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Epifania del Signore

La manifestazione di Dio

Autore: Don Paolo Morocutti

Epifania deriva dalla parola greca “ἐπιϕάνεια” cioè “manifestazione”, questa antica festività cristiana ha avuto origine nel terzo secolo in ambito orientale e inizialmente voleva celebrare la manifestazione della divinità di Gesù rivelata dal Padre nel battesimo nel Giordano, solo successivamente il cristianesimo occidentale ha individuato la “manifestazione” della divinità di Gesù nell’episodio evangelico dell’adorazione dei Magi.

Il brano dell’Epifania, con la visita dei Magi a Betlemme, è narrato solo dall’evangelista Matteo (2,1-12). Il racconto è inserito nei primi due capitoli del primo vangelo, chiamati “vangeli dell’infanzia” ma che, in realtà, oltre a parlare dell’origine rappresentano delle vere e proprie allegorie pasquali sull’identità di Gesù attraverso un susseguirsi di racconti che anticipano quanto accadrà sulla croce. La narrazione si sviluppa intorno a Gerusalemme (vv. 2-7) e a Betlemme (vv. 8-12).

Tutte e due le scene evangeliche sono introdotte dal viaggio e dall’arrivo dei magi e sono collegate tra loro da elementi comuni: la stella (vv. 2.7.9.10) e l’adorazione del bambino (vv. 2.11). Il racconto fa emergere volutamente alcune forti contrapposizioni, che poi daranno l’interpretazione alla linea teologica che sta alla base dell’odierna solennità dell’Epifania. Queste contrapposizioni, volute e sottolineate dal testo evangelico rappresentano una chiave di lettura fondamentale per l’interpretazione del messaggio dell’Epifania.

Ne consideriamo solo tre:
tra il re Erode e il Re dei giudei
tra Erode e i magi
tra lo “strumento” della ricerca dei magi (stella) e di Erode, i sacerdoti e gli scribi (la Scrittura)

1. Il re Erode e il Re dei Giudei
C’è una domanda fondamentale, cuore del racconto, che porta alcuni magi a mettersi in viaggio e che, dall’altro lato, sembra destabilizzare le ambizioni regali di Erode: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».
Il testo, perciò, mette in evidenza il tema della “regalità” dei due personaggi, chiamati in causa: Erode e il bambino.
Il re Erode, da fonti storiche, viene dipinto come un tiranno violento e sospettoso di tutti coloro che gli sono vicini, tanto che governa circa 30 anni attraverso l’uso della violenza e a prezzo di uccisioni, anche dei suoi figli. Perciò, Erode è “re” attraverso una serie di congiure e complotti; egli è geloso di questo titolo tanto che teme la regalità di questo “re” appena nato, indifeso e umile, voluto dal cielo e che si manifesta a dei personaggi lontanissimi attraverso la stella. In fondo Erode sa di non essere il “re dei Giudei” perché nelle sue vene non scorre sangue ebraico (era infatti idumeo); da qui la paura di perdere il trono.
Gesù, invece, è il re voluto da Dio; infatti, con lo spuntare della stella, lo scrutare la Scrittura e dalle parole dello stesso Erode troviamo nel testo i seguenti titoli: il re dei Giudei (v. 2), il Cristo (v. 4), un capo e pastore del mio popolo Israele (v. 5).
Il primo titolo, il re dei Giudei, ritornerà nuovamente nel vangelo nell’ambito della Passione: Gesù, infatti, sarà deriso da Pilato (27,11), schernito dai soldati (27,29) e sulla croce lo avrà come “titulus” per indicare il motivo della sua condanna (27,37).
Il titolo di CristoMessia è dato a Gesù dallo stesso re Erode, identificando così quel re con il Messia. Da qui l’ulteriore conferma da parte dei sacerdoti e degli scribi che scrutando le Scritture identificano il re e Messia con il nato a Betlemme.
Anzi, questi ultimi, riscontrano e attribuiscono al bambino altri due titoli: capo e pastore ovvero un capo che pascerà il popologregge, Israele. Gesù non è re che esercita il dominio nella sottomissione e nella violenza come Erode, ma è un capo secondo il cuore di Dio, come Davide, il re pastore di Betlemme, e sarà un pastore autentico, pieno di compassione per tutti.
Quindi, il fatto che Gesù sia stato identificato con questi titoli e che sia nato a Betlemme, fa emergere che egli è il “re atteso”, il Messia, colui che è il vero re, il vero Messia, il vero capo, il vero pastore, il vero figlio e discendente di Davide.

