Famiglia diventa ciò che sei!
Estratto da Familiaris Consortio - Parte Terza - La formazione di una comunità di persone I
Autore: San Giovanni Paolo II
Carissimi Fratelli e Sorelle,
17. Nel disegno di Dio Creatore e Redentore la famiglia scopre non solo la sua «identità», ciò che essa «è», ma anche la sua «missione)», ciò che essa può e deve «fare». I compiti, che la famiglia è chiamata da Dio a svolgere nella storia, scaturiscono dal suo stesso essere e ne rappresentano lo sviluppo dinamico ed esistenziale. Ogni famiglia scopre e trova in se stessa l’appello insopprimibile, che definisce ad un tempo la sua dignità e la sua responsabilità: famiglia, «diventa» ciò che «sei»!
Risalire al «principio» del gesto creativo di Dio è allora una necessità per la famiglia, se vuole conoscersi e realizzarsi secondo l’interiore verità non solo del suo essere ma anche del suo agire storico. E poiché, secondo il disegno divino, è costituita quale «intima comunità di vita e di amore («Gaudium et Spes», 48), la famiglia ha la missione di diventare sempre più quello che è, ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per ogni realtà creata e redenta troverà il suo componimento nel Regno di Dio. In una prospettiva poi che giunge alle radici stesse della realtà, si deve dire che l’essenza e i compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall’amore. Per questo la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa.
Ogni compito particolare della famiglia è l’espressione e l’attuazione concreta di tale missione fondamentale. E’ necessario pertanto penetrare più a fondo nella singolare ricchezza della missione della famiglia e scandagliarne i molteplici ed unitari contenuti.
In tal senso, partendo dall’amore e in costante riferimento ad esso, il recente Sinodo ha messo in luce quattro compiti generali della famiglia:
1) la formazione di una comunità di persone;
2) il servizio alla vita;
3) la partecipazione allo sviluppo della società;
4) la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.
I. La formazione di una comunità di personeL’amore, principio e forza della comunione
18. La famiglia fondata e vivificata dall’amore, è una comunità di persone: dell’uomo e della donna sposi, dei genitori e dei figli, dei parenti. Suo primo compito è di vivere fedelmente la realtà della comunione nell’impegno costante di sviluppare un’autentica comunità di persone.
Il principio interiore, la forza permanente e la meta ultima di tale compito è l’amore: come, senza l’amore, la famiglia non è una comunità di persone, così senza l’amore, la famiglia non può vivere, crescere e perfezionarsi come comunità di persone. Quanto ho scritto nell’enciclica «Redemptor Hominis» trova la sua originaria e privilegiata applicazione proprio nella famiglia come tale: «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (num. 10).
L’amore tra l’uomo e la donna nel matrimonio e, in forma derivata ed allargata, l’amore tra i membri della stessa famiglia – tra genitori e figli tra fratelli e sorelle, tra parenti e familiari – è animato e sospinto da un interiore e incessante dinamismo, che conduce la famiglia ad una comunione sempre più profonda ed intensa, fondamento e anima della comunità coniugale e familiare.
19. La prima comunione è quella che si instaura e si sviluppa tra i coniugi: in forza del patto d’amore coniugale, l’uomo e la donna «non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19,6; cfr. Gen 2,24) e sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale.
Questa comunione coniugale affonda le sue radici nella naturale complementarietà che esiste tra l’uomo e la donna, e si alimenta mediante la volontà personale degli sposi di condividere l’intero progetto di vita, ciò che hanno e ciò che sono: perciò tale comunione è il frutto e il segno di una esigenza profondamente umana. Ma in Cristo Signore, Dio assume questa esigenza umana, la conferma, la purifica e la eleva, conducendola a perfezione col sacramento del matrimonio: lo Spirito Santo effuso nella celebrazione sacramentale offre agli sposi cristiani il dono di una comunione nuova d’amore che è immagine viva e reale di quella singolarissima unità, che fa della Chiesa l’indivisibile Corpo mistico del Signore Gesù.
Il dono dello Spirito è comandamento di vita per gli sposi cristiani, ed insieme stimolante impulso affinché ogni giorno progrediscano verso una sempre più ricca unione tra loro a tutti i livelli – dei corpi dei caratteri, dei cuori, delle intelligenze, e delle volontà, delle anime (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso agli Sposi, 4 [Kinshasa, 3 maggio 1980]: AAS 72 [1980], 426s), – rivelando così alla Chiesa e al mondo la nuova comunione d’amore, donata dalla grazia di Cristo.
Una simile comunione viene radicalmente contraddetta dalla poligamia: questa, infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell’uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo. Come scrive il Concilio Vaticano II: «L’unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell’uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore» («Gaudium et Spes», 49; cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso agli Sposi, 4 [Kinshasa, 3 maggio 1980]; l. c.).
20. La comunione coniugale si caratterizza non solo per la sua unità, ma anche per la sua indissolubilità: «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità» («Gaudium et Spes», 48).
E’ dovere fondamentale della Chiesa riaffermare con forza – come hanno fatto i Padri del Sinodo – la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio: a quanti, ai nostri giorni, ritengono difficile o addirittura impossibile legarsi ad una persona per tutta la vita e a quanti sono travolti da una cultura che rifiuta l’indissolubilità matrimoniale e che deride apertamente l’impegno degli sposi alla fedeltà, è necessario ribadire il lieto annuncio della definitività di quell’amore coniugale, che ha in Gesù Cristo il suo fondamento e la sua forza (cfr. Ef 5,25).
Radicata nella personale e totale donazione dei coniugi e richiesta dal bene dei figli, l’indissolubilità del matrimonio trova la sua verità ultima nel disegno che Dio ha manifestato nella sua Rivelazione. Egli vuole e dona l’indissolubilità matrimoniale come frutto, segno ed esigenza dell’amore assolutamente fedele che Dio ha per l’uomo e che il Signore Gesù vive verso la sua Chiesa.
