San Giovanni Paolo II il Papa che ha cambiato la storia
Famiglia, misericordia e un ricordo personale del Cardinale Angelo Comastri
Autore: Cardinale Angelo Comastri
Chi era Giovanni Paolo II –
Incontrai per la prima volta il Papa Giovanni Paolo II in udien- za privata nel marzo del 1991. Io ero vescovo da pochi mesi, non avevo la relazione quinquennale, pertanto il colloquio fu molto libero. Ad un certo punto la conversazione si stava spe- gnendo, allora mi venne un’idea. Dissi: “Padre Santo, le posso fare una domanda indiscreta?”. Mi guardò e fece: “Faccia la domanda indiscreta”. Io chiesi: “Ma come ha fatto a tornare in Piazza san Pietro dopo l’attentato? Io avrei avuto tanta paura”. Mi rispose testualmente: “E lei pensa che io non abbia avuto paura? Si ricordi che i coraggiosi non sono quelli che non han- no paura, ma quelli che, pur avendo paura, vanno avanti nella missione che Gesù ha loro affidato”.
Mi colpirono tanto queste parole.
Poi l’ultimo incontro. Era il primo aprile 2005, il giorno pri- ma della morte. Il Papa era adagiato sul letto, un sacerdo- te leggeva in polacco qualcosa. Io non capivo cosa stesse leggendo quel giovane sacerdote; chiesi a don Stanislao: “Cosa sta leggendo?”. Mi disse: “Sta leggendo il racconto del- la morte di Gesù. Perché il Papa vuol morire mentre gli si leg-
ge il racconto della morte di Gesù”.
Mi commossero tanto queste parole.
Chiesi a suor Tobiana. “Ma suor Tobiana perché il Papa si è af- facciato mercoledì scorso in queste condizioni?”. Suor Tobiana mi disse: “Appena si svegliò mercoledì cominciò a dire Oggi è mercoledì. E tutti capimmo che cosa avesse per la testa. Dopo un’ora il Santo Padre ripeté Oggi è mercoledì. Mi alzo. Chiamammo il medico che disse Padre Santo non si può alzare, in queste condizioni, assolutamente non può. Irremovibile. “Mi alzo, perché la gente viene e io non voglio deluderla”.
Guardate, queste parole sono un capolavoro.
Sono la storia di un uomo che si è speso totalmente per la sua missione.
Eccole, le conseguenze!!
L’8 aprile 2005 – 14 anni fa – tantissimi di noi eravamo in Piazza San Pietro per dare l’ultimo saluto a Giovanni Paolo II, 264° Pontefice della Chiesa Cattolica.
I nostri occhi, umidi di pianto, osservavano attoniti – lo ricordate? – osservavano l’Evangeliario posto sulla semplice bara di rovere, collocata al centro del sagrato. Un vento improvviso, tra lo stupore di tutti, cominciò a sfogliare le pagine del libro.
Tutti in quel momento ci chiedevamo: “Chi era Giovanni Paolo II? Perché l’abbiamo così tanto amato?”.
Ebbene, la mano invisibile che sfogliava l’Evangeliario sembrava dire: “La risposta è nel Vangelo! La vita di Giovanni Paolo II è stata una continua obbedienza al Vangelo di Gesù: per questo – ci diceva il vento! – per questo lo avete amato! Avete riconosciuto nella sua vita il Vangelo di sempre: il Vangelo che ha dato luce e speranza a generazioni e generazioni di cristiani!”
Nei giorni precedenti, tra il 2 aprile – giorno della sua morte – e l’8 aprile – giorno dei funerali – il corpo venne esposto in San Pietro per l’ultimo saluto. Una folla oceanica attendeva anche 24 ore intere in piedi in coda per poter dare l’ultimo saluto al Papa della loro vita. Io ero Arciprete della Basilica Vaticana, ero lì presente, anche la notte.
La seconda notte, era il 4 aprile, un signore mi fa cenno con la mano di avvicinarmi alla transenna.
Mi avvicino e chiedo: “Scusi, cosa desidera?”
“Mi faccia – mi risponde – mi faccia baciare i piedi del Papa”.
“Ma non è possibile. Assolutamente. Qui se apriamo la tran- senna, c’è un fiume di gente che scavalca!”.
“No, mi faccia baciare i piedi del Papa. Me lo permetta. Me lo permetta, perché io avevo perso la fede. L’ho ritrovata guardando la fede di quell’uomo”.
