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Dominum et Vivificantem - Parte prima - sezione 3 - 4 - 5

Il Donarsi Salvifico Di Dio Nello Spirito Santo , Il Messia

Autore: San Giovanni Paolo II

Carissimi Fratelli e Sorelle ,
11. Il discorso di addio di Cristo durante la Cena pasquale è in particolare riferimento a questo «donare» e «donarsi» dello Spirito Santo. Nel Vangelo di Giovanni si svela quasi la «logica» più profonda del mistero salvifico contenuto nell’eterno disegno di Dio, come espansione dell’ineffabile comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È la «logica» divina, che dal mistero della Trinità porta al mistero della redenzione del mondo in Gesù Cristo. La redenzione compiuta dal Figlio nelle dimensioni della storia terrena dell’uomo – compiuta nella sua «dipartita» per mezzo della Croce e della Risurrezione – viene, al tempo stesso, nella sua intera potenza salvifica, trasmessa allo Spirito Santo colui che «prenderà del mio». Le parole del testo giovanneo indicano che, secondo il disegno divino, la «dipartita» di Cristo è condizione indispensabile dell’«invio» e della venuta dello Spirito Santo, ma dicono anche che allora comincia la nuova comunicazione salvifica di Dio nello Spirito Santo.
12. È un nuovo inizio in rapporto al primo, originario inizio del donarsi salvifico di Dio, che si identifica con lo stesso mistero della creazione. Ecco che cosa leggiamo già nelle prime parole del Libro della Genesi: «In principio Dio creò il cielo e la terra…, e lo spirito di Dio (ruah Elohim) aleggiava sulle acque». Questo concetto biblico di creazione comporta non solo la chiamata all’esistenza dell’essere stesso del cosmo, cioè il donare l’esistenza, ma anche la presenza dello Spirito di Dio nella creazione, cioè l’inizio del comunicarsi salvifico di Dio alle cose che crea. Il che vale prima di tutto per l’uomo il quale è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza». «Facciamo»: si può ritenere che il plurale, che il Creatore qui usa parlando di sé, suggerisca già in qualche modo il mistero trinitario, la presenza della Trinità nell’opera della creazione dell’uomo? Il lettore cristiano che conosce già la rivelazione di questo mistero, può scoprirne il riflesso anche in quelle parole. In ogni caso, il contesto del Libro della Genesi ci permette di vedere nella creazione dell’uomo il primo inizio del donarsi salvifico di Dio a misura dell’«immagine e somiglianza» di sé, da Lui concessa all’uomo.
13. Sembra, dunque che anche le parole pronunciate da Gesù nel discorso di addio debbano essere rilette in riferimento a quell’«inizio» così lontano, ma fondamentale, che conosciamo dalla Genesi «Se non me ne vado non verrà a voi il consolatore; ma, quando me ne sarò andato, ve lo manderò». Descrivendo la sua «dipartita» come condizione della «venuta» del consolatore, Cristo collega il nuovo inizio della comunicazione salvifica di Dio nello Spirito Santo al mistero della redenzione. Questo è un nuovo inizio, prima di tutto perché tra il primo inizio e tutta la storia dell’uomo – cominciando dalla caduta originale – si è frapposto il peccato, che è contraddizione alla presenza dello Spirito di Dio nella creazione ed è, soprattutto, contraddizione alla comunicazione salifica di Dio all’uomo. Scrive san Paolo che, proprio a causa del peccato, «la creazione… è stata sottomessa alla caducità…, geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» e «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio».
