La proprietà privata
I Dieci Comandamenti ovvero: 10 consigli (divini) per una vita felice - Parte IV ed ultima
Autore: Gianfranco Vanzini
Parte precedente : https://smartpray.org/i-10-comandamenti-parte-3-g-vanzini/
11) La proprietà privata
Non rubare vuole dire essenzialmente due cose. In primo luogo proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni degli altri. In secondo luogo, definisce la legittimità della proprietà privata dei beni materiali
Settimo: non rubare. È una frase molto usata. Molti ne conoscono la provenienza; ma qualcuno, probabilmente fra i più giovani, neppure sa che corrisponde al settimo comandamento del Decalogo. Non rubare vuole dire essenzialmente due cose. In primo luogo proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni degli altri. In secondo luogo, definisce la legittimità della proprietà privata dei beni materiali.
Se io non devo e non posso appropriarmi dei beni del mio prossimo, significa che lui ha il diritto di tenerli e di conservarli e io devo rispettare questo suo diritto. Allo stesso modo, se il bene è mio, gli altri devono rispettare questo mio diritto.
Il problema si pone, ma è di facile soluzione, quando andiamo a vedere a che titolo io possiedo il bene. Se me lo sono guadagnato con il mio lavoro, o se mi è stato legittimamente donato, non ci sono problemi; se invece ho fatto violenza a qualcuno oppure ho leso i diritti del mio prossimo allora la cosa cambia radicalmente. La proprietà diventa illegittima e siamo davanti ad un furto.
Il concetto di proprietà privata, pur sacrosanto, va tuttavia completato con qualche altra argomentazione. Il cuore dell’uomo desidera spesso beni e sostanze dal cui possesso ritiene di ricavare ricchezza e felicità. Gesù, saggiamente, ci mette in guardia dall’essere vittime di questo desiderio: “Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano.” (Gv 6,19-20). “Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8,36)
Ecco allora come usare nel modo giusto i beni terreni.
“Dio ha creato la terra e l’uomo, e all’uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (Gn 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell’universale destinazione dei beni della terra” (Centesimus annus. par.31)
E il Catechismo della Chiesa Cattolica ai punti 2402 e segg. recita: “Dall’inizio, Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell’umanità. Affinché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i frutti. I beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano. Tuttavia la terra è suddivisa tra gli uomini perché sia garantita la sicurezza della loro vita… la sicurezza delle persone… il soddisfacimento dei bisogni fondamentali propri e delle persone di cui si ha responsabilità.”
L’uomo, deve considerare le cose che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che debbono giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri. La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della Provvidenza, che glielo ha affidato per farlo fruttare e spartire i frutti anche con gli altri. Si tratta di mettere in pratica il principio della universale destinazione dei beni.
Da questo principio deriva che il bravo imprenditore non è quello che pensa solo a massimizzare il suo profitto, ma quello che si cura e si preoccupa delle persone che lavorano per lui e con lui, della società civile in cui vive e dell’ambiente che lo circonda.
In ossequio al settimo comandamento, avrà cura di dare la giusta mercede agli operai, nei modi e nei tempi previsti dalle leggi, di pagare puntualmente i propri fornitori, di onorare i propri debiti e di non frodare alcuno nella sua attività imprenditoriale. Parallelamente, il bravo dipendente è quello che svolge bene e correttamente il proprio lavoro e tratta i beni che gli sono affidati con onestà e partecipazione.
(continua)
12) Universale destinazione dei beni
Come recita il Catechismo: “L’autorità politica ha il diritto e il dovere di regolare il legittimo esercizio del diritto di proprietà in funzione del bene comune”
Continuiamo a parlare di proprietà privata. “L’autorità politica ha il diritto e il dovere di regolare il legittimo esercizio del diritto di proprietà in funzione del bene comune”.(Catechismo della Chiesa Cattolica n.2406)
Questo riferimento all’autorità politica mi dà lo spunto per due considerazioni. La prima riguarda uno slogan abbastanza diffuso in un recente passato da una certa parte politica: “La proprietà privata è un furto”. Abbiamo appena visto che non è assolutamente vero.