Chiamai il gendarme, aprimmo la transenna. Quell’uomo lo vedo ancora, si avvicina al Papa, bacia i piedi, lo vedo in gi- nocchio con le spalle che sussultano per l’emozione. Si alza, mi dice: “Grazie”. Non so chi sia.
La notte successiva, ero ancora in Basilica. Ad un certo punto si presenta la stessa scena della sera precedente. Questa volta era un giovane. Mi fa cenno.
Mi avvicino e gli dico: “Cosa desideri?”.
“Guardi – mi risponde il giovane – mi permetta di baciare la mano di Giovanni Paolo II”.
“Vediamo un po’” risposi. Chiamai il gendarme.
Si avvicinò e io chiesi al giovane. “Ma perché vuoi toccare il braccio di Giovanni Paolo II”. Il giovane mi mostrò il braccio, mi fece vedere tutti i tatuaggi e anche i segni di uso di droghe e mi disse: “Padre, io ho 26 anni ma sono vecchio. Lui era giovane! M’ha richiamato alla vita!”.
Questo era Giovanni Paolo II. Non ho altro da aggiungere.
Il Papa che ha cambiato la storia
Quando per la prima volta vedemmo Giovanni Paolo II af- facciarsi alla Loggia centrale di san Pietro lo avevamo intuito. Dopo quel “se sbaglio mi corriggerete” avevamo un presentimento. Nel cuore. Di trovarci di fronte ad un Papa santo, che con l’amore e l’esempio di vita avrebbe fatto crollare muri, costruito ponti. In una parola, avrebbe cambiato la storia.
Oggi sappiamo che quel presentimento fu un’ispirazione, perché la Chiesa, ufficialmente, ha riconosciuto la santità di Giovanni Paolo II: e noi esultiamo e ringraziamo coralmente Dio, artefice instancabile di santi.
Ma ricordando le parole di Giovanni Paolo II: “I santi non ci chiedono di applaudirli, ma di imitarli”, doverosamente ci domandiamo: “Che cosa ci insegna la santità di questo straordinario discepolo di Gesù nel secolo ventesimo?”.
La prima risposta è immediata: Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di testimoniare apertamente la fede in Gesù in un’epoca di “apostasia silenziosa da parte dell’uomo sazio, che vive come se Dio non esistesse” (Ecclesia in Europa, 9).
E la mancanza di fede svuota di significato la vita umana. Mi limito a ricordare la conclusione drammatica delle scrittore svedese Stig Dagerman. A 33 anni, nel culmine del successo, si è suicidato il 4 novembre 1954. Sulla sua scrivania lasciò un fo- glio sul quale aveva scritto: “Mi manca la fede e quindi non potrò mai essere un uomo felice, perché non sarà mai felice colui che pensa che la vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa”.
E Indro Montanelli, poco prima di morire confidò: “Se deb- bo chiudere gli occhi, senza sapere da dove vengo e dove vado e che cosa sono venuto a fare su questa terra, valeva la pena che aprissi gli occhi? La mia – conclude Montanelli – è una dichiarazione di fallimento!”.
Per questo motivo, la sera del 16 ottobre 1978, appena eletto Papa, affacciandosi alla loggia della facciata della Ba- silica, Giovanni Paolo II gridò: “Sia lodato Gesù Cristo!”. Era la sua fede, era lo scopo della sua vita, era l’incipit del suo pontificato. E, il 22 ottobre, pochi giorni dopo, con voce decisa e convinta, lanciò questo invito: “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”. In queste parole c’è tutta la vita di Giovanni Paolo II.
Il 3 aprile 2006, sempre in piazza San Pietro, Benedetto XVI parlando del suo predecessore esclamò: “Il compianto pontefice, passando attraverso il crogiolo delle fatiche apostoliche e della malat- tia, è apparso sempre di più una ‘roccia’ nella fede. Chi ha avuto modo di frequentarlo da vicino ha potuto quasi toccare con mano quella sua fede schietta e salda, che, se ha impressionato la cerchia dei suoi collaboratori, non ha mancato di diffondere, durante il lungo pontificato, il suo benefico influsso in tutta la Chiesa, in un crescendo che ha raggiunto il suo culmine negli ultimi mesi e negli ultimi giorni della sua vita. Una fede convinta, forte e autentica, libera da paure e compromessi”.