14. Perciò, Gesù Cristo dice nel Cenacolo: «È bene per voi che io me ne vada». «Quando me ne sarò andato, ve lo manderò». La «dipartita» di Cristo mediante la Croce ha la potenza della redenzione – e ciò significa anche una nuova presenza dello Spirito di Dio nella creazione: il nuovo inizio del comunicarsi di Dio all’uomo nello Spirito Santo. «E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà, Padre!»: scrive l’apostolo Paolo nella Lettera ai Galati. Lo Spirito Santo è lo Spirito del Padre, come testimoniano le parole del discorso di addio nel Cenacolo. Egli è, al tempo stesso, lo Spirito del Figlio: è lo Spirito di Gesù Cristo, come testimonieranno gli apostoli e, in particolare, Paolo di Tarso. Nell’invio di questo Spirito «nei nostri cuori» inizia a compiersi ciò che «la creazione stessa attende con impazienza», come leggiamo nella Lettera ai Romani. Lo Spirito Santo viene a prezzo della «dipartita» di Cristo. Se tale «dipartita» ha causato la tristezza degli apostoli, e questa doveva raggiungere il suo culmine nella passione e nella morte del Venerdì Santo, a sua volta «questa afflizione si cambierà in gioia». Cristo, infatti, inserirà nella sua «dipartita» redentrice la gloria della risurrezione e dell’ascensione al Padre. Pertanto, la tristezza, attraverso la quale traspare la gioia, è la parte che tocca agli apostoli nel quadro della «dipartita» del loro Maestro, una dipartita «benefica», perché grazie ad essa un altro «consolatore» sarebbe venuto. A prezzo della Croce, operatrice della redenzione, nella potenza di tutto il mistero pasquale di Gesù Cristo, lo Spirito Santo viene per rimanere sin dal giorno della Pentecoste con gli apostoli, per rimanere con la Chiesa e nella Chiesa e, mediante essa, nel mondo. In questo modo si realizza definitivamente quel nuovo inizio della comunicazione del Dio uno e trino nello Spirito Santo per opera di Gesù Cristo, Redentore dell’uomo e del mondo.
15. Si realizza anche fino in fondo la missione del Messia, cioè di colui che ha ricevuto la pienezza dello Spirito Santo per il Popolo eletto di Dio e per l’umanità intera. Letteralmente «Messia» significa «Cristo», cioè «unto» e, nella storia della salvezza, significa «unto con lo Spirito Santo». Tale era la tradizione profetica dell’Antico Testamento. Seguendola, Simon Pietro dirà nella casa di Cornelio: «Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea… dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè, come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth». Da queste parole di Pietro e da molte altre simili occorre risalire prima di tutto alla profezia di Isaia, chiamata a volte «il quinto Vangelo» oppure «il Vangelo dell’Antico Testamento». Alludendo alla venuta di un personaggio misterioso, che la rivelazione neotestamentaria identificherà con Gesù, Isaia ne collega la persona e la missione con una speciale azione dello Spirito di Dio Spirito del Signore. Ecco le parole del Profeta:
«Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore».
Questo testo è importante per l’intera pneumatologia dell’Antico Testamento, perché costituisce quasi un ponte tra l’antico concetto biblico dello «spirito», inteso prima di tutto come «soffio carismatico», e lo «Spirito» come persona e come dono, dono per la persona. Il Messia della stirpe di Davide («dal tronco di Iesse») è proprio quella persona, sulla quale «si poserà» lo Spirito del Signore. È ovvio che in questo caso non si può ancora parlare della rivelazione del Paraclito: tuttavia, con quell’accenno velato alla figura del futuro Messia si apre, per cosi dire, la via sulla quale vien preparata la piena rivelazione dello Spirito Santo nell’unità del mistero trinitario, che si manifesterà infine nella Nuova Alleanza.
16. Proprio il Messia stesso è questa via. Nell’Antica Alleanza l’unzione era divenuta il simbolo esterno del dono dello Spirito. Il Messia, ben più di ogni altro personaggio unto nell’Antica Alleanza, è quell’unico grande Unto da Dio stesso. È l’Unto nel senso che possiede la pienezza dello Spirito di Dio. Egli stesso sarà anche il mediatore nel concedere questo Spirito all’intero Popolo. Ecco, infatti, altre parole del Profeta:
«Lo Spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di misericordia del Signore».
L’Unto è anche mandato «con lo Spirito del Signore»:
«Ora il Signore Dio ha mandato me insieme col suo spirito». (Is 48,16)
Secondo il Libro di Isaia l’Unto e l’Inviato insieme con lo Spirito del Signore è anche l’eletto Servo del Signore, sul quale si posa lo Spirito di Dio:
«Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto in cui mi compiaccio;
ho posto il mio spirito su di lui».
Si sa che il Servo del Signore è rivelato nel Libro di Isaia come il vero uomo dei dolori: il Messia sofferente per i peccati del mondo. Ed insieme egli è proprio colui la cui missione porterà per l’intera umanità veri frutti di salvezza:
«Egli porterà il diritto alle nazioni…». e diventerà «l’alleanza del popolo e luce delle nazioni…»; «perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».
