Ho paura di soffrire!
Come affrontare il mistero della sofferenza
Autore: Padre Gaetano Piccolo
Il rifiuto della sofferenza
Quando ci troviamo davanti a situazioni di sofferenza, sofferenza personale o delle persone a cui vogliamo bene, la prima reazione è generalmente il rifiuto: non è possibile! Cerchiamo un colpevole, ci arrovelliamo provando a costruire strategie di vendetta. Per quanto comprensibili ed emotive, queste reazioni non ci aiutano ad affrontare le vicende faticose della vita, quelle in cui siamo messi alla prova nella salute o quelle in cui facciamo esperienza dell’ingiustizia o del tradimento o del fallimento…
La sofferenza è lì e chiede di essere attraversata. Paradossalmente ci troviamo di fronte a una grande scuola, dove possiamo cogliere l’occasione di crescere umanamente e spiritualmente. Gesù, dice Marco nel Vangelo di questa domenica, parlava della sua sofferenza apertamente, perché nella sofferenza non puoi nasconderti: è lì che sei visto e ti vedi per come sei veramente. Quando tutto va bene è infatti facile predicare, soprattutto quando imbastiamo discorsi retorici su come gli altri devono vivere la sofferenza, ma la vera predicazione, quella più efficace, è la nostra vita nel tempo della difficoltà e del dolore.
Luogo di rivelazione
La sofferenza è un luogo di rivelazione: il messaggio di Cristo sarebbe incomprensibile senza la sua volontà di attraversare la sofferenza senza tirarsi indietro, senza opporre resistenza (cf Isaia 50,5).
Il brano del Vangelo, che viene proposto in questa domenica, ci porta al centro dell’itinerario narrato da Marco. Siamo a un punto di svolta, nel capitolo 8. Siamo di fronte a un cambiamento che si gioca proprio nel modo in cui siamo disposti ad accogliere la sofferenza.
Gesù intuisce che qualcosa non ha funzionato nell’annuncio del Vangelo. C’è qualcosa che impedisce alla sua Parola di entrare nel cuore della gente. Provando a chiedere che cosa è passato della sua persona, Gesù si accorge che la gente ha una visione parziale di lui. Non è stata colta la novità del suo messaggio: Giovanni Battista, Elia, uno dei tanti profeti…sono figure con cui Gesù condivide alcuni tratti. La gente non riesce ad andare oltre il già noto, oltre quello che è stato già visto. Che cosa manca per comprendere fino in fondo chi è Gesù?
Chi sono io per te?
Ed ecco il punto di svolta: Gesù, con una domanda ardita, da questo momento non si rivolge più alla folla in generale, ma inizia a occuparsi più intimamente dei discepoli, di quelli che gli stanno più vicino. È a loro che rivolge questa domanda, che potrebbe suonare un po’ così: a questo punto del tuo cammino con me, dopo quello che hai sperimentato, dopo quello che hai vissuto con me, cosa hai capito? Chi sono io per te?
È la domanda che risuona nel cuore del discepolo di ogni tempo. A un certo punto occorre fermarsi e chiedersi: cosa ho compreso di Gesù fino ad ora?
Comprendere non è vivere
Pietro intuisce la risposta, ma non la comprende fino in fondo. Intuisce per un dono di grazia, ma non è disposto a viverla. Forse anche noi abbiamo compreso tante cose su Gesù, forse le sappiamo, ma non è detto che siamo disposti a viverle personalmente. E Pietro infatti si scopre incapace di vivere un aspetto fondamentale della sequela: accogliere la sofferenza per e con Gesù.
Pietro non ha paura solo della sofferenza di Gesù, come noi quando non vogliamo ovviamente la sofferenza di una persona cara, Pietro ha paura della sua sofferenza personale, perché sa bene che il fallimento del maestro significherà anche la sua personale sconfitta. Sì, Pietro, come tutti noi ha paura di soffrire!
Quando si diventa discepoli
Eppure così come la rivelazione di Gesù è possibile solo nel tempo della sofferenza, così la nostra professione di fede più autentica è solo quella che facciamo nel tempo della nostra sofferenza. Nel Vangelo di Marco, infatti, Gesù accetta di essere riconosciuto come Messia e Figlio di Dio solo nel momento in cui ha le mani legate davanti al Sommo sacerdote e mentre è sulla croce sotto lo sguardo del centurione romano.
Si diventa discepoli solo rinunciando alle proprie ragioni, alle proprie rivendicazioni, ai propri tempi. Ecco cosa vuol dire rinnegare se stessi. Solo in questo modo ci liberiamo infatti del nostro io ingombrante per lasciare posto alla logica del Vangelo: prendere su di sé la propria croce.
Il punto infatti non è tanto la sofferenza, ma come la viviamo. La croce, in queste parole di Gesù, non è la sventura che si abbatte su di noi, ma è il modo di pensare e di affrontare le vicende della vita ogni giorno alla luce della parola del Vangelo. Prendere la croce ogni giorno vuol dire assumere il Vangelo come criterio delle nostre scelte: e questo è davvero faticoso! Laddove ci verrebbe voglia di distruggere, cercare vendetta, farci giustizia da soli, siamo chiamati invece a perdonare, a consegnare, a confidare nell’ira di Dio che ha i suoi tempi e i suoi percorsi.
Il discepolo dunque è chiamato a rinnegare se stesso, a prendere la croce e soprattutto a seguire, più precisamente a mettersi dietro a Gesù. Per lo più invece noi vogliamo metterci davanti a lui, vogliamo fare la nostra strada, vogliamo costruire i nostri progetti, preferiamo fare le nostre scelte e poi chiediamo a Dio di benedire quello che abbiamo costruito. Gesù ci chiede invece di metterci dietro a lui e seguirlo anche dove non avremmo voluto andare, ci chiede di seguirlo anche quando si tratta di attraversare con lui la sofferenza.
È proprio in quei momenti che ci troviamo a scegliere tra perdere la vita o salvarla: perdiamo la vita quando preferiamo seguire le nostre logiche, illudendoci di vincere, salviamo la nostra vita quando scegliamo di seguire Gesù, sebbene agli occhi del mondo sembriamo dei perdenti.
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