — aveva profetizzato: «Io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri». Ecco, in questo gregge in cui c’è tanta diversità, fra pecore, montoni, capri… e capre, tutti però sono chiamati a esercitare la carità verso il prossimo. E Gesù ci sottolinea soprattutto l’amore verso il prossimo più bisognoso. Pensiamo quando ci troviamo di fronte a qualcuno a qualcuna che in qualche modo ci risulta più difficile da amare, da aiutare, pensiamo che proprio lì in quella persona dobbiamo vedere Gesù. Dobbiamo vedere Gesù che ha fame, che ha sete, che è straniero, che è nudo, che è malato, che è in carcere. E dobbiamo fare quello che possiamo — quello che ragionevolmente possiamo — per aiutare tutti; non solo quelli che si lasciano aiutare volentieri, non solo quelli che ci stanno più simpatici, che sono più congeniali al nostro carattere, più sintonizzati sui nostri gusti, ma anche quelli che invece sono più lontani. Gesù ha voluto identificarsi in qualche modo in queste persone più svantaggiate. E questa è carità. Carità è però anche che ognuno di noi non si riduca in queste condizioni; cioè che diventiamo e ci diamo da fare per essere persone facili da amare: che non ci riduciamo alla fame, che non ci riduciamo alla disidratazione, che non prendiamo le distanze dal nostro prossimo, divenendo come stranieri, che non finiamo nudi, che non ci ammaliamo — per quello che dipende da noi — e che — sempre per quello che dipende da noi — non finiamo in carcere. Dopo — ci mancherebbe — ci vorranno bene pure in queste condizioni anche estreme, e noi dobbiamo imparare a voler bene anche a persone che si trovano in queste condizioni estreme. Ma attenzione: carità verso gli altri è anche non ridurci a queste condizioni estreme.
E allora invochiamo la Vergine Maria. Chiediamole di intercedere per noi «adesso e nell’ora della nostra morte» perché percorriamo questo cammino con Cristo, con le lampade accese, perché mettiamo a frutto il talento della nostra vita, perché sappiamo vedere come occasione di purificazione tutte le sofferenze. E anche noi parteciperemo —come scrive San Paolo ai Corinzi — alla stessa sorte di Cristo: «Tutti in Cristo riceveranno la vita […]. Prima Cristo; che è la primizia; poi, alla sua venuta — all’ultimo giudizio, alla venuta del Re — quelli che sono di Cristo». Chiediamo alla Vergine Maria di accompagnarci nel cammino della vita «adesso e nell’ora della nostra morte», e di vedere le occasioni concrete di carità nei confronti del nostro prossimo. Davvero! Così sia! Amen!

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