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Familiaris Consortio - Parte Terza - La formazione di una comunità di persone II

Famiglia diventa ciò che sei! 2

Autore: San Giovanni Paolo II

Carissimi Fratelli e Sorelle,
22. In quanto è, e deve sempre diventare, comunione e comunità di persone, la famiglia trova nell’amore la sorgente e la spinta incessante per accogliere, rispettare e promuovere ciascuno dei suo membri nell’altissima dignità di persone, e cioè di immagini viventi di Dio. Come hanno giustamente affermato i Padri Sinodali, il criterio morale dell’autenticità delle relazioni coniugali e familiari consiste nella promozione della dignità e vocazione delle singole persone, le quali si ritrovano nella loro pienezza mediante il dono sincero di se stesse (cfr. «Gaudium et Spes», 24).
In questa prospettiva, il Sinodo ha voluto riservare una privilegiata attenzione alla donna, ai suoi diritti e compiti nella famiglia e nella società. Nella stessa prospettiva vanno considerati anche l’uomo come sposo e padre, il bambino e gli anziani.
Della donna è da rilevare, anzitutto, l’eguale dignità e responsabilità rispetto all’uomo: tale uguaglianza trova una singolare forma di realizzazione nella reciproca donazione di sé all’altro e di ambedue ai figli, propria del matrimonio e della famiglia. Quanto la stessa ragione umana intuisce e riconosce, viene rivelato in pienezza dalla Parola di Dio: la storia della salvezza, infatti, è una continua e luminosa testimonianza della dignità della donna.
Creando l’uomo «maschio e femmina (Gen 1,27), Dio dona la dignità personale in eguale modo all’uomo e alla donna, arricchendoli dei diritti inalienabili e delle responsabilità che sono proprie della persona umana. Dio poi manifesta nella forma più alta possibile la dignità della donna assumendo Egli stesso la carne umana da Maria Vergine che la Chiesa onora come Maria Madre di Dio, chiamandola nuova Eva e proponendola come modello della donna redenta. Il delicato rispetto di Gesù verso le donne che ha chiamato alla sua sequela ed alla sua amicizia, la sua apparizione il mattino di Pasqua ad una donna prima che agli altri discepoli, la missione affidata alle donne di portare la buona novella della Resurrezione agli apostoli, sono tutti segni che confermano la stima speciale del Signore Gesù verso la donna. Dirà l’apostolo Paolo: «Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù… Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo ne donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù)» (Gal 3,26.28).
23. Senza entrare ora a trattare nei suoi vari aspetti l’ampio e complesso tema dei rapporti donna-società, ma limitando il discorso ad alcuni rilievi essenziali, non si può non osservare come nel campo più specificamente familiare un’ampia e diffusa tradizione sociale e culturale abbia voluto riservare alla donna solo il compito di sposa e madre, senza aprirla adeguatamente ai compiti pubblici, in genere riservati all’uomo.
Non c’è dubbio che l’uguale dignità e responsabilità dell’uomo e della donna giustifichino pienamente l’accesso della donna ai compiti pubblici. D’altra parte la vera promozione della donna esige pure che sia chiaramente riconosciuto il valore del suo compito materno e familiare nei confronti di tutti gli altri compiti pubblici e di tutte le altre professioni. Del resto, tali compiti e professioni devono tra loro integrarsi se si vuole che l’evoluzione sociale e culturale sia veramente e pienamente umana.
Ciò risulterà più facile se, come il Sinodo ha auspicato, una rinnovata «teologia del lavoro» porrà in luce e approfondirà il significato del lavoro nella vita cristiana e determinerà il fondamentale legame che esiste tra il lavoro e la famiglia, e, di conseguenza, il significato originale ed insostituibile del lavoro della casa e dell’educazione dei figli («Laborem Exercens», 19). Pertanto la Chiesa può e deve aiutare la società attuale, chiedendo instancabilmente che sia da tutti riconosciuto e onorato nel suo valore insostituibile il lavoro della donna in casa. Ciò è di particolare importanza nell’opera educativa: viene eliminata, infatti, la radice stessa della possibile discriminazione tra i diversi lavori e professioni, una volta che risulti chiaramente come tutti, in ogni campo, si impegnino con identico diritto e con identica responsabilità. Apparirà così più splendida l’immagine di Dio nell’uomo e nella donna.
Se dev’essere riconosciuto anche alle donne, come agli uomini, il diritto di accedere ai diversi compiti pubblici, la società deve però strutturarsi in maniera tale che le spose e le madri non siano difatto costrette a lavorare fuori casa e che le loro famiglie possano dignitosamente vivere e prosperare, anche se esse si dedicano totalmente alla propria famiglia.