Così ha testimoniato Benedetto XVI
E Papa Francesco, nel giorno della Canonizzazione, il 27 aprile 2014, nell’omelia ha affermato: “Giovanni Paolo II ha col- laborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa”.
Giustamente, pertanto, durante la malattia di Giovanni Paolo II, un giornalista francese fece questa acuta riflessione: “Mentre il Papa diventava meno efficiente nel corpo, la sua testimo- nianza diventava più efficace: la sua fede brillava come una lampada nella notte”.
Oggi, dopo 100 anni dalla sua nascita, siamo qui per racco- gliere l’eredità e l’esempio della sua fede coraggiosa. Quale eredità e quale esempio?
Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di difendere la famiglia, che è un progetto di Dio scritto a chiare note nel libro della vita: ha difeso la famiglia mentre si stava diffondendo confusione e pubblica aggressione verso la famiglia, nel tentativo folle di scrivere una antigenesi, un controprogetto del Creatore. Nella Esortazione Apostolica “Familiaris Consortio”, Giovanni Paolo II lucidamente disse: “In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla o comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia, sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia”. (Familiaris Consor- tio, 86).
E dopo un periodo di degenza in ospedale, alla preghiera dell’Angelus, il 29 maggio 1994, disse: “Io vorrei che, attraverso Maria, sia espressa oggi la mia gratitudine per questo dono della sofferenza. Ho capito che è un dono necessario. E ho capito che devo introdurre la Chiesa di Cristo in questo Terzo Millennio con la preghiera, con diverse iniziative, ma ho visto che non basta: bisogna introdurla con la sofferenza, con l’attentato di tredici anni fa e con questo nuovo sacrificio.
Perché, adesso, perché in questo anno, perché in questo Anno della Famiglia? Appunto perché la famiglia è minacciata, la famiglia è aggredita. Allora deve essere aggredito il Papa, deve soffrire il Papa, perché ogni famiglia e il mondo vedano che c’è un Vangelo superiore: il Vangelo della sofferenza, con cui si deve preparare il futuro, il terzo millennio delle famiglie, di ogni famiglia e di tutte le famiglie”.
Queste parole mi commossero profondamente e sono attualissime, perché, come ha affermato Papa Francesco nel 2016 in Georgia: “È in atto una guerra mondiale contro la famiglia”.
Non possiamo restare inerti e indifferenti, perché la famiglia è un bene prezioso per tutti. Sia ben chiaro che la famiglia, in prima istanza o, se volete, in prima lettura non è un bene strettamente religioso, ma è un bene che appartiene a tutta l’umanità: credente e non credente.
Anche un ateo deve riconoscere che l’uomo e la donna sono correlativi (cioè, fatti l’uno per l’altra); anche un ateo deve riconoscere che la vita umana, così come è scritta nel libro della vita, deve nascere dall’uomo e dalla donna perché la cellula umana è necessariamente composta da 46 cromosomi: e 23 sono di derivazione paterna e 23 di derivazione materna; anche un ateo deve riconoscere che la vita umana nasce fragile e ha bisogno della protezione affettiva stabile del padre e della madre fin dal grembo materno (il bambino, infatti, fin dai primi mesi, percepisce l’armonia affettiva dei genitori).
A conferma, posso testimoniare che conosco diverse persone non credenti che difendono la famiglia e vivono la fedeltà nella famiglia. Permettetemi che, a questo punto, vi confidi quanto mi disse, in occasione del Natale 1970, un giovane detenuto del Carcere di Regina Coeli, dove ho svolto il mio ministero sacerdotale per sei anni.
Due giorni prima di Natale, il giovane detenuto mi confidò:
“Ogni volta che si avvicina il Natale io divento triste perché il Natale è la festa della famiglia e mi ricorda che io non ho avuto una famiglia. Io sono figlio di una prostituta e non conosco mio padre: sapesse quanto è triste questa condizione. Spesso quando passavo per la strada mi fermavo a guardare le mamme che stringevano al petto i propri figli e osservavo i padri che tenevano per mano i loro bambini. E soffrivo pensando che io non avrei mai avuto quelle gioie. Spesse volte, la sera, invoco la Madonna e le dico: “Madonnina mia, ascoltami, questa not- te vieni a prendermi e portami via con te, perché io sono solo: nessuno piangerà, nessuno se ne accorgerà, perché io non esisto”.
