Gli arcangeli tra Dio e gli uomini
Omelia del Santo Padre in occasione dell'Ordinazione Episcopale di nuovi Vescovi
Autore: Papa Benedetto XVI
Cari fratelli e sorelle,
siamo raccolti intorno all’altare del Signore per una circostanza solenne e lieta ad un tempo: l’Ordinazione episcopale di sei nuovi Vescovi, chiamati a svolgere mansioni diverse a servizio dell’unica Chiesa di Cristo. Essi sono Mons. Mieczysław Mokrzycki, Mons. Francesco Brugnaro, Mons. Gianfranco Ravasi, Mons. Tommaso Caputo, Mons. Sergio Pagano, Mons. Vincenzo Di Mauro. A tutti rivolgo il mio saluto cordiale con un fraterno abbraccio. Un saluto particolare va a Mons. Mokrzycki che, insieme a all’attuale Cardinale Stanisław Dziwisz, per molti anni ha servito come segretario il Santo Padre Giovanni Paolo II e poi, dopo la mia elezione a Successore di Pietro, ha fatto anche a me da segretario con grande umiltà, competenza e dedizione. Con lui saluto l’amico di Papa Giovanni Paolo II, il Cardinale Marian Jaworski, a cui Mons. Mokrzycki recherà il proprio aiuto come Coadiutore. Saluto inoltre i Vescovi latini dell’Ucraina, che sono qui a Roma per la loro visita “ad limina Apostolorum”. Il mio pensiero va anche ai Vescovi greco-cattolici, alcuni dei quali ho incontrato lunedì scorso, e la Chiesa ortodossa dell’Ucraina. A tutti auguro le benedizioni del Cielo per le loro fatiche miranti a mantenere operante nella loro Terra e a trasmettere alle future generazioni la forza risanatrice e corroborante del Vangelo di Cristo.
Celebriamo questa Ordinazione episcopale nella festa dei tre Arcangeli che nella Scrittura sono menzionati per nome: Michele, Gabriele e Raffaele. Questo ci richiama alla mente che nell’antica Chiesa – già nell’Apocalisse – i Vescovi venivano qualificati “angeli” della loro Chiesa, esprimendo in questo modo un’intima corrispondenza tra il ministero del Vescovo e la missione dell’Angelo. A partire dal compito dell’Angelo si può comprendere il servizio del Vescovo. Ma che cosa è un Angelo? La Sacra Scrittura e la tradizione della Chiesa ci lasciano scorgere due aspetti. Da una parte, l’Angelo è una creatura che sta davanti a Dio, orientata con l’intero suo essere verso Dio. Tutti e tre i nomi degli Arcangeli finiscono con la parola “El”, che significa “Dio”.
Dio è iscritto nei loro nomi, nella loro natura. La loro vera natura è l’esistenza in vista di Lui e per Lui. Proprio così si spiega anche il secondo aspetto che caratterizza gli Angeli: essi sono messaggeri di Dio. Portano Dio agli uomini, aprono il cielo e così aprono la terra. Proprio perché sono presso Dio, possono essere anche molto vicini all’uomo. Dio, infatti, è più intimo a ciascuno di noi di quanto non lo siamo noi stessi. Gli Angeli parlano all’uomo di ciò che costituisce il suo vero essere, di ciò che nella sua vita tanto spesso è coperto e sepolto. Essi lo chiamano a rientrare in se stesso, toccandolo da parte di Dio. In questo senso anche noi esseri umani dovremmo sempre di nuovo diventare angeli gli uni per gli altri – angeli che ci distolgono da vie sbagliate e ci orientano sempre di nuovo verso Dio. Se la Chiesa antica chiama i Vescovi “angeli” della loro Chiesa, intende dire proprio questo: i Vescovi stessi devono essere uomini di Dio, devono vivere orientati verso Dio. “Multum orat pro populo” – “Prega molto per il popolo”, dice il Breviario della Chiesa a proposito dei santi Vescovi.
Il Vescovo deve essere un orante, uno che intercede per gli uomini presso Dio. Più lo fa, più comprende anche le persone che gli sono affidate e può diventare per loro un angelo – un messaggero di Dio, che le aiuta a trovare la loro vera natura, se stesse, e a vivere l’idea che Dio ha di loro.
Tutto ciò diventa ancora più chiaro se ora guardiamo le figure dei tre Arcangeli la cui festa la Chiesa celebra oggi. C’è innanzitutto Michele. Lo incontriamo nella Sacra Scrittura soprattutto nel Libro di Daniele, nella Lettera dell’Apostolo san Giuda Taddeo e nell’Apocalisse. Di questo Arcangelo si rendono evidenti in questi testi due funzioni. Egli difende la causa dell’unicità di Dio contro la presunzione del drago, del “serpente antico”, come dice Giovanni. È il continuo tentativo del serpente di far credere agli uomini che Dio deve scomparire, affinché essi possano diventare grandi; che Dio ci ostacola nella nostra libertà e che perciò noi dobbiamo sbarazzarci di Lui. Ma il drago non accusa solo Dio. L’Apocalisse lo chiama anche “l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusa davanti a Dio giorno e notte” (12, 10). Chi accantona Dio, non rende grande l’uomo, ma gli toglie la sua dignità.