La proprietà privata, se legittimamente procurata e detenuta, è un diritto sacrosanto e come tale va tutelato e regolamentato. Nello stesso tempo, però, occorre tenere presente che è Dio che ci ha donato tutti i beni di cui possiamo disporre. Tutti, allora, abbiamo il dovere di avere sempre presente la destinazione universale dei beni del creato e il migliore uso della nostra libertà consiste nell’amministrarli con giustizia, amore e attenzione anche verso le necessità degli altri uomini, nostri fratelli.
La seconda considerazione riguarda il dovere per i cittadini di obbedire alle giuste leggi che l’autorità civile emana per soddisfare e organizzare i diritti e i bisogni collettivi. La prima fra queste leggi è quella che impone di pagare le tasse. Non pagare le tasse è un furto? Sì! E’ una mancanza grave verso la comunità intera, è un privare le pubbliche autorità di quei mezzi necessari per il buon funzionamento della pubblica amministrazione, che ha importanti compiti da svolgere e che non può operare senza adeguate risorse.
I pubblici poteri hanno il diritto di imporre imposte. Gesù stesso lo ha riconosciuto quando ha detto: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio.” (Mc 12,13-17). Dicendo questo, Gesù ha riconosciuto a Cesare il diritto di chiedere un tributo, ma gli ha anche imposto di determinare bene quello che è suo, rispetto a quello che è di Dio o dei singoli individui.
Una autorità pubblica prepotente, vessatoria, corrotta, perde la sua legittima autorità e diventa dannosa per l’intera comunità.
Non solo, all’Autorità o meglio ancora agli uomini che esercitano l’autorità, per il fatto stesso di essere responsabili del bene comune, spetta anche il compito di emanare leggi giuste ed eque, dove ai doveri dei cittadini siano contrapposti anche quelli della Pubblica Amministrazione.
Lo Stato ha il diritto di imporre le tasse, ma ha poi il dovere di spendere bene le somme ricevute.
Il cittadino ha il dovere di pagare le imposte, ma ha anche il diritto di ricevere servizi adeguati.
Entrambi: Stato e cittadini devono rispettare le leggi e comportarsi in modo onesto e corretto. Per esempio, non è corretto evadere le tasse, ma non è corretto né morale, che uno Stato imponga ai suoi cittadini di pagare puntualmente quanto dovuto, e poi lo Stato non faccia altrettanto quando è debitore verso alcuni suoi cittadini, non pagandoli con la stessa puntualità che pretende da loro. Purtroppo esempio n questo senso ce ne sono diversi.
Rientrano nelle mancanze gravi contro il settimo comandamento anche: la corruzione (pagare qualcuno per avere fraudolentemente un beneficio indebito), la concussione (sfruttare la propria posizione di pubblica autorità per pretendere un compenso non dovuto) e l’usura (pretendere dai propri debitori interessi esagerati). Sono fatti purtroppo abbastanza frequenti nella società odierna e sono fonte di ingiustizie e disagi per molti.
Facciamo molta attenzione su questi punti. Oggi è d’uso parlare di anti-corruzione, ma non illudiamoci di fare diventare oneste le persone disoneste, solo attraverso controlli e/o leggi punitive.
Occorre ricominciare ad educare le coscienze a riscoprire il valore essenziale e primario della giustizia verso tutti e occorrono testimoni che dimostrino ai giovani che vivere correttamente si può e fa stare bene. Una coscienza retta non ha bisogno di leggi che vietino i comportamenti scorretti, sa già quello che è lecito fare e quello che è non è lecito.
Come potremmo vivere meglio con maggiore serenità se ognuno rispettasse i diritti e le cose degli altri, se le autorità, private e pubbliche, fossero oneste e corrette, se stato e cittadini osservassero le leggi.
(Continua)
13) La verità
Gli effetti della menzogna sono devastanti. La menzogna, infatti, è un’ autentica violenza fatta all’altro
Ho letto recentemente la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Onu nel 1948 e, con una certa sorpresa, ho notato che dei 30 articoli che la compongono uno solo, il 29°, parla dei doveri degli individui, in un modo fra l’altro molto sintetico e sbrigativo. Si limita infatti a dire che: “Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità… Nell’esercizio dei sui diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri…”.