Poiché:
«Il mio spirito, che è sopra di te, e le parole, che ti ho messo in bocca, non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca della tua discendenza né dalla bocca dei discendenti, dice il Signore, ora e sempre».
I testi profetici, qui riportati, devono essere letti da noi alla luce del Vangelo – come, a sua volta, il Nuovo Testamento acquista una particolare chiarificazione dalla mirabile luce contenuta in questi testi vetero-testamentari. Il profeta presenta il Messia come colui che viene nello Spirito Santo, come colui che possiede la pienezza di questo Spirito in se e, al tempo stesso, per gli altri per Israele, per tutte le nazioni, per tutta l’umanità. La pienezza dello Spirito di Dio viene accompagnata da molteplici doni, i beni della salvezza, destinati in modo particolare ai poveri e ai sofferenti, a tutti coloro che a questi doni aprono i loro cuori – a volte mediante le dolorose esperienze della propria esistenza, ma, prima di tutto, con quella disponibilità interiore che viene dalla fede. Ciò intuiva il vecchio Simeone, «uomo giusto e pio», sul quale «era lo Spirito Santo», al momento della presentazione di Gesù al Tempio, quando scorgeva in lui la «salvezza preparata dinanzi a tutti i popoli» a prezzo della grande sofferenza – la Croce -, che avrebbe dovuto abbracciare insieme con sua Madre. Ciò intuiva ancor meglio la Vergine Maria, che «aveva concepito di Spirito Santo», quando meditava in cuor suo sopra i «misteri» del Messia, a cui era associata.
17. Occorre quindi sottolineare che chiaramente lo «spirito del Signore», che «si posa» sul futuro Messia, è, anzitutto, un dono di Dio per la persona di quel Servo del Signore. Ma costui non è una persona isolata e a sé stante, perché opera per volontà del Signore, in forza della sua decisione o scelta. Anche se alla luce dei testi di Isaia l’operare salvifico del Messia, Servo del Signore, include l’azione dello Spirito che si svolge mediante lui stesso, tuttavia nel contesto veterotestamentario non è suggerita la distinzione dei soggetti, o delle Persone divine, quali sussistono nel mistero trinitario e sono poi rivelate nel Nuovo Testamento. Sia in Isaia sia in tutto l’Antico Testamento la personalità dello Spirito Santo è completamente nascosta: nascosta nella rivelazione dell’unico Dio, come anche nell’annuncio del futuro Messia.
18. Gesù Cristo si richiamerà a questo annuncio, contenuto nelle parole di Isaia, all’inizio della sua attività messianica. Ciò avverrà nella stessa Nazareth, nella quale aveva trascorso trent’anni di vita nella casa di Giuseppe, il carpentiere, accanto a Maria, sua Madre vergine. Quando ebbe occasione di prendere la parola nella Sinagoga, aperto il Libro di Isaia, egli trovò il passo in cui era scritto: «Lo spirito del Signore è sopra di me; per questo, mi ha consacrato con l’unzione» e, dopo aver letto questo brano, disse ai presenti: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udito». In questo modo confessò e proclamò di esser colui che «è stato unto» dal Padre, di essere il Messia, cioè colui nel quale dimora lo Spirito Santo come dono di Dio stesso, colui che possiede la pienezza di questo Spirito, colui che segna il «nuovo inizio» del dono che Dio fa all’umanità nello Spirito.