Allora l’uomo diventa un prodotto mal riuscito dell’evoluzione. Chi accusa Dio, accusa anche l’uomo. La fede in Dio difende l’uomo in tutte le sue debolezze ed insufficienze: il fulgore di Dio risplende su ogni singolo. È compito del Vescovo, in quanto uomo di Dio, di far spazio a Dio nel mondo contro le negazioni e di difendere così la grandezza dell’uomo. E che cosa si potrebbe dire e pensare di più grande sull’uomo del fatto che Dio stesso si è fatto uomo? L’altra funzione di Michele, secondo la Scrittura, è quella di protettore del Popolo di Dio (cfr Dn 10, 21; 12, 1). Cari amici, siate veramente “angeli custodi” delle Chiese che vi saranno affidate! Aiutate il Popolo di Dio, che dovete precedere nel suo pellegrinaggio, a trovare la gioia nella fede e ad imparare il discernimento degli spiriti: ad accogliere il bene e rifiutare il male, a rimanere e diventare sempre di più, in virtù della speranza della fede, persone che amano in comunione col Dio-Amore.
Incontriamo l’Arcangelo Gabriele soprattutto nel prezioso racconto dell’annuncio a Maria dell’incarnazione di Dio, come ce lo riferisce san Luca (1, 26 – 38). Gabriele è il messaggero dell’incarnazione di Dio. Egli bussa alla porta di Maria e, per suo tramite, Dio stesso chiede a Maria il suo “sì” alla proposta di diventare la Madre del Redentore: di dare la sua carne umana al Verbo eterno di Dio, al Figlio di Dio. Ripetutamente il Signore bussa alle porte del cuore umano. Nell’Apocalisse dice all’”angelo” della Chiesa di Laodicea e, attraverso di lui, agli uomini di tutti i tempi: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (3, 20).
Il Signore sta alla porta – alla porta del mondo e alla porta di ogni singolo cuore. Egli bussa per essere fatto entrare: l’incarnazione di Dio, il suo farsi carne deve continuare sino alla fine dei tempi. Tutti devono essere riuniti in Cristo in un solo corpo: questo ci dicono i grandi inni su Cristo nella Lettera agli Efesini e in quella ai Colossesi. Cristo bussa. Anche oggi Egli ha bisogno di persone che, per così dire, gli mettono a disposizione la propria carne, che gli donano la materia del mondo e della loro vita, servendo così all’unificazione tra Dio e il mondo, alla riconciliazione dell’universo. Cari amici, è vostro compito bussare in nome di Cristo ai cuori degli uomini. Entrando voi stessi in unione con Cristo, potrete anche assumere la funzione di Gabriele: portare la chiamata di Cristo agli uomini.
San Raffaele ci viene presentato soprattutto nel Libro di Tobia come l’Angelo a cui è affidata la mansione di guarire. Quando Gesù invia i suoi discepoli in missione, al compito dell’annuncio del Vangelo vien sempre collegato anche quello di guarire. Il buon Samaritano, accogliendo e guarendo la persona ferita giacente al margine della strada, diventa senza parole un testimone dell’amore di Dio. Quest’uomo ferito, bisognoso di essere guarito, siamo tutti noi. Annunciare il Vangelo, significa già di per sé guarire, perché l’uomo necessita soprattutto della verità e dell’amore. Dell’Arcangelo Raffaele si riferiscono nel Libro di Tobia due compiti emblematici di guarigione.
Egli guarisce la comunione disturbata tra uomo e donna. Guarisce il loro amore. Scaccia i demoni che, sempre di nuovo, stracciano e distruggono il loro amore. Purifica l’atmosfera tra i due e dona loro la capacità di accogliersi a vicenda per sempre. Nel racconto di Tobia questa guarigione viene riferita con immagini leggendarie. Nel Nuovo Testamento, l’ordine del matrimonio, stabilito nella creazione e minacciato in modo molteplice dal peccato, viene guarito dal fatto che Cristo lo accoglie nel suo amore redentore. Egli fa del matrimonio un sacramento: il suo amore, salito per noi sulla croce, è la forza risanatrice che, in tutte le confusioni, dona la capacità della riconciliazione, purifica l’atmosfera e guarisce le ferite.
Al sacerdote è affidato il compito di condurre gli uomini sempre di nuovo incontro alla forza riconciliatrice dell’amore di Cristo. Deve essere “l’angelo” risanatore che li aiuta ad ancorare il loro amore al sacramento e a viverlo con impegno sempre rinnovato a partire da esso. In secondo luogo, il Libro di Tobia parla della guarigione degli occhi ciechi. Sappiamo tutti quanto oggi siamo minacciati dalla cecità per Dio. Quanto grande è il pericolo che, di fronte a tutto ciò che sulle cose materiali sappiamo e con esse siamo in grado di fare, diventiamo ciechi per la luce di Dio. Guarire questa cecità mediante il messaggio della fede e la testimonianza dell’amore, è il servizio di Raffaele affidato giorno per giorno al sacerdote e in modo speciale al Vescovo. Così, spontaneamente siamo portati a pensare anche al sacramento della Riconciliazione, al sacramento della Penitenza che, nel senso più profondo della parola, è un sacramento di guarigione.
La vera ferita dell’anima, infatti, il motivo di tutte le altre nostre ferite, è il peccato. E solo se esiste un perdono in virtù della potenza di Dio, in virtù della potenza dell’amore di Cristo, possiamo essere guariti, possiamo essere redenti.
“Rimanete nel mio amore”, ci dice oggi il Signore nel Vangelo (Gv 15, 9). Nell’ora dell’Ordinazione episcopale lo dice in modo particolare a voi, cari amici. Rimanete nel suo amore! Rimanete in quell’amicizia con Lui piena di amore che Egli in quest’ora vi dona di nuovo! Allora la vostra vita porterà frutto – un frutto che rimane (Gv 15, 16).
Affinché questo vi sia donato, preghiamo tutti in quest’ora per voi, cari fratelli.
Amen.
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