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Fortificare l’amore

L'amore nel fidanzamento e nel matrimonio

Autore: José Manuel Martín Q.

«Gli sposi – ricordava san Josemaría – sono chiamati a santificare il loro
matrimonio e a santificare se stessi in questa unione. Commetterebbero
perciò un grave errore se edificassero la propria condotta spirituale
volgendo le spalle alla famiglia o al margine di essa».
Nessuno si sposa per separarsi. Nessuno mette al mondo un figlio per
renderlo infelice. Eppure la realtà mostra ogni giorno situazioni difficili,
non volute, che sembrano negare queste premesse tanto evidenti.
Non c’è dubbio che sposarsi per sempre non è una decisione facile. Come
ogni impegno definitivo, provoca una vertigine esistenziale. Ma una volta
presa con piena coscienza e determinazione, la vertigine scompare e si
trasforma in sicurezza e gioia.
La libertà si è espressa e lo spirito attento scopre allora un nuovo
orizzonte di libertà: non ha senso fermarsi al passato, pensando a tutto
quello che si è lasciato alle spalle; il nuovo futuro che si va scoprendo
offre un panorama di crescita personale che l’anima innamorata si vede
spinta a penetrare. Le redini del nostro amore ormai sono nelle nostre
mani e non sono più affidate al caso delle circostanze.
Naturalmente, non si tratta di un percorso senza spine. Le difficoltà
arriveranno, e si può intuire; ma dopo quel sì che non ammette
ripensamenti, si percepisce anche il coraggio per affrontarle. La vita ha
acquistato un senso e si scopre una nuova missione che getta una luce
mai vista prima sull’intera esistenza.
Alcuni, per paura delle spine, cercano di evitare di amare con tanta
profondità di vita. È comprensibile. L’amore è paradossale, perché, se da
una parte ci rende tanto forti da affrontare i dilemmi, gli ostacoli e i
conflitti che potrebbero presentarsi durante il cammino, dall’altra ci
rende fragili, abbandona alle intemperie i nostri punti deboli. Chi ama si
espone al dolore, perché coloro che noi amiamo hanno anche la capacità
di far soffrire.
Alcune tecniche o filosofie orientali propongono una strada diversa: non
sentire e non soffrirai. Tuttavia, l’assenza di dolore non equivale alla
felicità. Colui che ama diventa vulnerabile, è vero; ma, in un matrimonio
autentico, la vulnerabilità, essendo reciproca, si può accettare senza
paura: mi dono al mio coniuge e so che il mio coniuge si dona a me. La
mia vulnerabilità acquista forza nelle sue mani e la sua donazione diventa
forte nelle mie.
La prima condizione per superare le difficoltà nella vita matrimoniale è
quella di non stupirsi se prima o poi arrivano. È un terreno per il quale un
giorno o l’altro il nostro amore dovrà transitare. Come accade in
un’ascensione in montagna, quando si ha chiara la meta, le difficoltà non
sono estranee all’impresa, ne fanno parte, e la sfida consiste nel mettere
intelligenza e fortezza per superarle. Come ha detto Papa Francesco,
quelli che affrontano così il matrimonio sono «uomini e donne,
coraggiosi abbastanza per portare questo tesoro nei “vasi di creta” della
nostra umanità» e costituiscono «una risorsa essenziale per la Chiesa, e
anche per tutto il mondo!.
Le difficoltà che si possono presentare nella vita coniugale e familiare
possono dividersi in tre gruppi: quelle dovute all’ambiente circostante,
quelle che provengono dai figli e quelle che riguardano direttamente la
coppia di coniugi. La strada che suggerisco per superarle è la stessa nei
tre casi: unità. Unità familiare, unità coniugale e unità personale.
Per ambiente circostante mi riferisco qui all’ambito prossimo alla
famiglia, ma da essa differente. Possono essere problemi di lavoro o
economici, la malattia di un padre o di una madre, controversie tra
famiglie o tra amici.
Il criterio sicuro per affrontare queste difficoltà, che per la loro diversità
non ammettono soluzioni uniformi, è l’unità familiare. Il modo migliore
di affrontarle è quello di inserirle nella dinamica familiare. Non
permettere che agiscano come un fattore esterno di destabilizzazione
personale.
Nella famiglia, le gioie si moltiplicano e le pene si dividono. Quando la
minaccia è esterna alla famiglia, è la famiglia intera che deve affrontarla,