Si deve inoltre superare la mentalità secondo la quale l’onore della donna deriva più dal lavoro esterno che dall’attività familiare. Ma ciò esige che gli uomini stimino ed amino veramente la donna con ogni rispetto della sua dignità personale, e che la società crei e sviluppi le condizioni adatte per il lavoro domestico.
La Chiesa, col dovuto rispetto per la diversa vocazione dell’uomo e della donna, deve promuovere nella misura del possibile nella sua stessa vita la loro uguaglianza di diritti e di dignità: e questo per il bene di tutti, della famiglia, della società e della Chiesa.
E’ evidente però che tutto questo significa per la donna non la rinuncia alla sua femminilità né l’imitazione del carattere maschile, ma la pienezza della vera umanità femminile quale deve esprimersi nel suo agire, sia in famiglia sia al di fuori di essa, senza peraltro dimenticare in questo campo la varietà dei costumi e delle culture.
24. Purtroppo il messaggio cristiano sulla dignità della donna viene contraddetto da quella persistente mentalità che considera l’essere umano non come persona, ma come cosa, come oggetto di compravendita, al servizio dell’interesse egoistico e del solo piacere: e prima vittima di tale mentalità è la donna.
Questa mentalità produce frutti assai amari, come il disprezzo dell’uomo e della donna, la schiavitù, l’oppressione dei deboli, la pornografia, la prostituzione – tanto più quando viene organizzata – e tutte quelle varie discriminazioni che si incontrano nell’ambito dell’educazione, della professione, della retribuzione del lavoro, ecc.
Inoltre, ancora oggi, in gran parte della nostra società, permangono molte forme di avvilente discriminazione che colpiscono ed offendono gravemente alcune categorie particolari di donne, come ad esempio, le spose che non hanno figli, le vedove, le separate, le divorziate, le madri-nubili.
Queste ed altre discriminazioni sono state deplorate dai Padri Sinodali con tutta la forza possibile: chiedo pertanto che da parte di tutti si svolga un’azione pastorale specifica più vigorosa ed incisiva, affinché esse siano definitivamente vinte, così da giungere alla stima piena dell’immagine di Dio che risplende in tutti gli essere umani, nessuno escluso.
25. Entro la comunione-comunità coniugale e familiare, l’uomo è chiamato a vivere il suo dono e compito di sposo e di padre.
Egli vede nella sposa il compiersi del disegno di Dio: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gen 2,18), e fa sua l’esclamazione di Adamo, il primo sposo: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Ibid. 2,23).
L’autentico amore coniugale suppone ed esige che l’uomo porti profondo rispetto per l’eguale dignità della donna: «Non sei il suo padrone – scrive san Ambrogio – bensì il suo marito; non ti è stata data schiava, ma in moglie… Ricambia a lei le sue attenzioni verso di te e sii ad essa grato del suo amore» («Exameron», V,7,19: CSEL 32,I,154). Con la sposa l’uomo deve vivere «una forma tutta speciale di amicizia personale» (Paolo PP. VI, «Humanae Vitae», 9). Il cristiano poi è chiamato a sviluppare un atteggiamento di amore nuovo, manifestando verso la propria sposa la carità delicata e forte che Cristo ha per la Chiesa (cfr. Ef 5,25).
L’amore alla sposa diventata madre e l’amore ai figli sono per l’uomo la strada naturale per la comprensione e la realizzazione della sua paternità. Soprattutto là dove le condizioni sociali e culturali spingono facilmente il padre ad un certo disimpegno rispetto alla famiglia o comunque ad una sua minor presenza nell’opera educativa, è necessario adoperarsi perché si recuperi socialmente la convinzione che il posto e il compito del padre nella e per la famiglia sono di un’importanza unica e insostituibile (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Omelia ai fedeli di Terni, 3-5 [19 Marzo 1981]: ASS 73 [1981], 268-271). Come l’esperienza insegna, l’assenza del padre provoca squilibri psicologici e morali e difficoltà notevoli nelle relazioni familiari, come pure, in circostanze opposte, la presenza oppressiva del padre, specialmente là dove e ancora in atto il fenomeno del «machismo», ossia della superiorità abusiva delle prerogative maschili che umiliano la donna e inibiscono lo sviluppo di sane relazioni familiari.