A mio avviso sarebbe molto bello e certamente renderebbe il tutto più completo e utile adottare, insieme alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, una Dichiarazione universale dei principi e comportamenti etici comuni.
Sarebbe già pronta, con una autorevolezza ed una validità consolidate: basterebbe dichiarare formalmente il Decalogo come “Patrimonio Comune, Spirituale e Morale dell’Umanità”. Definizione coniata da San Giovanni Paolo II.
In attesa che questo avvenga, torniamo alla Dichiarazione attuale, in sintesi 29 diritti e quasi nessun dovere. Come documento universale mi sembra un po’ limitato, nessun accenno neppure a quello che potrebbe e, a mio avviso, dovrebbe essere considerato un diritto/dovere primario di tutti e verso tutti: la verità nei rapporti interpersonali.
Perché sottolineo questa mancanza? Perché la verità consiste nel mostrarsi sinceri nel fare e nel dire, nel descrivere e nel comunicare fatti e circostanze, così come sono realmente accaduti, senza modificarne o alterarne la sostanza a proprio vantaggio o piacimento.
Il contrario della verità è la menzogna, che consiste nel dire il falso con l’intenzione di ingannare il prossimo, il quale ha diritto alla verità che, in questo modo, gli viene negata. Si possono assimilare alla menzogna anche la doppiezza, la simulazione e l’ipocrisia.
Gli effetti della menzogna sono devastanti. La menzogna, infatti, è un’ autentica violenza fatta all’altro. Lo colpisce nella sua capacità di conoscere che è la prima condizione per poter esprimere un giudizio e conseguentemente prendere una decisione. È dannosa per ogni società in quanto scalza e annulla la fiducia tra gli uomini e lacera il tessuto delle relazioni umane e sociali. Se un collaboratore, un amico, un politico mente, come posso fidarmi di lui? Saltano tutti i rapporti.
Già San Tommaso d’Aquino nella sua Summa Teologica diceva: “Sarebbe impossibile la convivenza umana se gli uomini non avessero confidenza (fiducia) reciproca, cioè se non si dicessero la verità”.
La vita di tutti i giorni conferma quanto appena affermato. Faccio solo un esempio fra i tanti che potrei citare: qualche anno fa il proprietario di una grande azienda, quando si è accorto che questa era in difficoltà, ha cominciato a dire bugie, ha cominciato a mentire, sia lui che i suoi più stretti collaboratori. Ha presentato una realtà diversa da quella che era veramente, ha tratto in inganno una miriade di persone e di istituzioni e ha provocato il danno che tutti abbiamo potuto constatare molti miliardi di perdite per tutti. Era sufficiente essere più umili e più sinceri, cercare da subito una soluzione onesta e, se la situazione era già irrimediabilmente deteriorata, chiudere l’azienda utilizzando tutti i mezzi leciti che la legge prevedeva. Il danno sarebbe stato infinitamente più piccolo.
Bastava, in sostanza, ricordare che cosa dice l’ottavo Comandamento: Non dire falsa testimonianza, cioè non dire bugie. Esattamente come i genitori saggi dicono ai bambini quando cominciano a crescere: “Mi raccomando non dire bugie” e opportunamente aggiungono: “Ricordati che le bugie hanno le gambe corte, prima o poi vengono scoperte e allora sono guai”.
Ecco, sono guai! E molto spesso guai seri. Come sempre, i Comandamenti non ci dettano regole impossibili da praticare, ma ottimi insegnamenti per vivere bene, per evitare i danni e i guai provocati da comportamenti scorretti.
14) La comunicazione
Dal Concilio Vaticano II: “L’informazione, attraverso i mass-media è al servizio del bene comune. La società ha diritto ad una informazione fondata sulla verità”.
Scorrendo le pagine del Vangelo ad un certo punto troviamo Gesù, che dice: “Sia il vostro parlare: sì! sì! no! no!” (Mt 5,37) e ancora: “E’ la verità che vi farà liberi.” (Gv 8,32).
Sono affermazioni nette e forti, ma come sono vere! E come sarebbe bella una società dove, quando una persona parla, non occorre pensare, come succede troppo spesso oggi: mi sta dicendo la verità o una bugia? (o come va di moda dire è vero o è una “fake news”)? Perché si sarebbe certi che ha detto la verità.
