Gesù parla di sé a Maria Cecilia Baij (II)
Estratti dal libro “Vita interna di Gesù Cristo”
Autore: Suor Maria Cecilia Baij
Esercizi e lodi divine
Devi sapere ancora che mentre io mi trattenni in quella parte della Galilea con i miei quattro discepoli, non tralasciai giammai i miei soliti esercizi di orazione, di recitare le lodi divine al mio divin Padre, e lo facevo fare ancora ai miei discepoli, in particolare l’orazione, molto necessaria per essi, nella quale loro insegnai a domandare in essa tutte le grazie ad essi necessarie. L’istruii nel modo di ben orare. Molto ci volle perché si assuefacessero a far detta orazione, non essendone essi capaci in modo alcuno. E tutti stavano attenti ad udir le mie parole. Ma io volevo che orassero anch’essi al Padre mio, e perciò pregai il Padre ad illuminare le loro menti in tempo che stavano orando, ed a comunicare alle anime loro il suo spirito e far loro sentire e gustare la sua soavità, perché si affezionassero vieppiù a sì santo esercizio. Ed il Padre esaudiva le mie suppliche, mentre faceva ad essi sentire e gustare la soavità e dolcezza di quella manna che in sì santo esercizio si contiene. Perciò si affezionarono molto all’orazione, e per mezzo della medesima ricevevano grandi lumi dal Padre mio, che abbondantemente comunicava alle anime loro il suo spirito e far loro sentire e gustare la sua soavità, perché si affezionassero vieppiù a sì santo esercizio. Ed il Padre esaudiva le mie suppliche, mentre faceva ad essi sentire e gustare la soavità e dolcezza di quella manna che in sì santo esercizio si contiene. Perciò si affezionarono molto all’orazione, e per mezzo della medesima ricevevano grandi lumi dal Padre mio, che abbondantemente comunicava loro il suo spirito, e con ciò più chiaramente conoscevano la persona mia e le virtù che io predicavo, e si accendevano nel desiderio di perfettamente imitarmi, come poi fecero. Desideravo io che tutti i miei fratelli praticassero un sì santo esercizio, perché per mezzo di questo avrebbero ricevuto grandi lumi dal mio divin Padre, ed avrebbero conosciuto tutto ciò che devono operare per la loro eterna salute; avrebbero ancora, per mezzo di detta orazione, ottenuto dal Padre mio tutte le grazie che avessero domandate. Perciò io tanto l’inculcai ai miei discepoli, e l’insegnai, per mezzo loro, anche a tutti i miei fratelli, come ti dirò a suo luogo. Perciò non mancavo di pregare anche per tutti il Padre mio, acciò dispensasse le sue grazie a tutti quelli che avessero praticato un sì santo esercizio. E vedendo che i miei fratelli sarebbero stati sì negligenti e trascurati in detto esercizio, ne intesi pena, ed offrii al Padre mio la mia continua orazione in supplemento di quanto in ciò essi mancano, e per detta offerta lo pregai a dare a tutti un vero sentimento e spirito di orare. Me lo promise il Padre, e difatti vidi, come molti si sarebbero in ciò segnalati, ed avrebbero ottenuto molte grazie, per mezzo di detta orazione, e sarebbero giunti a gran perfezione e santità di vita. Di ciò ne godei molto, si per il bene loro, come per il compiacimento del mio divin Padre, perché gode di comunicarsi alle anime e di infondere in esse il suo spirito. E questo lo fa con le anime oranti.