ognuno contribuendo, al livello e dalla prospettiva che gli compete, la
propria particolare considerazione e il proprio sostegno. L’unità familiare
agisce, inoltre, come limite e criterio per qualunque proposta, soluzione o
chiarimento che occorra.
Non poche volte queste difficoltà diventano un terreno particolarmente
propizio per l’educazione delle virtù indispensabili alla crescita personale:
fiducia, umiltà, sobrietà, aiuto reciproco…
Quando i problemi provengono dai figli, la soluzione è sempre legata
all’unità coniugale. Per lunghi periodi i figli possono trasformarsi in una
continua sorgente di conflitti coniugali.
Quando si hanno problemi con i figli, la prima preoccupazione deve
essere il nostro coniuge. Per prima cosa occorre aumentare il nostro
amore. Qualsiasi cosa succeda con un figlio, la via più sicura per aiutarlo
a superare il suo problema personale è che si accorga, con la maggior
evidenza possibile, dell’amore che i suoi genitori hanno l’uno per l’altro,
oltre naturalmente a quello che hanno per lui.
Poi verranno i consigli, le tecniche, il dialogo continuo tra i coniugi,
l’impegno reciproco, l’analisi serena, l’aiuto di specialisti e tutto il resto.
Però la prima condizione per dare sicurezza e criterio a nostro figlio è
l’amore reciproco dei genitori.
Se i nostri figli colgono in maniera chiara e convincente, quasi
materialmente, questa priorità (più importante di tutti è tuo padre; più
importante di tutti è tua madre), avremo posto le basi per affrontare
efficacemente il problema, di qualunque natura esso sia.
“Il regalo più prezioso che mi ha fatto il matrimonio è stato quello di
farmi fare continue liti con qualcosa di molto vicino e intimo, ma nello
stesso tempo inevitabilmente altro e resistente, in una parola, reale”,
afferma C.S. Lewis. Può arrivare il momento in cui la relazione coniugale
si intorbidisce o s’irrigidisce. Circostanze diverse possono contribuire con
maggiore o minore intensità ed estensione. Certe volte una piccola goccia
– forse quella che fa traboccare il vaso – scatena la burrasca: “Una coppia
di coniugi che comincia a discutere, a litigare… Il marito e la moglie non
hanno mai ragione quando litigano. Il nemico della fedeltà coniugale è la
superbia”.
Unita personale qui equivale ad autenticità di vita; integrità di vita
intellettuale, volitiva, emotiva, biografica. Qualunque sia la difficoltà che
si presenta nella relazione coniugale, occorre respingere la tentazione di
piantarla con ciò che siamo, con ciò che ci siamo scelti. Rifarsi la vita, sì,
ma con i nostri stessi materiali, non con quelli dell’altro o dell’altra.
L’impegno matrimoniale ci ha trasformati in maniera radicale e ormai
non dovrebbe essere immaginabile la nostra vita senza di lei o senza di
lui.
Così deve essere sempre. Con una visione ampia, magnanima, con
generosità di spirito. Non importa fare un po’ di scena con il coniuge, e
forzare la propria donazione quando il sentimento non ci segue. Come
ricordava san Josemaría, riferendolo a Dio, abbiamo il migliore
spettatore possibile per questa umile interpretazione. Nostra moglie,
nostro marito, e il sentimento, se si sa come invocarli, ritornano sempre.
Fortificare l’amore vuol dire renderlo attuale. Scegliere ogni giorno le
persone che amiamo: oggi le hai voluto bene? Lo ha notato? E poi
ritornare a noi stessi; c’è soltanto una persona che può aiutare a
migliorare la relazione: io stesso. Sono io che devo cambiare; e allora, con
il nuovo modo di vedere che la mia trasformazione mi concede, devo
aiutare lui, o lei, a farlo. Chi deve fare il primo passo? La risposta non è
nuova: chi vede il problema; quindi, proprio io.
Una virtù e un modo fare s’intravedono necessariamente quando si tratta
di rinnovare l’amore: l’umiltà e il perdono. L’umiltà di riconoscere i
propri errori, l’umiltà di chiedere aiuto se necessario, l’umiltà di chiedere
perdono, l’umiltà di concedere il perdono e l’umiltà di accettare di essere
perdonati. Deve essere un perdono umile, non borioso, generoso,
comprensivo e opportuno, che sappia dire senza profferire parola: “Ho
bisogno di te per essere me stesso”, come ha lasciato scritto Jutta
Burggraf .

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