Oppure, quando si legge un giornale, poterlo leggere convinti che i fatti che descrive si sono svolti veramente in quel modo e non sono, invece, la rappresentazione o magari l’interpretazione di chi scrive.
Sul tema della comunicazione mi sembra opportuno ricordare le parole di Papa Francesco che il 22 marzo 2014, a proposito dei media, tv, radio, stampa… ha detto: “Per me, i peccati dei media, i più grossi, sono quelli che vanno sulla strada della bugia, della menzogna e sono tre: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione. Queste due ultime sono gravi! Ma non tanto pericolose come la prima. Perché? Vi spiego. La calunnia è peccato mortale, ma si può chiarire e arrivare a conoscere che quella è una calunnia. La diffamazione è peccato mortale ma si può arrivare a dire: questa è un’in-giustizia perché questa persona ha fatto quella cosa in quel tempo, poi si è pentita, ha cambiato vita. Ma la disinformazione è dire la metà delle cose, quelle che sono per me più convenienti e non dire l’altra metà. E così, quello che vede la tv, o quello che sente la radio, non può farsi un giudizio perfetto, perché non ha gli elementi e non glieli danno. Da questi tre peccati, per favore, fuggite. Disinformazione, calunnia e diffamazione”.
Dal Concilio Vaticano II possiamo trarre una indicazione ancora più chiara: “L’informazione, attraverso i mass-media è al servizio del bene comune. La società ha diritto ad una informazione fondata sulla verità… Il retto esercizio di questo diritto richiede che la comunicazione nel suo contenuto sia sempre vera e, salve la giustizia e la carità, integra, inoltre rispetti scrupolosamente le leggi morali, i legittimi diritti e la dignità dell’uomo…” (Conc. Ec. Vat. II).
Un’ultima riflessione sulla utilità della informazione. O meglio di certa informazione e di certe leggi e disposizioni. Da un po’ di tempo si sente parlare di cultura finanziaria, si dice che i clienti sono poco informati dei rischi che sono insiti in certi prodotti bancari. Per coprire la responsabilità di banchieri e dirigenti che dovrebbero dire sempre e solo la verità completa, i clienti vengono inondati di documenti inutili e incomprensibili per una persona di media cultura.
Recentemente un amico mi ha consegnato 3 buste speditegli da una grande banca italiana che contenevano un “Documento” di 104 pagine, spedito ovviamente a tutti i clienti. (Quanta carta sprecata e alberi abbattuti) Un vero e proprio trattato di tecnica bancaria. Naturalmente è finito nel cestino. Ma perché è stato spedito? Sapendo che il cestino sarebbe stato il suo destino? La risposta è: “in ossequio a una disposizione di legge, della Bce o della Banca d’Italia”.
Ma, secondo voi, questa è informazione o perdita di tempo? I clienti in questo modo sono in grado di capire i rischi contenuti in un prodotto bancario, o sono stati persi tempo e risorse inutilmente, visto il destino subito dal documento? I costi ovviamente graveranno sui correntisti.
Gesù, come abbiamo appena visto dice: “Il vostro linguaggio sia: “Si! Si! e No!, No! “, cioè siate chiari e comprensibili; ognuno per la parte di sua competenza. Il resto è del demonio. In questo modo conti tornerebbero anche questa volta.
15) La temperanza
Per essere certo che tutto fosse chiaro e praticabile, alla fine del Decalogo, Dio con il nono ed il decimo comandamento: “Non desiderare la donna d’altri” e “Non desiderare la roba d’altri”, ci dà un suggerimento pratico su come comportarci per riuscire a rispettare i suoi insegnamenti
Di volta in volta, abbiamo esaminato, molto sinteticamente, le indicazioni e gli avvertimenti che Dio ci ha dato, attraverso Mosè, Gesù e la Chiesa per vivere bene ed essere felici..
Ci ha tracciato la rotta e ci dettato le Regole del gioco della vita e le Istruzioni per l’uso della libertà, tutto concentrato nei 10 Comandamenti ovvero nel Decalogo.
Per essere certo che tutto fosse chiaro e praticabile, alla fine del Decalogo, Dio con il nono ed il decimo comandamento: “Non desiderare la donna d’altri” e “Non desiderare la roba d’altri”, ci dà un suggerimento pratico su come comportarci per riuscire a rispettare i suoi insegnamenti.
