Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona (La creazione)
Fede nella Creazione
Autore: Don Marco Vanzini/Don Carlos Ayxelá
«Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che Tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?» ( Sal 8, 4-5). La contemplazione del mondo ispira stupore negli uomini di tutte le epoche. Anche oggi, che siamo nelle condizioni di conoscere esattamente le cause fisiche dei colori di un tramonto, di una eclissi o di un’aurora boreale, restiamo affascinati quando siamo presenti a questi fenomeni. Inoltre, man mano che la scienza progredisce, si fa più evidente la complessità e l’immensità che ci circonda, sia al di sotto della nostra scala – dalla vita microscopica fino all’intima struttura stessa della materia – sia al di sopra di essa, nelle distanze e nelle dimensioni delle galassie, che superano ogni immaginazione.
Lo stupore ci può cogliere anche profondamente se ci soffermiamo a considerare la realtà del nostro io: quando uno si rende conto di esistere, senza essere capace di comprendere del tutto l’origine della propria vita e della consapevolezza che ha di se stesso. Da dove vengo? Anche se la velocità con cui oggi si vive in molte parti del pianeta porta a eludere questo tipo di domande, in realtà non si tratta di qualcosa riservato a spiriti particolarmente introspettivi: rispondono a una necessità di dare, con le coordinate fondamentali, un senso dell’orientamento che a volte può intorpidirsi, ma che in un modo o nell’altro, presto o tardi, riaffiora nella vita di tutti.
La ricerca di un Volto al di là dell’universo
La percezione dell’abisso della propria coscienza o dell’immensità del mondo si può limitare a volte a provare una profonda vertigine. Tuttavia, la religiosità degli uomini ha sondato in tutte le epoche al di là di questi fenomeni; ha cercato, nei modi più diversi, un Volto da adorare. Per questo, davanti allo spettacolo della natura, dice il salmista: «I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento» ( Sal 18 [19], 2); e anche, davanti al mistero dell’io, della vita: «Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio» ( Sal 138 [139], 14). Per secoli questo passaggio dal mondo visibile fino a Dio è stato fatto con grande naturalezza; però oggi il credente si trova a volte alle prese con interrogativi che possono causargli qualche perplessità: questa ricerca di un Volto al di là dell’universo conosciuto non è una proiezione dell’uomo, caratteristica di uno stadio superato dall’umanità? I progressi della scienza, anche quando essa non disponga di una risposta a tutte le domande e a tutti i problemi, non fanno della nozione di creazione una sorta di velo della nostra ignoranza? Non è, per gli altri, solo una questione di tempo che la scienza sia in grado di dare risposta a tutte queste domande?
Sarebbe un errore mettere da parte troppo in fretta tali questioni, come non pertinenti o come sintomo di uno scetticismo senza fondamento. Semplicemente, mettono in evidenza che «la fede deve essere rivissuta e ritrovata ad ogni generazione» i: anche oggi, quando la scienza e la tecnologia mostrano continuamente tutto quello che l’uomo può conoscere e fare da sé, fino al punto che l’idea di un ordine precedente alla nostra iniziativa spesso è apparsa lontana e difficile da immaginare. Le questioni di questo genere, dunque, richiedono una considerazione serena, che permetta di consolidare la nostra fede, comprendendone il senso e la sua relazione con la scienza e la ragione, per poter illuminare anche noi. Naturalmente, in un paio di articoli è possibile tracciare soltanto alcune vie, senza esaurire una questione che per se stessa influisce su un gran numero di aspetti della fede cristiana.
La rivelazione della creazione
Nel nostro percorso possiamo partire semplicemente dall’affermazione fondamentale della Bibbia sull’origine di tutto ciò che esiste e, in particolare, di ogni persona nel corso della storia. Si tratta di un’affermazione molto concreta e facile da enunciare: Siamo creature di Dio, frutto della sua libertà, della sua sapienza e del suo amore. «Tutto ciò che vuole il Signore lo compie in cielo e sulla terra, nei mari e in tutti gli abissi» (Sal 134 [135], 6). «Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature» ( Sal 103 [104], 24).
Tuttavia, certe volte le affermazioni più semplici nascondono le realtà più complesse. Se oggi la ragione umana percepisce a volte confusamente questa visione del mondo, neppure è stato semplice per essa arrivare a tanto. Storicamente, la nozione di creazione – nel senso in cui la Chiesa ne parla nel Credo – nacque solamente durante la rivelazione al popolo d’Israele. Il sostegno della parola divina permise di mettere allo scoperto i limiti delle diverse concezioni mitiche intorno alle origini del cosmo e dell’uomo, per andare oltre le speculazioni dei brillanti filosofi greci e riconoscere il Dio d’Israele come l’unico Dio che aveva creato tutto dal nulla.