19. Anche se nella sua patria di Nazareth Gesù non è accolto come Messia, tuttavia, all’inizio dell’attività pubblica la sua missione messianica nello Spirito Santo viene rivelata al popolo da Giovanni Battista. Questi, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, annuncia presso il Giordano la venuta del Messia ed amministra il battesimo di penitenza. Egli dice: «Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Giovanni Battista annuncia il Messia-Cristo non solo come colui che «viene» nello Spirito Santo, ma anche come colui che «porta» lo Spirito Santo, come rivelerà meglio Gesù nel Cenacolo. Giovanni è qui l’eco fedele delle parole di Isaia, le quali nell’antico Profeta riguardavano il futuro, mentre nel suo proprio insegnamento lungo le rive del Giordano costituiscono l’introduzione immediata alla nuova realtà messianica. Giovanni è non solo un profeta, ma anche un messaggero: è il precursore di Cristo. Ciò che egli annuncia si realizza davanti agli occhi di tutti. Gesù di Nazareth viene al Giordano per ricevere anch’egli il battesimo di penitenza. Alla vista di colui che arriva, Giovanni proclama: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo». Ciò dice per ispirazione dello Spirito Santo, rendendo testimonianza al compimento della profezia di Isaia. Al tempo stesso, egli confessa la fede nella missione redentrice di Gesù di Nazareth. Sulle labbra di Giovanni Battista «Agnello di Dio» è un’affermazione della verità intorno al Redentore, non meno significativa di quella usata da Isaia: «Servo del Signore». Così, con la testimonianza di Giovanni al Giordano, Gesù di Nazareth, rifiutato dai propri concittadini, viene elevato agli occhi di Israele come Messia, cioè «Unto» con lo Spirito Santo. E tale testimonianza viene corroborata da un’altra testimonianza di ordine superiore, menzionata dai tre Sinottici. Infatti, quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto il battesimo, stava in preghiera, «il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come una colomba» e, contemporaneamente, «vi fu una voce dal cielo, che disse: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». E una teofania trinitaria, che rende testimonianza all’esaltazione di Cristo in occasione del battesimo al Giordano. Essa non solo conferma la testimonianza di Giovanni Battista, ma svela una dimensione ancora più profonda della verità su Gesù di Nazareth come Messia. Ecco: il Messia è il Figlio prediletto del Padre. La sua solenne esaltazione non si riduce alla missione messianica del «Servo del Signore». Alla luce della teofania del Giordano, questa esaltazione raggiunge il mistero della stessa persona del Messia. Egli è esaltato, perché è il Figlio del divino compiacimento.
20. La teofania del Giordano rischiara solo fugacemente il mistero di Gesù di Nazareth, la cui intera attività si svolgerà sotto la presenza attiva dello Spirito Santo. Tale mistero sarebbe stato da Gesù stesso svelato e confermato gradualmente mediante tutto ciò che «fece e insegnò». Sulla linea di questo insegnamento e dei segni messianici che Gesù compì prima di giungere al discorso di addio nel Cenacolo, troviamo eventi e parole che costituiscono momenti particolarmente importanti di questa progressiva rivelazione. Così l’evangelista Luca, che ha già presentato Gesù «pieno di Spirito Santo» e «condotto dallo Spirito nel deserto», ci fa sapere che, dopo il ritorno dei settantadue discepoli dalla missione affidata loro dal Maestro, mentre pieni di gioia gli raccontavano i frutti del loro lavoro, «in quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: – Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto». Gesù esulta per la paternità divina; esulta, perché gli è dato di rivelare questa paternità; esulta, infine, quasi per una speciale irradiazione di questa paternità divina sui «piccoli». E l’evangelista qualifica tutto questo come «esultanza nello Spirito Santo». Una tale esultanza, in un certo senso, sollecita Gesù a dire ancora di più. Ascoltiamo: «Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio, e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare».
21. Ciò che durante la teofania del Giordano è venuto, per così dire, «dall’esterno», dall’Alto, qui proviene «dall’interno», cioè dal profondo di ciò che è Gesù. È un’altra rivelazione del Padre e del Figlio, uniti nello Spirito Santo, Gesù parla solo della paternità di Dio e della propria figliolanza – non parla direttamente dello Spirito che è amore e, per questo, unione del Padre e del Figlio. Nondimeno, quello che dice del Padre e di sé-Figlio scaturisce da quella pienezza dello Spirito, che è in lui e che si riversa nel suo cuore, pervade il suo stesso «io» ispira e vivifica dal profondo la sua azione. Di qui quell’«esultare nello Spirito Santo». L’unione di Cristo con lo Spirito Santo, di cui egli ha perfetta coscienza, si esprime in quell’«esultanza», che in certo modo rende percepibile la sua arcana sorgente. Si ha così una speciale manifestazione ed esaltazione, che è propria del Figlio dell’uomo, di Cristo-Messia la cui umanità appartiene alla Persona del Figlio di Dio, sostanzialmente uno con lo Spirito Santo nella divinità. Nella magnifica confessione della paternità di Dio Gesù di Nazareth manifesta anche se stesso, il suo «io» divino: egli, infatti, è il Figlio «della stessa sostanza» e, perciò, «nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio», quel Figlio che «per noi uomini e per la nostra salvezza» si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato da una vergine, il cui nome era Maria.

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