Da qui mi si vede bene? L’eterna ricerca del momento di gloria
Meditazione per la Ventiduesima domenica del T.O. anno C
Autore: Gaetano Piccolo
«Quanto sto dicendo ben lo comprendono
coloro che sono stati ammessi a questa mensa.
Non è cosa da poco:
ti si offre in cibo colui stesso che ti ha chiamato»,
Sant’Agostino, Discorso 28/A, 4
La corsa
La vita è una corsa nella quale all’inizio tutti siamo spinti ad arrivare primi. Con il tempo, capita forse che ci accorgiamo che non vinceremo mai, e allora ci fermiamo alimentando in noi l’invidia e la frustrazione. Altri, pur di arrivare primi, costruiscono trappole e inganni per assicurarsi un posto sul podio. Altri ancora provano a fare onestamente la propria corsa, così come possono.
Siamo educati da sempre a cercare di essere non migliori, ma i migliori. Nutriamo la stima di noi stessi sulla base dell’approvazione e del giudizio degli altri: cerchiamo di essere visti e apprezzati, come se fossero gli altri a doverci assegnare la medaglia che meritiamo. Assistiamo sempre più di frequente a una corsa alla visibilità: ci inventiamo trovate originali pur di essere notati, proviamo la scalata al potere cercando di ottenere un ruolo qualsiasi pur di dimostrare a noi stessi che valiamo qualcosa!
Sguardi
È probabile che Gesù si sia trovato davanti a uno spettacolo comune al suo tempo per quanto indecoroso, nel quale le persone si guardavano con circospezione giudicando l’opportunità o meno della considerazione goduta nel contesto del banchetto al quale partecipavano.
Il banchetto, come avveniva sempre nelle culture antiche, non era solo un semplice pasto, ma era un vero e proprio convivio, un momento in cui stare insieme, discutere magari di affari, ma anche un’occasione di autocelebrazione, un luogo in cui farsi vedere e dimostrare il proprio potere.
Valutazioni
Era buona educazione e una norma ampiamente condivisa quella di invitare a un banchetto persone dello stesso rango, sarebbe stato infatti spiacevole trovarsi accanto un personaggio sconosciuto e soprattutto di minore dignità sociale. Il banchetto diventava perciò un’occasione per ritrovarsi tra pari, come una sorta di lobby o di circolo privato.
Anche all’interno dello stesso ceto c’erano però delle differenze, si mangiava infatti stando distesi su una sorta di divano a tre posti: al centro sedeva la persona con maggiore dignità, alla sua destra il secondo e alla sinistra il terzo. Il modo in cui si era seduti diceva quindi plasticamente il valore delle persone. Era inevitabile quindi che ci fossero mormorazioni e critiche serpeggianti, perché non era sempre facile fare una valutazione del valore di ciascuno.
Criteri
Gesù deve essere stato particolarmente colpito dall’attenzione ossessiva che gli astanti rivolgevano alla collocazione degli invitati piuttosto che essere attenti alla condivisione e all’ospite che li aveva invitati, un po’ come quando ai nostri banchetti di nozze a tutto si pensa fuorché agli sposi che vivono un momento bello e importante della loro vita.
Da invitato, Gesù diventa maestro di tavola e suggerisce un criterio che è nello stesso tempo prudenziale, ma che assume anche un valore etico-teologico: Gesù invita a non proporsi, a non mettersi in evidenza, in modo da non essere rimandati indietro, facendo una pessima figura, ma lasciando che eventualmente chi ci ha invitati ci suggerisca di passare avanti.
Nella vita vediamo spesso precipitare chi in tutti i modi ha cercato di sgomitare per salire in alto e farsi vedere. Non è detto che chi cerca di stare più defilato venga riconosciuto e valorizzato, anzi è possibile che resti lì per tutta la durata della festa, ma forse è meglio essere modesti e prudenti piuttosto che spavaldi e ambiziosi.
Umiltà
Chi riesce a stare serenamente al suo posto, senza pretese velleitarie, è colui che sceglie l’umiltà («Quanto più sei grande, tanto più fatti umile», Sir 3,18), colui cioè che non fa dipendere il suo valore dalla visibilità e dal giudizio altrui, ma fa quello che può, stando dove la vita lo mette!
Gratuità
Pur partecipando ai banchetti, secondo quei criteri che abbiamo esposto, Gesù non dimentica chi non è invitato, anzi coglie l’occasione per insegnare in che modo organizzare la lista degli invitati. Ancora una volta il banchetto diventa metafora della festa della vita. Di solito facciamo entrare in questa festa coloro che un domani potrebbero esserci utili.
Passiamo tutta la vita dentro rapporti di reciprocità e di mutuo utilizzo, ma in questo modo non scopriamo mai cosa voglia dire amare. Gesù al contrario invita a prestare attenzione a coloro che non potranno ripagarci: è lì che scopriamo l’amore, quando viviamo la gratuità e lo spreco. Guardando allora alla nostra lista di invitati alla festa della nostra vita ci renderemo conto se e quanto stiamo amando veramente.
Leggersi dentro
Chi c’è sulla tua lista degli invitati alla festa della tua vita?
Sei uno che cerca il primo posto per essere visto o sai stare dove la vita ti mette?