 

2. Il re Erode e i Magi

Il confronto viene ulteriormente messo in evidenza dalla notizia della nascita del nuovo re e dal diverso scopo che muove Erode e i Magi. Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme (v. 3). C’è ancora il tema di una regalità che sconvolge, tanto che questo concetto ritornerà nel vangelo questo da parte di tutta la città in 21,10, all’ingresso di Gesù a Gerusalemme, Gesù sarà condannato anche da tutto il popolo (27,25). Nel turbamento della notizia di un re nato, allora, vi è paura, non accoglienza, c’è chiusura e condanna, poiché tutti occupano il proprio posto attraverso ragionamenti umani, dove la situazione di imprevisto non è contemplata e deve essere subito .
I Magi, al contrario, alla notizia del re nato, avendo visto spuntare la sua stella, si sono messi in cammino per incontrarlo e adorarlo. Questi personaggi compaiono e scompaiono in questi versetti lasciando nei secoli un’ampia letteratura e tradizione. Ma il testo biblico dice solo l’essenziale. Essi sono chiamati “magoi” ovvero maghi. Il termine non ha solo un aspetto negativo (maghi, ciarlatani) ma anche positivo con il senso di sapienti, astronomi e astrologi; nel brano di Matteo, infatti, sono collegati alla lettura del cielo. Essi partono da Oriente per cui non sono ebrei, la tradizione successiva li fa venire dalla Persia, dall’Arabia, dalla Mesopotamia, l’evangelista vuole dire che essi sono coloro che, rispetto a Erode e tutta Gerusalemme, accolgono il re dei Giudei e per lui si mettono in cammino. Essi, perciò, prima esclusi dall’Alleanza perché stranieri diventano i destinatari della promessa divina, in virtù del loro atteggiamento di ricerca e accoglienza verso il Messia e della sua azione salvifica. Essi, allora, anticipano l’accoglienza e il cammino dei pagani rispetto al popolo giudaico davanti al Cristo, il re dei Giudei.
Lo scopo del viaggio dei Magi è adorare il bambino (vv. 2.11), cioè un segno di prostrazione davanti a qualcuno che ti è più grande e Matteo tende a indicare come Gesù venga da tale azione riconosciuto nella sua identità messianica (8,2; 9,18; 14,33; 15,25; 20,20; 28,9.17). Anche Erode dice di voler adorare il bambino (v. 8), ma egli vorrà fare il contrario, ovvero eliminare questo pericolo per lui. C’è chi nell’umiltà riconosce i segni e la situazione della propria vita e si mette in cammino per riconoscere la vita e la grandezza di un Altro, e chi, falsamente, si presenta davanti all’Altro riconoscendolo solo come nemico.

 

3. La stella e la Scrittura

Il cammino dei Magi inizia con la stella, la quale prima di portarli a Betlemme e fermarsi là dove si trovava il bambino, li fa passare da Gerusalemme dove essa scompare.
Nella letteratura antica l’astro è segno della nascita di un personaggio particolare o di un cambiamento d’epoca. La funzione della stella nella vicenda dei magi può essere compresa alla luce del racconto di Balaam, un pagano che invece di maledire Israele come aveva ordinato Balak, re di Moab, annuncia ad Israele la speranza messianica: “io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Nm 24,17a). Pertanto la stella, metafora del Messia, diventa la guida dei magi e il segno della gloria di Dio che ora si rivela nel bambino nato a Betlemme.
Per rispondere alla domanda che i Magi portano dentro e che li muove verso il Cristo è necessaria la Scrittura; solo attraverso di essa possono raggiungere Betlemme perché “così è scritto per mezzo del profeta”. La Scrittura indica il cammino ed ecco che ricompare la stella, che infonde gioia grandissima (la terminologia è quella delle donne al sepolcro in 28,8), che si ferma sopra il luogo dove si trovava il bambino, identificando così la stella messianica profetizzata da Balaam con il bambino Gesù (cfr. Ap 22,16: Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino).

A Gerusalemme, invece, pur avendo la Scrittura che indica il luogo in cui doveva nascere il Cristo e avendo Betlemme a pochi chilometri di distanza, nessuno riesce a compiere il cammino fatto dai Magi. Possiamo sintetizzare affermando che a Gerusalemme ci sono le risposte della vita ma mancano le domande. In conclusione possiamo riprendere la nostra affermazione iniziale in cui si affermava che il racconto dell’Epifania è già inserito nella lettura evangelica e pasquale della vicenda di Gesù, anticipando al lettore il destino del Messia, il re dei Giudei. Egli, infatti, fin da subito viene rifiutato proprio da coloro che sono i detentori delle promesse messianiche (i sacerdoti e gli scribi a Gerusalemme), mentre viene accolto da coloro che si mettono alla ricerca, i pagani (i magi che si muovono dall’Oriente). Questi ultimi giungono alla Rivelazione di Dio, che ha come contenuto la nascita del Messia, l’identità del Cristo, sia mediante un fenomeno naturale, la stella, sia attraverso le istruzioni della Scrittura. La loro avventura termina con la realizzazione dello scopo del viaggio: l’adorazione del bambino e l’offerta dei tre doni più apprezzati in Oriente: l’oro, l’incenso e la mirra. Il cammino dei Magi, infine, indica che tutti gli uomini sono chiamati all’incontro con Cristo; un cammino in cui Dio anticipa, guida e accompagna i passi di ogni “pellegrino del senso della vita”, abitato da domande che inquietano il cuore e lo aprono al cielo.

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