Queste parole non hanno bisogno di commento: aggiungo soltanto che questo giovane, dopo tre anni, si è impiccato nel carcere di Milano perché non sopportava il peso di non aver avuto una famiglia. Ecco perché Giovanni Paolo II difendeva strenuamente la famiglia.
Giovanni Paolo II ha avuto anche il coraggio di difendere la vita umana – e tutta la vita umana! – in un’epoca in cui si sta diffondendo la cultura dello scarto, come più volte si è espresso Papa Francesco: sì, nella contemporanea carestia di amore, i più deboli vengono scartati perché l’egoismo non li sopporta, ma li sente come un peso. Fatto terribile: segno di un regresso di civiltà!
Madre Teresa di Calcutta lo faceva notare e diceva spesso:
“Oggi molte persone non sanno più amare e la mancanza di amore è la peggiore povertà che possa colpire un popolo”.
Lo scrittore Leonardo Sciascia († 1989) è stato un impietoso critico del nostro tempo. Egli coraggiosamente disse: “Sento tanto parlare di evoluzionismo, ma a me sembra più giusto parlare di involuzionismo”. Non aveva tutti i torti.
Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica “Evangelium Vitae” lanciò un appassionato grido di difesa della vita. L’Enciclica termina con una bellissima preghiera a Maria, nella quale c’è tutta l’anima di Giovanni Paolo II. Dice così:
“O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi, affidiamo a Te la causa della vita: guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere, di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall’indifferenza o da una presunta pietà.
Fa’ che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita”. (Evangelium Vitae, 105)
Come sono vere queste parole, come sono attuali, come sono profetiche: sono una preziosa eredità.
Ma la passione per la difesa della vita umana divenne un au- tentico urlo nella Valle dei Templi, presso Agrigento, l’8 mag- gio 1993. Il Papa Giovanni Paolo II, attraversato da un fremito degno di Amos o di Isaia, gridò: “Dio ha detto una volta: non uccidere! Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi aggregazione, qualsiasi mafia, non può cambiare o calpestare questo diritto santis- simo di Dio. (…) Qui ci vuole la civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto (e con gli occhi indicò il Crocifisso che stringeva tra le mani), nel nome di questo Cristo che è via, verità e vita, io dico ai responsabili: ‘Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!’ “.
Quale fede, quale forza, quale eroismo si nascondeva dietro queste parole: era l’eroismo di un Santo! E, dopo pochi giorni, la risposta fu l’attentato a San Giovanni in Laterano, Cattedrale del Papa.
Ma la fede coraggiosa di Giovanni Paolo II non si è fermata qui.
Egli ha avuto il coraggio di difendere la pace, mentre soffiavano cupi venti di guerra. Nel 1991 e nel 2003 tentò con tutte le sue forze di impedire le due guerre del Golfo: non fu ascol- tato, ma non si stancò di gridare: ‘Pace!’. Il 16 marzo 2003, in un estremo tentativo di bloccare la macchina della guerra, si permise di dire: “Io so che cos’è la guerra! Io devo dire a costoro: ‘la guerra non risolve i problemi, ma li moltiplica’ ‘’. Parole sante, parole vere, parole attuali.
Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di andare incontro ai giovani per liberarli dalla cultura del vuoto e dell’effimero e per invitarli ad accogliere Cristo, unica luce della vita e unico capace di dare pienezza di gioia al cuore umano.
Il 15 agosto dell’anno 2000, accogliendo una folla immensa di giovani in Piazza San Pietro, li salutò così: “Che cosa siete venuti a cercare? Lasciate che ripeta la domanda: che cosa siete venuti a cercare? O meglio: chi siete venuti a cercare? La risposta non può essere che una sola: voi siete venuti a cercare Gesù Cristo! Gesù Cristo, però, per primo viene a cercare voi! Non pensate di essere ai suoi occhi degli sconosciuti, come numeri di una folla anonima. Ognuno di voi è prezioso per Cristo, è conosciuto personalmente, è amato teneramente”.
I giovani di tutto il mondo hanno riconosciuto in Giovanni Paolo II un padre vero, una guida autentica, un educatore leale.
Chi può dimenticare l’abbraccio tra il Papa e un giovane che, durante la veglia a Tor Vergata, superati tutti i cordoni di sicu- rezza, corse verso di lui per dirgli semplicemente: “Grazie! Ti voglio bene!”.
È una scena che è entrata nel nostro cuore e nella storia dell’umanità.
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