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Fare la Pasqua

Domenica di Pasqua

Autore: Cardinale Raniero Cantalamessa

È Pasqua. Tutto oggi parla della risurrezione di Cristo, anche il suono festoso delle campane. La nostra spiegazione del Vangelo può dunque essere più breve. Nella seconda lettura, ascoltiamo queste solenni parole di san Paolo:
“Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova… Cristo nostra Pasqua è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”.
Ma che significa “celebrare la festa”, o, come si dice comunemente, “fare la Pasqua”? Pasqua significa passaggio. Per fare davvero la Pasqua bisogna perciò compiere anche noi un passaggio. Sant’Ambrogio dice che Pasqua significa passare “dalla colpa al perdono”. In questo è racchiuso un grande messaggio di liberazione che vogliamo cercare di raccogliere.
La psicologia moderna ha messo in luce che non esiste solo la colpa intesa come peccato; esistono anche i sensi di colpa, o il complesso di colpa. Questi sono, anzi, una delle cause più diffuse di nevrosi, di stati di ansietà, della tristezza e della violenza che c’è nel mondo. Determinano quella che si chiama la “cattiva coscienza”.
Per molte persone fare la Pasqua potrebbe voler dire proprio uscire una buona volta da questo stato, sentirsi finalmente libere, nuove, riconciliate con se stesse e con la vita. I sensi di colpa non fanno male solo a colui che li soffre, ma anche a coloro che gli vivono intorno. Colui che non è in pace con se stesso, che ha una cattiva immagine di sé, tende poi a proiettare negli altri questa stessa immagine; si sente accusato tutto il tempo (mentre è lui stesso che si accusa) e diventa aggressivo. Il senso di colpa, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ha mai reso alcuno più umile, pacifico e amabile.
I sensi di colpa possono essere di due generi assai diversi. Ci sono i falsi sensi di colpa, cioè i sensi di colpa indotti dall’esterno, dalla società e da una falsa educazione, o causati da una coscienza scrupolosa; e ci sono veri sensi di colpa, quelli cioè che hanno avuto origine da oggettivi sbagli e peccati commessi, e che si chiamano comunemente rimorsi di coscienza. Spesso la psicologia non tiene conto di questa distinzione fondamentale e pretende combattere i sensi di colpa, negandoli in blocco. Cerca di eliminare, insieme con il complesso di colpa, anche il senso del peccato.
Si sa che alcuni errori lasciano nell’anima un segno più profondo degli altri e si configurano come veri e propri traumi spirituali. Avviene quando altri hanno riportato un danno grave, economico o morale, dal nostro operato; oppure quando la colpa (per esempio, un adulterio) è rimasta segreta e ci si sente quindi falsi e ipocriti. Per alcune donne, un vero trauma è spesso il ricordo di un aborto. Una di esse, confidava al direttore di una rivista cattolica: “Da quando è accaduto, non faccio che piangere. Vorrei trovare la forza di accostarmi a un confessionale, ma come faccio a chiedere perdono a Dio per un peccato che io stessa non riesco a perdonarmi?”.
Questi sono sensi di colpa che non si rimuovono, se non rimuovendo la loro causa che è, appunto, la colpa. Non, dunque, seppellendoli nell’inconscio e non pensandoci, ma solo mediante un sincero riconoscimento, accompagnato dal pentimento e dalla fiducia nella misericordia di Dio.
La grandezza del messaggio pasquale è che non c’è senso di colpa, vero o falso che sia, giustificato o ingiustificato, dal quale non si possa venire fuori. Nel nostro secolo è stato scritto, da Franz Kafka, un romanzo intitolato Il Processo. In esso si parla di un uomo, un modesto impiegato, che un giorno, senza che nessuno sappia il perché, viene dichiarato in arresto, pur continuando a poter andare al suo lavoro. Comincia un’estenuante ricerca per conoscere i motivi, le imputazioni, le procedure, la giuria. Ma nessuno sa dirgli niente, se non che c’è veramente un processo in corso a suo carico. Finché un giorno, tutti i tentativi andati a vuoto, vengono a prelevarlo e lo conducono all’esecuzione. È la storia simbolica dell’umanità che lotta, fino alla morte, con il senso di un’oscura colpa, di cui non riesce a liberarsi.
Nel corso della vicenda si viene a sapere che vi sarebbero, per quest’uomo, tre possibilità: la assoluzione vera, la assoluzione apparente e il rinvio. La assoluzione apparente e il rinvio, però, non risolverebbero nulla; servirebbero solo a tenere l’imputato in un’incertezza mortale per tutta la vita. Nella assoluzione vera invece “gli atti processuali devono essere totalmente eliminati, scompaiono del tutto dal procedimento; non solo l’accusa, ma anche il processo e persino la sentenza vengono distrutti, tutto viene distrutto”. Ma di queste assoluzioni vere, tanto sospirate, non si sa se ne sia esistita mai alcuna. Ci sono solo voci in proposito, null’altro che “bellissime leggende”. L’opera finisce come tutte quelle di questo autore: con qualcosa che si intravede da lontano, ma che non c’è possibilità alcuna di raggiungere. Come in certi sogni da incubo.
A Pasqua, la Chiesa annuncia ai milioni di uomini che si vedono rappresentati in quell’imputato: la assoluzione vera esiste, non è solo una leggenda, una cosa bellissima ma irraggiungibile. Gesù ha distrutto il “documento scritto della nostra colpa; lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Colossesi 2, 14). Ha distrutto tutto.
“Non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (Romani 8, 1).
Nessuna condanna! Di nessun genere, né interna né esterna! Per quelli che credono in Cristo Gesù! Non c’è colpa, per quanto tremenda, che resista a questa “assoluzione”. Se il vostro cuore vi rimprovera, sappiate che Dio è più grande e generoso del vostro stesso cuore (cfr. 1 Giovanni 3, 20). “Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica!” (Romani 8, 33-34).
Parole, una più sublime dell’altra, quelle che si odono a Pasqua! “Dio giustifica” significa: rende di nuovo giusti e santi al suo cospetto, riabilita, reintegra, proclama una amnistia. Amnistia viene dal greco e significa “non ricordare più” (ha la stessa origine di amnesia). Ma le amnistie umane sono sempre parziali, a metà. Anche quando fa grazia, la giustizia umana non dimentica; si resta schedati, la fedina rimane sporca. Non così Dio. Quando perdona, egli dimentica, cancella, “getta le nostre colpe nel fondo del mare” (Michea 7, 19).
San Paolo diceva che il frutto della Pasqua è fare di noi “una pasta nuova”, azzimi di sincerità e verità, cioè semplici e senza malizia (azzimo è il pane non fermentato). Di questa novità pasquale fa parte, adesso lo sappiamo, il dono di una coscienza in pace, senza più rimorsi.
“Cristo offrì se stesso senza macchia a Dio per purificare la nostra coscienza dalle opere di morte” (Ebrei 9, 14).
Per questo egli è in grado di liberarci ora dalla “cattiva coscienza” e di donarci la “buona coscienza” (Ebrei 10, 22; 13, 18). È forse questo il dono più bello che l’antica e veneranda festa della Pasqua ha da offrire all’uomo moderno, tormentato (e non sempre, abbiamo visto, senza motivo) da tanti sensi di colpa.

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