Rivelando e rivivendo in terra la stessa paternità di Dio (cfr. Ef 3,15), l’uomo è chiamato a garantire lo sviluppo unitario di tutti i membri della famiglia: assolverà a tale compito mediante una generosa responsabilità per la vita concepita sotto il cuore della madre, un impegno educativo più sollecito e condiviso con la propria sposa (cfr. «Gaudium et Spes», 52), un lavoro che non disgreghi mai la famiglia ma la promuova nella sua compattezza e stabilità, una testimonianza di vita cristiana adulta, che introduca più evidentemente i figli nell’esperienza viva di Cristo e della Chiesa.
26. Nella famiglia, comunità di persone, deve essere riservata una specialissima attenzione al bambino, sviluppando una profonda stima per la sua dignità personale, come pure un grande rispetto ed un generoso servizio per i suoi diritti. Ciò vale di ogni bambino, ma acquista una singolare urgenza quanto più il bambino è piccolo e bisognoso di tutto, malato, sofferente o handicappato.
Sollecitando e vivendo una premura tenera e forte per ogni bambino che viene in questo mondo, la Chiesa adempie una sua fondamentale missione: è chiamata, infatti, a rivelare e a riproporre nella storia l’esempio e il comandamento di Cristo Signore, che ha voluto porre il bambino al centro del Regno di Dio: «Lasciate che i bambini vengano a me… perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio» (Lc 18,16; cfr. Mt 19,14; Mc 10,14).
Ripeto nuovamente quanto ho detto all’assemblea generale delle Nazioni Unite il 2 ottobre 1979: «Desidero… esprimere la gioia che per ognuno di noi costituiscono i bambini, primavera della vita, anticipo della storia futura di ognuna delle presenti patrie terrene. Nessun paese del mondo, nessun sistema politico può pensare al proprio avvenire se non attraverso l’immagine di queste nuove generazioni che dai loro genitori assumeranno il molteplice patrimonio dei valori, dei doveri e delle aspirazioni della nazione alla quale appartengono e di tutta la famiglia umana. La sollecitudine per il bambino ancora prima della sua nascita, dal primo momento della concezione e, in seguito, negli anni dell’infanzia e della giovinezza, è la primaria e fondamentale verifica della relazione dell’uomo all’uomo. E perciò, che cosa di più si potrebbe augurare a ogni nazione e a tutta l’umanità, a tutti i bambini del mondo se non quel migliore futuro in cui il rispetto dei diritti dell’uomo diventi piena realtà nelle dimensioni del duemila che si avvicina?» (2 Ottobre 1979).
L’accoglienza, l’amore, la stima, il servizio molteplice ed unitario – materiale, affettivo, educativo, spirituale – per ogni bambino che viene in questo mondo dovranno costituire sempre una nota distintiva irrinunciabile dei cristiani, in particolare delle famiglie cristiane: così i bambini, mentre potranno crescere «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52), porteranno il loro prezioso contributo all’edificazione della comunità familiare e alla stessa santificazione dei genitori (cfr. «Gaudium et Spes», 48).
27. Ci sono culture che manifestano una singolare venerazione ed un grande amore per l’anziano: lungi dall’essere estromesso dalla famiglia o dall’essere sopportato come un peso inutile, l’anziano diventi parte attiva e responsabile – pur dovendo rispettare l’autonomia della nuova famiglia – e soprattutto svolge la preziosa missione di testimone del passato e di ispiratore di saggezza per i giovani e per l’avvenire.
Altre culture, invece, specialmente in seguito ad un disordinato sviluppo industriale ed urbanistico, hanno condotto e continuano a condurre gli anziani a forme inaccettabili di emarginazione, che sono fonte ad un tempo di acute sofferenze per loro stessi e di impoverimento spirituale per tante famiglie.
E’ necessario che l’azione pastorale della Chiesa stimoli tutti a scoprire e a valorizzare i compiti degli anziani nella comunità civile ed ecclesiale, e in particolare nella famiglia. In realtà, «la vita degli anziani ci aiuta a far luce sulla scala dei valori umani; fa vedere la continuità delle generazioni e meravigliosamente dimostra l’interdipendenza del Popolo di Dio. Gli anziani inoltre hanno il carisma di oltrepassare le barriere fra le generazioni, prima che queste insorgano. Quanti bambini hanno trovato comprensione e amore negli occhi, nelle parole e nelle carezze degli anziani! E quante persone anziane hanno volentieri sottoscritto le ispirate parole bibliche che «corona dei vecchi sono i figli dei figli» (Pr 17,6) (Giovanni Paolo PP. II Discorso ai partecipanti all’«International Forum on Active Aging» 5 [5 Settembre 1980]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 539).

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