Nel mettere la tunica
Essendo arrivato in età competente, dissi alla Madre mia, che mi levasse dai legami delle fasce, essendo stato di già abbastanza quivi legato. Si compiacque la diletta Madre di eseguire quanto io le avevo richiesto, e postomi una tunicella ben povera, che aveva intessuta con le sue mani, mi vestì, restando io libero e sciolto da quei legami, che invero mi si rendevano molto penosi per aver tutto l’uso di ragione e cognizione perfetta, che suol avere un uomo avanzato nell’età. Vestito ch’io fui, giunte insieme le mani, e piegate in terra le ginocchia, ringraziai il padre mio, che si fosse degnato sciogliermi da quei legami, e mi avesse provvisto di vestimento. Feci in questa occasione molte suppliche e molte offerte al Padre mio, in pro de’ miei fratelli. In primo luogo, lo pregai, che siccome si era degnato di sciogliere me da quei legami, così si degnasse sciogliere dai legami del peccato tutte quelle anime miserabili, che si trovano inviluppate tra le colpe, e poi rivestirle della sua grazia. Poi gli offrii quel primo atto di orare così genuflesso in terra, e lo pregai, che, in virtù di quell’atto a Lui tanto grato e di tanto suo compiacimento, si degnasse di dare virtù a tutti i miei fratelli, acciò possano esercitare e praticare un tal atto ed un tal modo di orare, a Lui tanto accetto e gradito; e lo pregai che chi gli avesse domandata qualsivoglia grazia in quella forma prostrato, non gliel’avesse negata; tanto più se gliel’avesse domandata a nome mio e per i meriti miei. Dippiù lo pregai, che si fosse degnato di farmi vedere tutte le nazioni così prostrate alla presenza sua, ed adorare Lui come vero Dio e Signore di tutto il creato. A queste mie suppliche condiscese benignamente il Padre mio, ed allora disse quelle parole: – Hic est Filius meus dilectus, in quo mihi complacui. – Fu inteso però solo dalla mia diletta Madre, essendo quivi Lei sola ad assistere la persona mia. Domandai poi licenza al Padre mio, come suo vero ed obbediente Figlio, di servirmi di tutte le mie membra e sensi, ma in tutto e per tutto in far cose di suo volere e servizio e maggior gloria. Mi concesse il tutto il Padre mio, ed io con la sua benedizione mi alzai.
I primi passi
Ed incominciai a formare i primi passi, che erano da fanciullo tenero, e quasi tremolanti. L’offerii al Padre mio, e lo pregai, che in virtù di quei miei passi, formati per sua gloria, avesse dato tanta forza e virtù a tutti i miei fratelli di incamminarsi alla perfezione, e di reggere e regolare i loro passi in modo tale, che non li facessero mai in disgusto del Padre mio ed in pregiudizio delle anime loro, ma solo per sua gloria e per adempire la volontà sua, e per loro profitto spirituale.
Le prime parole
Formai poi le prime parole, che fu in presenza della mia diletta Madre e di Giuseppe suo sposo. Come era stato ancora del camminare, le mie prime parole furono in lode del Padre mio. E le proferii con tanta grazia ed amabilità, che la diletta Madre con Giuseppe si disfacevano in lagrime di consolazione. Dopo poi salutai ambedue, e li ringraziai di quanto avevano operato e patito per amor mio. Mi esibii tutto ai loro comandi, sottomettendomi in tutto e per tutto alla loro obbedienza, dichiarandomi di voler vivere loro soggetto tutto il tempo che io sarei dimorato con essi loro. Dopo poi mi ritirai in disparte, di nuovo ad orare, e questo poi era il mio continuo esercizio: cioè, piegar le ginocchia ed orare al Padre mio. Offrii al Padre mio quelle mie prime parole e quelle lodi che io gli avevo dato, e lo pregai, che, per quel compiacimento che Lui ne aveva avuto, si fosse degnato di perdonare a tutti i miei fratelli, che con questo sentimento l’avessero offeso, e si degnasse di benedire e santificare le loro lingue, acciò non si sciolgano in proferir parole di offesa sua e dei loro prossimi; e che per quelle parole mie, tanto a Lui grate, si degnasse di restar placato con i miei fratelli, mentre era molto sdegnato con essi, per la gravezza delle offese che riceveva, più per mezzo di questo sentimento che di tutti gli altri. Restava placato il Padre mio, ma mi faceva vedere la moltitudine e gravezza delle offese che riceveva