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Fede, Speranza, Carità

Catechesi sulle virtù teologali nella prospettiva ecumenica

Autore: San Giovanni Paolo II

Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. La fede, la speranza e la carità sono come tre stelle che s’accendono nel cielo della nostra vita spirituale per guidarci verso Dio. Sono, per eccellenza, le virtù ‘teologali’: ci mettono in comunione con Dio e ci conducono a Lui. Esse compongono un trittico che ha il suo vertice nella carità, l’agape, cantata egregiamente da Paolo in un inno della prima Lettera ai Corinzi. Esso è suggellato dalla seguente dichiarazione: ‘Queste sono le tre cose che permangono: la fede, la speranza, la carità. Ma di tutte più grande è la carità’ (13,13).
Nella misura in cui animano i discepoli di Cristo, le tre virtù teologali li spingono all’unità, secondo l’indicazione delle parole paoline ascoltate in apertura: ‘Un solo corpo’, una sola speranza’ un solo Signore, una sola fede’, un solo Dio Padre’ (Ef 4,4-6). Continuando a riflettere sulla prospettiva ecumenica affrontata nella precedente catechesi, vogliamo oggi approfondire il ruolo delle virtù teologali nel cammino che conduce alla piena comunione con Dio Trinità e con i fratelli.
2. Nel brano menzionato della Lettera agli Efesini l’Apostolo esalta innanzitutto l’unità della fede. Tale unità ha la sua sorgente nella parola di Dio, che tutte le Chiese e Comunità ecclesiali considerano come lampada per i propri passi nel cammino della loro storia (cfr Sal 119,105). Insieme le Chiese e Comunità ecclesiali professano la fede in ‘un solo Signore’, Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, e in ‘un solo Dio Padre di tutti’ (Ef 4,5.6). Questa unità fondamentale, insieme a quella costituita dall’unico battesimo, emerge chiaramente dai molteplici documenti del dialogo ecumenico, anche quando permangono su un punto o un altro motivi di riserva. Così si legge, ad esempio, in un documento del Consiglio Ecumenico delle Chiese: ‘I cristiani credono che l’’unico vero Dio’, che si è fatto conoscere ad Israele, si è rivelato in modo supremo in ‘colui che ha mandato’, Gesù Cristo (Gv 17,3); che in Cristo, Dio ha riconciliato a sé il mondo (2 Cor 5,19) e che, mediante il suo Santo Spirito, Dio porta nuova ed eterna vita a tutti coloro che per mezzo di Cristo si affidano a lui’ (CEC, Confessare una sola fede, 1992, n. 6).
Tutte insieme le Chiese e Comunità ecclesiali si riferiscono agli antichi Simboli della fede e alle definizioni dei primi Concili ecumenici. Rimangono, però, certe divergenze dottrinali da superare perché il cammino dell’unità della fede giunga alla pienezza additata dalla promessa di Cristo: ‘Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore’ (Gv 10,16).
3. Paolo, nel testo della Lettera agli Efesini che abbiamo posto ad emblema del nostro incontro, parla anche di una sola speranza alla quale siamo stati chiamati (cfr 4,4). È una speranza che si esprime nell’impegno comune, attraverso la preghiera e l’operosa coerenza di vita, per l’avvento del Regno di Dio. All’interno di questo vasto orizzonte, il movimento ecumenico si è orientato verso mete fondamentali che s’intrecciano tra loro, come obiettivi di un’unica speranza: l’unità della Chiesa, l’evangelizzazione del mondo, la liberazione e la pace nella comunità umana. Il cammino ecumenico ha tratto vantaggi anche dal dialogo con le speranze terrene e umanistiche del nostro tempo, persino con la speranza nascosta, apparentemente sconfitta, dei ‘senza speranza’. Di fronte a queste molteplici espressioni della speranza nel nostro tempo, i cristiani, pur in tensione tra loro e provati dalla divisione, sono stati spinti a scoprire e testimoniare ‘una comune ragione di speranza’ (CEC, Commissione ‘Faith and Order’ Sharing in One Hope, Bangalore 1978), riconoscendone in Cristo il fondamento indistruttibile. Un poeta francese ha scritto: ‘Sperare è la cosa difficile’ la cosa facile è disperare ed è la grande tentazione’ (Ch. Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù, ed. Pléiade, p. 538). Ma per noi cristiani rimane sempre valida l’esortazione di san Pietro a rendere ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15).
4. Al vertice delle tre virtù teologali c’è l’amore, che Paolo paragona quasi a un nodo d’oro che raccoglie in armonia perfetta tutta la comunità cristiana: ‘Sopra di tutto vi sia la carità, che è vincolo di perfezione’ (Col 3,14). Cristo, nella solenne preghiera per l’unità dei discepoli, ne rivela il substrato teologico profondo: ‘L’amore col quale tu, (o Padre), mi hai amato sia in essi e io in loro’ (Gv 17,26). Proprio questo amore, accolto e fatto crescere, compone in un unico corpo la Chiesa, come ci indica ancora Paolo: ‘Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità’ (Ef 4,15-16).
5. L’approdo ecclesiale della carità, e al tempo stesso la sua sorgente inesauribile, è l’Eucaristia, comunione col corpo e sangue del Signore, anticipazione dell’intimità perfetta con Dio. Purtroppo, come ho ricordato nella precedente catechesi, nei rapporti fra i cristiani divisi, ‘a causa di divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica. Eppure noi abbiamo il desiderio ardente di celebrare insieme l’unica Eucaristia del Signore, e questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. Insieme ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di più con un cuore solo’ (Ut unum sint, 45). Il Concilio ci ha ricordato che ‘questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristo, una ed unica, supera le forze e le doti umane’. Dobbiamo pertanto riporre tutta la nostra speranza ‘nell’orazione di Cristo per la Chiesa, nell’amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo’ (UR, 24).

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