Infatti, come resistere alle tentazioni di una vita sessuale ingorda e disordinata, con tante occasioni che quotidianamente ti si presentano davanti? E come fare a resistere alla tentazione di appropriarsi della roba degli altri che, magari, ne hanno tanta e tu poca o niente? E le domande potrebbero continuare per molto.
Per Dio, però, è sempre tutto molto semplice, lineare e conseguente. Se vuoi evitare di essere tentato dal compiere atti di cui poi potresti pentirti, evita di desiderare persone o cose non tue. Non metterti nelle condizioni di dovere fare fatica a resistere alla tentazione.
Ma allora è peccato anche solo desiderare? Assolutamente no! Sia per il nono che per il decimo comandamento i desideri non sono automaticamente peccato. Dio non è così severo da vietarci di apprezzare il valore della bellezza delle persone e delle cose, che fra l’altro sono opera sua. Tutt’altro.
Il desiderio, quando è buono e onesto, è fonte di energia e di progresso, perché ogni cosa fatta nasce dalla volontà di farla e di farla bene. Il desiderio di migliorare la propria condizione economica o sociale, per esempio, è un desiderio assolutamente positivo. Il problema nasce quando questo desiderio ci porta alla esagerazione, a volerlo realizzare a tutti i costi, spesso senza neppure pensare se è un desiderio onesto, oppure dannoso, per noi o per il nostro prossimo. Per evitare i rischi di un desiderio smodato ci viene in aiuto la temperanza, o anche la moderazione.
La temperanza, infatti, è quella virtù che ci insegna ad usare i beni materiali e spirituali entro i limiti indicati da Dio. Parte integrante della temperanza è il pudore, dei sentimenti e del corpo. Il pudore dei sentimenti preserva e protegge l’intimità della persona e consiste nel rifiuto di svelare ciò che è, e deve rimanere, privato e riservato. Il pudore custodisce il mistero delle persone e del loro amore; suggerisce la pazienza e la moderazione nella relazione amorosa. Richiede che siano rispettate le condizioni del dono e dell’impegno definitivo dell’uomo e della donna fra loro.
Oltre al pudore dei sentimenti, esiste anche un pudore del corpo che insorge, per esempio, contro l’esposizione esagerata del corpo umano in funzione di una curiosità morbosa o di esasperati e immotivati fini pubblicitari, che oggi sono un luogo comune.
La odierna permissività dei costumi si basa su una erronea concezione della libertà umana. Un corretto senso del pudore, invece, aiuta a resistere alle suggestioni delle mode e alle pressioni delle ideologie dominanti. Accanto all’invito ad un corretto esercizio dei desideri, i due comandamenti ci mettono in guardia anche contro ingordigia e invidia.
Dio infatti ci raccomanda di non desiderare a tale punto le persone o le cose altrui fino a volercene appropriare anche senza averne diritto. Guai a chi è avido e ingordo. A chi pensa solo per sé, convinto che tutto gli sia dovuto e lecito. E guai anche a chi si fa dominare dall’ingiustizia o dall’invidia; quest’ultima, in particolare, produce la tristezza che si prova davanti ai beni altrui e il desiderio smodato di appropriarsene anche in maniera indebita.
L’invidioso è sempre triste, non è mai soddisfatto di quello che ha e, di conseguenza, vive male, fa vivere male chi gli sta vicino e arriva ad augurare il male al suo prossimo. Sant’Agostino diceva: “Dall’invidia nascono l’odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo, e il dispiacere per la sua fortuna”.
Il Decalogo che Dio ci ha dettato ci guida verso una vita rispettosa della Sua volontà e premurosa verso il nostro prossimo , e per questo, serena e gioiosa… qui… oggi… e… sempre.
Provare per credere e buon cammino a tutti.
Il testo completo :
Parte 1 : https://smartpray.org/i-10-comandamenti-parte-1-g-vanzini/
Parte 2 : https://smartpray.org/i-10-comandamenti-parte-2-g-vanzini/
Parte 3 : https://smartpray.org/i-10-comandamenti-parte-3-g-vanzini/
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