dai miei fratelli con questo senso. O sposa mia! che gran moltitudine di offese riceve il Padre per mezzo di questo senso! In verità, che quasi tutti se ne servono per tutt’altro, che per il fine per il quale il Padre mio gliel’ha dato. Oh! quanto mi affliggeva questa grand’offesa che facevano e fanno tutti i miei fratelli al Padre mio! Vedere che avendo Lui dato loro l’uso della lingua perché lo lodino, lo benedicano e lo ringrazino, e l’insegnino a fare a tutti in simile modo, essi per contrario, con questo senso l’offendono con mormorazioni, con detrazioni, con spergiuri, con bestemmie, con ingiurie, ed altre cose simili. Oh! che cosa mostruosa si è mai questa che fanno le creature. Oh! quanto, sposa mia, mi affliggeva la gravezza di queste colpe e la moltitudine di esse! Piangevo dirottamente una tal iniquità, e mi offrivo ed esibivo al Padre mio di volerlo in eterno lodare, benedire, e ringraziare, e di soddisfare a nome di tutti e per parte di tutti i miei fratelli, che in questo avessero errato. Accettava e gradiva molto il Padre mio queste offerte e suppliche, e si dimostrava alquanto placato verso de’ miei fratelli, e mi prometteva di sospendere il meritato castigo per siffatte colpe, e di aspettarli a penitenza. E con questo poi mi andavo alquanto consolando, e mi applicavo molto più a supplicare il Padre mio per essi, e ad offrirgli tutte le opere mie in soddisfazione delle loro colpe e in impetrazione di grazie.
La preghiera di Gesù
Lo pregavo ancora, che siccome si era degnato di provvedermi di quella povera veste, con cui io ero vestito, egli si degnasse di vestire le anime con la veste della sua grazia, sciogliendole prima da ogni legame di colpa. Era invero, sposa mia, cosa di gran meraviglia il vedermi, così piccolo bambinello, vestito con quella veste, con le mani giunte e con le ginocchia in terra, pregare il Padre mio! Stavano quivi ammirati gli angelici spiriti, la mia diletta Madre con Giuseppe si disfacevano in lacrime per la compassione e per la gioia che provavano nel rimirarmi. Il Padre mio, poi mi riguardava con tanto amore, come un ricco tesoro della sua divinità, e come soggetto, dove aveva collocato tutti i tesori della sua ricchezza e bontà. E spesso mi diceva per consolarmi, quando mi vedeva in quella positura così afflitto, mesto e così umiliato mi ripeteva sovente: – Chiedi pure, amato Figlio, ciò che brami da me, che io son pronto a darti tutto ciò che vuoi. – Postula a me, et dabo tibi gentes haereditatem team. – Queste parole mi apportavano una gran consolazione. Ed io allora, animato dalla bontà e liberalità del Padre mio, gli domandavo istantaneamente la salute del genere umano. Ed allora ìl Padre mio mi prometteva di dar tanta grazia a tutti, che volendo essi fare ciò che si spetta alla loro salute, ognuno si fosse potuto salvare; facendomi ben conoscere che chi non si salva si è perché, infatti, non vuol salvarsi, non che il Padre mio manchi di dare a tutti una grazia sufficiente, avendola a me promessa, e praticandolo, con tutta liberalità. Tanto più che mi affliggevo in vedere la moltitudine delle anime che abusano di detta grazia, la quale io loro avevo ottenuta con tante suppliche e sospiri, e poi esse proprio esser causa della loro perdizione. Ringraziavo il Padre mio della sua gran bontà e liberalità, e di nuovo mi offrivo a Lui, e lo pregavo che si adempisse il suo volere, che di già conoscevo: che era, che tutte le creature si fossero salvate, e che tutte fossero state perfette e sante. Ma quanto è poco adempita questa volontà del Padre mio, mentre la maggior parte procura di fare il contrario. Questo mi affliggeva molto. Mi consolavo però, in far io perfettamente la volontà sua, e gli offrivo questa mia prontezza di volontà, in eseguire tutto ciò che voleva da me, in supplemento di tutti quelli che non vogliono in modo alcuno eseguire il suo santo volere, e con questo tolgono al Padre mio la gloria e l’onore, ed a se stessi il premio. Onde restava a sufficienza onorato e glorificato il Padre mio per le offerte che gli facevo io, e solo restavano le anime prive del merito e del bene, che ad esse ne risulterebbe quando adempissero la divina volontà.