Un carattere distintivo del racconto biblico è, dunque, il fatto che Dio crea partendo dal nulla preesistente, con la sola forza della sua parola «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu […]. Facciamo l’uomo a nostra immagine […]. E Dio creò l’uomo a sua immagine» ( Gn 1, 3. 26-27). Un’altra caratteristica di questo racconto è che in origine non c’era nessuna traccia del male: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» ( Gn 1, 31). La stessa Genesi non risparmia dettagli sui modi in cui il male e il dolore ben presto si fanno strada nella storia. Eppure, in aperto contrasto con questa esperienza universale, la Bibbia afferma ripetutamente che il mondo è essenzialmente buono, che la creazione non è una forma degradata dell’essere, ma un immenso dono di Dio. «L’universo non è sorto come risultato di un’onnipotenza arbitraria, di una dimostrazione di forza o di un desiderio di auto-affermazione. La creazione appartiene all’ordine dell’amore […]: “Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata” ( Sap 11, 24). Così, ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo. Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza, Egli lo circonda con il suo affetto» ii.
Anche l’inizio del Vangelo di san Giovanni getta una luce decisiva su questo racconto. «In principio era il Verbo» ( Gv 1, 1), scrive il quarto evangelista, riprendendo le prime parole della Genesi (cfr. Gn 1, 1). All’inizio del mondo c’è il logos di Dio, che ne fa una realtà profondamente razionale, radicalmente piena di significato. «Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo; essa conosce che cosa è gradito ai tuoi occhi e ciò che è conforme ai tuoi decreti» ( Sap 9, 9). A proposito del termine greco con cui si designa il Verbo di Dio, Benedetto XVI spiegava: « Logos significa insieme ragione e parola, una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l’evangelista. L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso» iii. Ogni dialogo presuppone un interlocutore razionale, con logos. Così il dialogo con il mondo che i filosofi greci cominciarono a intavolare era possibile proprio perché la realtà creata era in possesso di razionalità, di una logica molto semplice e molto complessa allo stesso tempo. Questo dialogo finiva, dunque, con il coincidere con la recisa affermazione che il mondo «non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso» iv, ma di una intelligenza amorosa – di un Essere personale – che trascende l’ordine stesso dell’universo perché lo precede.
Il nucleo dei racconti della creazione
Oggi accade non di rado che i racconti della creazione nella Genesi siano considerati dei testi belli e poetici, pieni di sapienza, ma forse, in fin dei conti, non all’altezza della sofisticata e seria metodologia che frattanto hanno acquisito la scienza e la critica letteraria e storica. Tuttavia, sarebbe un errore trattare con noncuranza i nostri antenati perché non avevano a disposizione il microscopio, gli acceleratori di particelle o le riviste specializzate: dimenticheremmo troppo facilmente che forse sapevano e vedevano le cose essenziali; cose che noi potremmo aver perduto di vista lungo la strada. Per comprendere quello che una persona o un testo vogliono dirci è necessario tener conto del loro modo di parlare, soprattutto se è diverso dal nostro. In tal senso, bisogna tenere presente che nei racconti della creazione «l’immagine del mondo si delinea sotto la penna dell’autore ispirato con le caratteristiche delle cosmogenie del tempo»; e che è in questo quadro che Dio inserisce la novità specifica della sua rivelazione a Israele e agli uomini di tutti i tempi: «la verità circa la creazione di ogni cosa ad opera dell’unico Dio» v.
Comunque, si obietta spesso che, se la nozione di creazione ha avuto un ruolo nel passato, oggi appare ingenuo tentare di proporla nuovamente. La fisica moderna e le scoperte intorno alla evoluzione delle specie avrebbero reso obsoleta l’idea di un creatore che interviene per generare e dare forma al mondo: la razionalità dell’universo sarebbe, nel migliore dei casi, una proprietà interiore alla materia, e parlare di altri agenti significherebbe mettere in dubbio la serietà del discorso scientifico. Tuttavia, si fa così facilmente, senza saperlo, una lettura esclusivamente letterale della Bibbia, che la stessa Bibbia rifiuta. Se, per esempio, si paragonano i due racconti sulle origini, situati uno dopo l’altro nei due primi capitoli della Genesi, si osservano differenze molto evidenti che non è possibile attribuire a una negligenza redazionale. Gli autori sacri erano consapevoli che non erano tenuti a dare una descrizione dettagliata e letterale su come era avvenuta l’origine del mondo e dell’uomo: cercavano di esprimere, attraverso il linguaggio e i concetti di cui disponevano, alcune verità fondamentali vi.
Quando si riesce a comprendere il particolare linguaggio di questi racconti – un linguaggio primitivo, ma pieno di sapienza e di profondità –, si può identificare il loro vero nucleo. Ci parlano di «un intervento personale» vii che trascende la realtà dell’universo: prima del mondo esiste la libertà personale e la sapienza infinita di un Dio creatore. Attraverso un linguaggio simbolico, apparentemente ingenuo, si fa strada una profonda voglia di verità, che potremmo riassumere così: Dio ha fatto tutto questo, perché così ha voluto viii. La Bibbia non vuole pronunciarsi sugli stadi dell’evoluzione dell’universo e dell’origine della vita, ma vuole affermare la «libertà dell’onnipotenza» ix di Dio, la razionalità del mondo che Egli crea e il suo amore per questo mondo. Si rende così evidente una immagine della realtà, e di ognuno degli esseri che la formano, come «un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti» x. La realtà, alla luce della fede nella creazione, resta marcata al suo stesso interno dal segno dell’accoglienza. Anche in mezzo alla imperfezione, al male, al dolore, il cristiano vede in ogni essere un dono che scaturisce dall’Amore e che chiama all’amore: a godere, a rispettare, a prendersi cura, a trasmettere.
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