10 minuti

Amare il prossimo: chi? … come?

I Dieci Comandamenti  ovvero: 10 consigli (divini)  per una vita felice - Parte II

Autore: Gianfranco Vanzini

 

Parte precedente : https://smartpray.org/i-10-comandamenti-parte-1-g-vanzini/ 

 

4)     Amare il prossimo: chi? … come?

 

Riconoscere e accettare, infatti, il principio che siamo tutti figli di Dio e di conseguenza tutti fratelli è un atto di umiltà verso Dio; ma, nel contempo, conferisce una piena e assoluta dignità a ciascun uomo e a ciascuna donna ed è fonte e garanzia del pieno e reciproco rispetto, per e tra, tutte le persone

 

Non è una novità che qualcuno non creda in Dio, anzi, qualcuno addirittura considera dannosa solo l’idea che esista, e fa di tutto per eliminarlo dalla storia e dalla sua vita. Attenzione, però. Eliminando Dio si rischia di non essere né liberi, né veri, ma semplicemente di diventare schiavi di tutto e di tutti. Schiavi e vittime del gusto e dell’euforia del potere, del sesso, del denaro, della droga, dell’egoismo personale o collettivo, della prima ideologia, moda, mago o fattucchiera che sembri offrire una parvenza di felicità.

Sono comportamenti oggi molto comuni e frequenti che, però, non portano né gioia né felicità, come ci dimostra la cronaca quotidiana. Invece, accettare e fare proprio il comandamento: “Non avrai altro Dio fuori di me” significa che nessuno: persona, autorità, sentimento, passione, cosa, circostanza, ecc. può rendermi suddito o schiavo. Io sono libero, perché mi ha creato libero il mio Signore e io non riconosco altri “signori” sopra di me.

Riconoscere e accettare, infatti, il principio che siamo tutti figli di Dio e di conseguenza tutti fratelli è un atto di umiltà verso Dio; ma, nel contempo, conferisce una piena e assoluta dignità a ciascun uomo e a ciascuna donna ed è fonte e garanzia del pieno e reciproco rispetto, per e tra, tutte le persone. In questo modo abbiamo la possibilità di vivere una vita piena, responsabile, aperta alla gioia e all’ottimismo, perché coscienti e grati di essere amati da Qualcuno e consapevoli che, a nostra volta, dobbiamo  amare quel Qualcuno e il nostro prossimo. Guidati e sorretti dalle indicazioni del Decalogo. Il modo corretto, allora, per impiegare questa nostra libertà è quello di pensare anche agli altri e di servire i fratelli per amore di Dio e per la nostra gioia.

La libertà, infatti, non è fine a se stessa, ci è data con amore e per amare, non per slegarci dagli altri e fare quello che ci pare, ma per costruire liberamente legami d’amore. Scopriremo che questo è un modo molto efficace per fare scomparire anche gran parte delle nostre difficoltà quotidiane. Molte delle nostre contrarietà, infatti, traggono la loro origine dal fatto che ci dimentichiamo, troppo spesso degli altri e ci preoccupiamo troppo del nostro “io”. Ma chi sono questi altri? Chi sono le persone che dobbiamo amare? Chi è il mio prossimo?

A queste domande ha già risposto Gesù, in un modo molto chiaro e preciso. Basta leggere quello che l’evangelista Luca scrive quando ci racconta come Gesù ha risposto a un dottore della legge che lo interrogava:“… chi è il mio prossimo?” Gesù rispose: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un samaritano che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui, quello che spenderai in più te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nella mani dei briganti?” Quegli rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: Va’ e anche tu fa lo stesso.” (Lc 10, 25-37).   

Ecco, Gesù non usa giri di parole né fa lunghi preamboli. Il nostro prossimo è chiunque può avere bisogno di noi, senza distinzioni e senza categorie.   Gesù ci chiede di amare i nostri fratelli e di pensare al bene comune dimenticando noi stessi. È questo il comportamento che Dio apprezza e che premia con una serenità piena di gioia. Di una gioia vera, terrena e immediata …qui… oggi. (Continua)

 

5)    Il riposo e il lavoro

 

Il lavoro, pur importante, non può e non deve estinguere tutte le nostre capacità e le nostre energie e non deve assorbire tutto il nostro tempo

     “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore tuo Dio… Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro”. (Es20, 2-17).