Li invita a lodare e benedire il Padre
Sceso già dal Tabor e ritrovati quivi i miei apostoli, fui da essi accolto con insolita allegrezza. E tutti mi incominciarono a narrare, come si erano sentiti riempire di una insolita alleggrezza e consolazione interna. Li stavo ad udire con molto gusto e li animai dicendo loro, che siccome godevano di vedersi consolati, così avessero anche goduto, quando si sentivano afflitti, pensando che il divin Padre tutto dispone con altissima provvidenza, e tutto permette per loro bene e profitto spirituale, e che quando permette le afflizioni, non tarda molto a consolare chi a Lui ricorre con fiducia, e chi di Lui si fida. E loro andavano replicando, che quando si sarebbero trovati afflitti e travagliati, non avessero mancato di far ricorso al divin Padre, il quale li amava teneramente ed aveva cura particolarmente di tutti loro.
A queste ed altre cose che io loro andavo insinuando, si disfacevano in lagrime i miei apostoli, parte per la consolazione interna che sentivano, e parte per udire le mie parole, le quali apportavano ad essi una sempre nuova allegrezza e consolazione. Ed io li esortavo sempre a lodare e benedire il divin Padre, come autore di ogni bene e di ogni consolazione che a loro veniva data da me.
Pregai ancora il divin Padre ad ispirare a tutti i miei fratelli, quando da Lui sono consolati, a riconoscere il beneficio delle sue mani, a mostrarglisi grati, con ringraziarlo, benedirlo e lodarlo; siccome ancora quando sono afflitti e travagliati, a prendere il tutto con pazienza dalle divine sue mani, e di questo ancora rendergli grazie, mentre il tutto è ordinato a lor maggior profitto spirituale. E vidi, come il Padre l’avrebbe fatto, e che molti si sarebbero approfittati della divina ispirazione, e che facendolo avrebbero dato molto gusto al divin Padre. E di ciò godei molto, benché provai dell’amarezza, per vedere, come molti si sarebbero serviti della detta grazia in tempo delle consolazioni, ma non già in tempo delle afflizioni: mentre allora si sarebbero inquietati e non dando orecchio alla divina ispirazione, avrebbero del tutto perso la pazienza, lamentandosi dell’amorosa mano che li percuote per sanarli. Per il che disgustano il divin Padre, ed essi perdono il merito che in tal occasione acquisterebbero, se ricevessero il tutto con pazienza, e ne rendessero grazie al Padre celeste. Orai di nuovo per tutti costoro al Padre, e lo pregai del suo aiuto, e che accrescesse in essi i suoi divini lumi, e vidi che per questa nuova grazia, molti se ne sarebbero approfittati. Ed io intesi consolazione e ne resi grazie al Padre, benché non mancò a me dell’amarezza, per vedere come molti si sarebbero abusati anche di questa nuova grazia.
Già tu senti, sposa mia, come a me non mancarono mai amarezze per vedere l’abuso delle grazie, che i miei fratelli avrebbero fatto, con tutto ciò non lasciai mai di pregare continuamente il divin Padre, a compartirne loro di nuovo. Né mai mi stancai di pregare per essi, ed offrii questa mia perseveranza nel pregare per gli ingrati, al divin Padre, e lo pregai che si fosse degnato di dare un tal dono di perseveranza nel pregare per tutti i suoi prossimi, a tutti quelli che in questo particolare mi imitano. E vidi, come il Padre l’avrebbe data loro. E di ciò godei, si per il gusto che ne sente il Padre, come per l’utile che ne risulta, tanto ad essi, come a tutti quei prossimi per i quali essi pregano.