Dio vuole rendere felice l’uomo intero
Catechesi su Geremia 31,10-14
Autore: San Giovanni Paolo II
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. “Ascoltate, popoli, la parola del Signore, annunziatela alle isole più lontane” (Ger 31,10). Quale notizia sta per essere data con queste solenni parole di Geremia, che abbiamo ascoltato nel Cantico or ora proclamato? Si tratta di una notizia consolante, e non a caso i capitoli che la contengono (cfr 30-31), sono qualificati come “Libro della consolazione”. L’annuncio riguarda direttamente l’antico Israele, ma fa già in qualche modo intravedere il messaggio evangelico.
Ecco il cuore di questo annuncio: “Il Signore ha redento Giacobbe, lo ha riscattato dalle mani del più forte di lui” (Ger 31,11). Lo sfondo storico di queste parole è costituito da un momento di speranza sperimentato dal popolo di Dio, a circa un secolo da quando il Nord del Paese, nel 722, era stato occupato dalla potenza assira. Ora, al tempo del profeta, la riforma religiosa del re Giosia esprime un ritorno del popolo all’alleanza con Dio e accende la speranza che il tempo del castigo sia finito. Prende corpo la prospettiva che il Nord possa tornare alla libertà e Israele e Giuda si ricompongano in unità. Tutti, anche le “isole più lontane”, dovranno essere testimoni di questo evento meraviglioso: Dio, pastore di Israele, sta per intervenire. Lui che ha permesso la dispersione del suo popolo, ora viene a radunarlo.
2. L’invito alla gioia è sviluppato con immagini che coinvolgono profondamente. È un oracolo che fa sognare! Delinea un futuro in cui gli esiliati “verranno e canteranno”, e ritroveranno non soltanto il tempio del Signore, ma anche tutti i beni: il grano, il mosto, l’olio, i nati dei greggi e degli armenti. La Bibbia non conosce un astratto spiritualismo. La gioia promessa non riguarda soltanto l’intimo dell’uomo, giacché il Signore si prende cura della vita umana in tutte le sue dimensioni. Gesù stesso non mancherà di sottolineare questo aspetto, invitando i suoi discepoli a fidarsi della Provvidenza anche per le necessità materiali (cfr Mt 6,25-34). Il nostro Cantico insiste su questa prospettiva: Dio vuole rendere felice l’uomo intero. La condizione che egli prepara per i suoi figli è espressa dal simbolo del “giardino irrigato” (Ger 31,12), immagine di freschezza e fecondità. Il lutto si converte in festa, si è saziati di delizie (cfr v. 14) e colmati di beni, tanto che viene spontaneo danzare e cantare. Sarà una gioia incontenibile, una letizia di popolo.
3. La storia ci dice che questo sogno non si è avverato allora. Ma non certo perché Dio sia venuto meno alla sua promessa: di questa delusione è stato responsabile ancora una volta il popolo, con la sua infedeltà. Lo stesso libro di Geremia si incarica di dimostrarlo con lo sviluppo di una profezia che si fa sofferta e dura, e conduce progressivamente ad alcune delle fasi più tristi della storia di Israele. Non solo gli esiliati del Nord non ritorneranno, ma la stessa Giudea sarà occupata da Nabucodonosor nel 587 a. C. Cominceranno allora giorni amari, quando, sulle rive di Babilonia, si dovrà appendere la cetra ai salici (cfr Sal 136,2). Non potrà esserci nell’animo una disposizione a cantare per la soddisfazione degli aguzzini; non si può gioire, se si è strappati a forza dalla patria, la terra dove Dio ha posto la sua dimora.
4. E tuttavia l’invito alla gioia che caratterizza questo oracolo non perde di significato. Resta salda, infatti, la motivazione ultima su cui esso poggia, e che è espressa soprattutto da alcuni intensi versetti, che precedono quelli proposti nella Liturgia delle Ore. Occorre averli ben presenti, mentre si leggono le espressioni di gioia del nostro Cantico. Essi descrivono in termini vibranti l’amore di Dio per il suo popolo. Additano un patto irrevocabile: “Ti ho amato di amore eterno” (Ger 31,3). Cantano l’effusione paterna di un Dio che chiama Efraim suo primogenito e lo copre di tenerezza: “Essi erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li condurrò a fiumi d’acqua per una strada diritta in cui non inciamperanno; perché io sono un padre per Israele” (Ger 31,9). Anche se la promessa non ha potuto per allora essere realizzata a causa dell’incorrispondenza dei figli, l’amore del Padre resta in tutta la sua toccante tenerezza.
5. Questo amore costituisce il filo d’oro che unisce le fasi della storia di Israele, nelle sue gioie e nelle sue tristezze, nei suoi successi e nei suoi fallimenti. Dio non viene meno al suo amore, e lo stesso castigo ne è espressione, assumendo un significato pedagogico e salvifico.
Sulla roccia salda di questo amore, l’invito alla gioia del nostro Cantico evoca un futuro di Dio che, pur differito, prima o poi verrà, nonostante tutte le fragilità degli uomini. Questo futuro si è realizzato nella nuova alleanza con la morte e risurrezione di Cristo e con il dono dello Spirito. Esso, tuttavia, avrà il suo pieno compimento al ritorno escatologico del Signore. Alla luce di tali certezze, il “sogno” di Geremia rimane una reale opportunità storica, condizionata alla fedeltà degli uomini, e soprattutto una meta finale, garantita dalla fedeltà di Dio e già inaugurata dal suo amore in Cristo.
Leggendo dunque questo oracolo di Geremia, dobbiamo lasciar riecheggiare in noi l’evangelo, la bella notizia promulgata da Cristo, nella sinagoga di Nazareth (cfr Lc 4,16-21). La vita cristiana è chiamata ad essere un vero “giubilo”, che solo il nostro peccato può insidiare. Facendoci recitare queste parole di Geremia, la Liturgia delle Ore ci invita ad ancorare la nostra vita a Cristo, il nostro Redentore (cfr Ger 31,11) e a cercare in Lui il segreto della vera gioia nella nostra vita personale e comunitaria.
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