È il terzo dei 10 Comandamenti che Dio ha dettato a Mosè sul Monte Sinai e che la Chiesa ha sintetizzato in: ”Ricordati di santificare le feste”. Come il Signore si è riposato il settimo giorno, anche tu hai il diritto di farlo. Devi ricordarti però che è il Signore che ti ha creato e ti sostiene, perciò il settimo giorno devi ricordarti di Lui e ringraziarlo.

Che cosa vogliono indicarci Dio e la Sua Chiesa con questo Comandamento? Tre cose. Primo. Fare memoria della creazione divina e del nostro essere creature di Dio.  Secondo. Gesù è risorto dai morti la domenica di Pasqua, il primo giorno della settimana dopo il sabato. La domenica diventa così il giorno e il simbolo della nuova Creazione e della nuova alleanza in Cristo. E’ il giorno del Signore, nel quale si fa memoria della Sua passione, morte e resurrezione. Terzo. Come Dio cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro e si riposò, così anche la vita dell’uomo è ritmata dal tempo del lavoro e dal tempo del riposo, dove il riposo acquista la sua ragione d’essere e la sua dignità.

L’istituzione del giorno del Signore acquista pertanto anche un’altra valenza. È la prima indicazione operativa che Dio dà agli uomini ed è l’indicazione che regola e definisce il ritmo della quotidianità del lavoro e del riposo. Il lavoro è importante, in quanto è attraverso il lavoro che l’uomo si realizza. Lavorando con impegno e competenza, egli attualizza e concretizza le sue capacità e mette a frutto i talenti ricevuti, conquista la sua indipendenza e la sua libertà, provvede al suo sostentamento, a quello dei suoi familiari e delle persone che gli sono affidate, coopera al bene della comunità nella quale vive.

Il lavoro, tuttavia, pur importante, non può e non deve estinguere tutte le nostre capacità e le nostre energie e non deve assorbire tutto il nostro tempo. Perciò questa prima indicazione divina svolge un’altra importante funzione: ci libera dal rischio di una schiavitù molto pericolosa: la schiavitù del lavoro. Quanti, spinti dal desiderio di guadagno o di soddisfazione personale, dedicano al lavoro tutte le proprie energie? Poi, come spesso succede, si pentono,  perché magari non si sono accorti che nel frattempo i figli sono cresciuti, senza averli potuti seguire, che la moglie (o il marito) si è sentita (o )trascurata (o) e i rapporti si sono guastati fino alla rottura. Sono situazioni, purtroppo, abbastanza frequenti e dolorose al giorno d’oggi.

Ho recentemente letto il libro di un politico per passione e per chiamata – il quale  nel capitolo   “Mai di domenica”  scrive: “Per scelta e da sempre, salvo casi eccezionali, io non ho mai dato disponibilità per iniziative di partito alla domenica… E questo non l’ho deciso per motivi di pigrizia o di comodità personale. L’ho deciso perché per me è un tratto fondamentale. È un tratto fondamentale avere un giorno alla settimana dove poter andare a funghi nel mio posto segreto, poter stare tre ore da solo con un libro in mano che desidero leggere. E’ un tratto fondamentale andare a Messa, rituffarmi nella mia comunità, prendere un caffè con calma al bar del paese, ritrovarmi con tutti gli altri come tutti gli altri” E’ un esempio concreto di come si possa regolare l’utilizzo del nostro tempo, dedicandone una parte al nostro lavoro e riservando un tempo adeguato (la domenica appunto), per santificare la festa, andando alla Messa, per riposare, per poter stare in famiglia, per ascoltare e, possibilmente, aiutare il nostro prossimo.

È sicuramente un modo efficace per vivere bene …qui … oggi… (Continua)

 

6)     La famiglia

 

Il focolare domestico è l’ambito naturale più idoneo per la trasmissione della fede e degli insegnamenti di Nostro Signore e per educare al senso di responsabilità e alla solidarietà

 

     “Maschio e femmina li creò … siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn 1,17)

Dio creando l’uomo e la donna istituisce la famiglia nella sua composizione originaria: un maschio e una femmina (un uomo e una donna). E a questa famiglia dà due compiti: siate fecondi e moltiplicatevi.