Cristo rinnova il primitivo disegno che il Creatore ha iscritto nel cuore dell’uomo e della donna, e nella celebrazione del sacramento del matrimonio offre un «cuore nuovo»: così i coniugi non solo possono superare la «durezza del cuore» (Mt 19,8), ma anche e soprattutto possono condividere l’amore pieno e definitivo di Cristo, nuova ed eterna Alleanza fatta carne. Come il Signore Gesù è il «testimone fedele» (Ap 3,14), è il «sì» delle promesse di Dio (cfr. 2Cor 1,20) e quindi la realizzazione suprema dell’incondizionata fedeltà con cui Dio ama il suo popolo, così i coniugi cristiani sono chiamati a partecipare realmente all’indissolubilità irrevocabile, che lega Cristo alla Chiesa sua sposa, da Lui amata sino alla fine (cfr. Gc 13,1).
Il dono del sacramento è nello stesso tempo vocazione e comandamento per gli sposi cristiani, perché rimangano tra loro fedeli per sempre, al di là di ogni prova e difficoltà, in generosa obbedienza alla santa volontà del Signore: «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19,6).
Testimoniare l’inestimabile valore dell’indissolubilità e della fedeltà matrimoniale è uno dei doveri più preziosi e più urgenti delle coppie cristiane del nostro tempo. Per questo, insieme con tutti i confratelli che hanno preso parte al Sinodo dei Vescovi, lodo e incoraggio tutte quelle numerose coppie che, pur incontrando non lievi difficoltà, conservano e sviluppano il bene dell’indissolubilità: assolvono così, in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere nel mondo un «segno» – un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a tentazione, ma sempre rinnovato – dell’instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù Cristo amano tutti gli uomini ed ogni uomo. Ma è doveroso anche riconoscere il valore della testimonianza di quei coniugi che, pur essendo stati abbandonati dal partner, con la forza della fede e della speranza cristiana non sono passati ad una nuova unione: anche questi coniugi danno un’autentica testimonianza di fedeltà, di cui il mondo oggi ha grande bisogno. Per tale motivo devono essere incoraggiati e aiutati dai pastori e dai fedeli della Chiesa.
21. La comunione coniugale costituisce il fondamento sul quale si viene edificando la più ampia comunione della famiglia, dei genitori e dei figli, dei fratelli e delle sorelle tra loro, dei parenti e di altri familiari.
Tale comunione si radica nei legami naturali della carne e del sangue, e si sviluppa trovando il suo perfezionamento propriamente umano nell’instaurarsi e nel maturare dei legami ancora più profondi e ricchi dello spirito: l’amore, che anima i rapporti interpersonali dei diversi membri della famiglia, costituisce la forza interiore che plasma e vivifica la comunione e la comunità familiare.
La famiglia cristiana è poi chiamata a fare l’esperienza di una nuova e originale comunione, che conferma e perfeziona quella naturale e umana. In realtà, la grazia di Gesù Cristo, «il Primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), è per sua natura e interiore dinamismo una «grazia di fraternità», come la chiama san Tommaso d’Aquino («Summa Theologiae», II· II··, 14, 2, ad 4). Lo Spirito Santo, effuso nella celebrazione dei sacramenti, è la radice viva e l’alimento inesauribile della soprannaturale comunione che raccoglie e vincola i credenti con Cristo e tra loro nell’unità della Chiesa di Dio. Una rivelazione e attuazione specifica della comunione ecclesiale è costituita dalla famiglia cristiana, che anche per questo può e deve dirsi «Chiesa domestica» («Lumen Gentium», 11; cfr. «Apostolicam Actuositatem», 11).
Tutti i membri della famiglia, ognuno secondo il proprio dono, hanno la grazia e la responsabilità di costruire, giorno per giorno, la comunione delle persone, facendo della famiglia una «scuola di umanità più completa e più ricca»: («Gaudium et Spes», 52) è quanto avviene con la cura e l’amore verso i piccoli, gli ammalati e gli anziani; col servizio reciproco di tutti i giorni; con la condivisione dei beni, delle gioie e delle sofferenze.
Un momento fondamentale per costruire una simile comunione è costituito dallo scambio educativo tra genitori e figli (cfr. Ef 6,1-4; Col 3,20s), nel quale ciascuno dà e riceve. Mediante l’amore, il rispetto, l’obbedienza verso i genitori, i figli portano il loro specifico e insostituibile contributo all’edificazione di una famiglia autenticamente umana e cristiana («Gaudium et Spes», 48). In questo saranno facilitati, se i genitori eserciteranno la loro irrinunciabile autorità come un vero e proprio «ministero», ossia come un servizio ordinato al bene umano e cristiano dei figli, e in particolare ordinato a far loro acquistare una libertà veramente responsabile, e se i genitori manterranno viva la coscienza del «dono», che continuamente ricevono dai figli.
La comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione. Nessuna famiglia ignora come l’egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti aggrediscano violentemente e a volte colpiscano mortalmente la propria comunione: di qui le molteplici e varie forme di divisione nella vita familiare. Ma, nello stesso tempo, ogni famiglia è sempre chiamata dal Dio della pace a fare l’esperienza gioiosa e rinnovatrice della «riconciliazione» cioè della comunione ricostruita, dell’unità ritrovata. In particolare la partecipazione al sacramento della riconciliazione e al banchetto dell’unico Corpo di Cristo offre alla famiglia cristiana la grazia e la responsabilità di superare ogni divisione e di camminare verso la piena verità della comunione voluta da Dio, rispondendo così al vivissimo desiderio del Signore: che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).
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