È dal primo momento, cioè da sempre, che maschio e femmina sono le due entità necessarie per costituire una famiglia. Ed è alla famiglia (cioè ai due coniugi uniti) che Dio concede il dono di procreare, di fare nascere una nuova creatura  e diventare così padre e madre. A nessuno dei due è concesso di fare da solo, solo attraverso la loro unione si può realizzare il miracolo di fare nascere una nuova vita.

Dopo la libertà, la seconda cosa bella che Dio ci ha donato è senz’altro la famiglia, per la quale Dio detta a Mosè un suggerimento particolare: “Onora tuo padre e tua madre” (Es 20,12- Dt 5,16). Quarto Comandamento del Decalogo. È il comandamento “cerniera”, quello che unisce i primi tre che riguardano direttamente il rapporto tra Dio e gli uomini e gli altri sei, che riguardano i comportamenti umani.

E allora vediamolo da vicino.

Padre e madre sono due definizioni molto precise e chiare, sono le due persone che hanno dato la vita e che per questo hanno precisi doveri da assolvere e diritti da reclamare.

Nasciamo infatti tutti, piccoli e indifesi, incapaci di provvedere al nostro sostentamento, ma nasciamo in una famiglia, nasciamo cioè da due genitori: un padre e una madre. Due genitori che, per il fatto di averci fatto nascere attraverso un atto d’amore, sono pronti ad accogliere e custodire il frutto del loro amore: i figli. I genitori, infatti, sono i primi responsabili dell’educazione dei loro figli. Hanno pertanto il dovere di realizzare una famiglia in cui la tenerezza, il rispetto, la fedeltà, il servizio disinteressato, siano la norma.

Il focolare domestico è l’ambito naturale più idoneo per la trasmissione della fede e degli insegnamenti di Nostro Signore e per educare al senso di responsabilità e alla solidarietà. Sotto la guida attenta dei due genitori, i figli avranno la possibilità di imparare a guardarsi dai compromessi pericolosi, dalle infedeltà e dalle ipocrisie, dai cattivi maestri e dagli sbandamenti umani, particolarmente presenti in questi tempi.

Vale la pena soffermarsi un attimo a considerare quello che troppo spesso succede oggi, proprio nel campo dell’educazione. Due soli esempi: bullismo a scuola  e violenza nello sport particolarmente in quello giovanile. L’elenco dei  fatti incresciosi e preoccupanti è lungo. E’ cronaca settimanale di giovani arbitri (16 -18 anni) aggrediti dai giocatori, dai tifosi, o addirittura dai genitori degli stessi giocatori, durante e dopo gli incontri di calcio nelle serie giovanili. Idem per gli episodi di bullismo.

Qui siamo coinvolti TUTTI, nessuno escluso. Oggi, purtroppo,  ci siamo abituati a dire sempre che:  è colpa degli altri, di chi comanda e  di chi ha il potere;  il fenomeno dell’emergenza educativa  nei confronti dei bambini e dei giovani, invece, interpella tutti. In primo luogo i genitori che hanno sottovalutato l’importanza  della loro funzione. Poi  anche degli educatori, a vario titolo e livello: insegnanti, allenatori, dirigenti di società sportive e ricreative, sacerdoti, ecc.

Abbiamo letto negli mesi scorsi che  siamo tutti fratelli. E allora? Perché anziché volerci bene facciamo del male  ai più deboli e indifesi?

Occorre che  TUTTI  , ognuno per la parte che gli è propria, cerchiamo di essere sempre, con l’insegnamento e con l’esempio,  testimoni per i giovani di comportamenti corretti e di una vita buona. Quando  i buoni insegnamenti passano attraverso  l’esempio e la testimonianza  vissuta degli adulti, hanno sicuramente un valore ed una efficacia molto grandi sui giovani.

Se i genitori hanno doveri e responsabilità, altrettanti doveri e responsabilità hanno i figli. Il quarto comandamento, infatti, si rivolge espressamente ai figli dicendo “Onora tuo padre e tua madre.” (continua)

Parte successiva : https://smartpray.org/i-10-comandamenti-parte-3-g-vanzini/ 

Il testo completo :

Parte 1 : https://smartpray.org/i-10-comandamenti-parte-1-g-vanzini/

Parte 2 : https://smartpray.org/i-10-comandamenti-parte-2-g-vanzini/

Parte 3 : https://smartpray.org/i-10-comandamenti-parte-3-g-vanzini/

Parte 4 ( ultima) : https://smartpray.org/i-10-comandamenti-parte-4-g-vanzini/