I Dieci Comandamenti
III Domenica di Quaresima
Autore: Cardinale Raniero Cantalamessa
Il Vangelo di oggi, terza Domenica di Quaresima, ha come tema il tempio. Gesù purifica il vecchio tempio, scacciando da esso, con una sferza di cordicelle, mercanti e mercanzie; quindi presenta se stesso come il nuovo tempio di Dio che gli uomini distruggeranno, ma che Dio farà risorgere in tre giorni.
Questa volta però iniziamo la nostra riflessione dalla prima lettura perché essa contiene un testo importante: il decalogo, i dieci comandamenti di Dio. Riascoltiamoli per rinfrescare la memoria:
“Io sono il Signore Dio tuo: non avrai altro Dio fuori di me.
Non nominare il nome di Dio invano.
Ricordati di santificare le feste.
Onora il padre e la madre.
Non uccidere.
Non commettere adulterio.
Non rubare.
Non dire falsa testimonianza.
Non desiderare la roba d’altri.
Non desiderare la donna d’altri”.
L’uomo moderno spesso non comprende i comandamenti. Li scambia per divieti arbitrari di Dio, per limiti intollerabili posti alla sua libertà. Ma in realtà i comandamenti di Dio sono una manifestazione del suo amore e della sua sollecitudine paterna per l’uomo. “Io ti comando di osservare i comandamenti perché tu viva e sii felice” (cfr. Deuteronomio 6,3; 30, 15 s): questo, non altro, è lo scopo dei comandamenti.
Sono stato una volta in pellegrinaggio sul Monte Sinai, dove i dieci comandamenti furono dati da Dio a Mosè, e ho potuto fare una osservazione. In alcuni passaggi pericolosi del sentiero che porta alla vetta, per evitare che qualcuno distratto o inesperto vada fuori strada e precipiti nel vuoto, sono stati messi dei segnali di pericolo, collocate delle ringhiere, o creati degli sbarramenti. Lo scopo dei comandamenti non è diverso da questo.
I comandamenti si possono paragonare anche a degli argini o a una diga. Tutti ricordano o hanno sentito parlare di ciò che successe negli anni cinquanta quando il Po ruppe gli argini nel Polesine, o quello che capitò nel 1963 quando crollò la diga del Vajont e interi paesi furono sommersi dalla valanga di acqua e fango. Il paragone non sembri esagerato. Vediamo noi stessi cosa succede nella società, quando si calpestano sistematicamente certi comandamenti, come quello di non uccidere o di non rubare…
Sulla base dei dieci comandamenti, Dio stabilì la sua alleanza con Israele e fece di esso “un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Esodo 19, 6). Dopo che Mosè ebbe riferito le dieci parole, è scritto che tutto il popolo rispose a una sola voce: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19, 8). La decisione di volere appartenere al popolo di Dio e di entrare nell’alleanza con lui, è insita, per sé, nel battesimo, ma oggi ci si offre l’occasione per decidere personalmente e da adulti da che parte vogliamo stare.
Gesù ha riassunto tutti i comandamenti, anzi tutta la Bibbia, in un unico comandamento, quello dell’amore per Dio e per il prossimo. “Da questi due comandamenti –ha detto- dipendono tutta la Legge e i Profeti” (Matteo 22, 40). Se amo Dio, non vorrò avere altro Dio fuori di lui, non nominerò il suo nome invano, cioè non bestemmierò, e santificherò le sue feste. Se amo il prossimo, onorerò il padre e la madre che sono il prossimo più prossimo, non ruberò, non dirò falsa testimonianza. Aveva ragione sant’Agostino di dire: “Ama e fa’ ciò che vuoi”. Perché se uno ama davvero, tutto quello che farà sarà a fin di bene. Anche se rimprovera e corregge, sarà per amore, per il bene dell’altro.
In questa luce si capisce anche il Vangelo di oggi. Come si spiega la scena di un Gesù che con la frusta scaccia i mercanti dal tempio, che rovescia i tavoli dei cambiavalute e grida: “Via, fuori di qui!”, lui, di solito così mite e pacifico? Si spiega precisamente con l’amore, rientra in quell’ “ama e fa ciò che vuoi”. Egli è mosso da amore per il Padre celeste il cui zelo, dice il Vangelo, lo divorava; ma anche dall’amore per gli uomini. Bisognerebbe sapere chi erano e cosa facevano quei cambiavalute e quei venditori di colombe. Si era nelle vicinanze della Pasqua. Per questa festa erano soliti convenire a Gerusalemme giudei e credenti da tutte le parti del mondo, in numero a volte di oltre due milioni di persone. Ognuno doveva versare la tassa del tempio (il corrispondente del salario di due giorni) che però si poteva pagare solo in valuta locale. Arrivando con ogni sorta di moneta straniera, si doveva cambiarla nei cortili del tempio e, nel cambio, i cambiavalute riuscivano a spillare a quella povera gente, l’equivalente di un’altra giornata lavorativa. Lo stesso per i venditori di colombe. Quasi tutti i pellegrini volevano offrire un animale piccolo o grande come sacrificio per il tempio. Le vittime però dovevano essere dichiarate idonee da esperti del tempio. Se venivano acquistate fuori del tempio queste vittime venivano quasi certamente dichiarate non idonee, per cui bisognava acquistarle dentro il recinto del tempio, pagandole tre volte il prezzo normale.
Gesù reagisce quindi all’ingiustizia commessa contro i semplici e, più in generale, reagisce all’idea che bisogna presentarsi a Dio con vittime e offerte quasi fosse necessario pagare il suo favore. Dio è amore e tutto quello che vuole dall’uomo è che riconosca questo suo amore gratuito e vi risponda con l’osservanza dei comandamenti. Gesù fa suo il grido dei profeti: “Misericordia voglio, non sacrifici!” (Matteo 9,13). “L’obbedienza (ai miei comandamenti) vale più di tutti gli olocausti ed i sacrifici!” (cfr. 1 Samuele 15,22).
Ritorniamo ora al tema dei comandamenti. I dieci comandamenti vanno osservati congiuntamente; non si può osservarne cinque e violare gli altri cinque, o anche uno solo di essi. Ho paragonato i dieci comandamenti ai paletti indicatori lungo la salita al Monte Sinai, agli argini di un fiume e a una diga. Basta rimuovere uno di quei paletti per precipitare nel vuoto, basta che il fiume rompa gli argini in un punto per allagare tutto.
Ci sono persone che si son fatte delle strane convinzioni al riguardo. Certi uomini della mafia onorano scrupolosamente il padre e la madre, mai si permetterebbero di “desiderare la donna d’altri” e se un loro figlio bestemmia lo rimproverano aspramente, ma quanto a non uccidere, non dire il falso, non desiderare la roba d’altri, è tutt’un altro conto. Dovremmo esaminare la nostra vita per vedere se anche noi non facciamo qualcosa di simile, e cioè osserviamo scrupolosamente alcuni comandamenti e ne violiamo allegramente altri, anche se non gli stessi dei mafiosi. Noi non uccidiamo e non rubiamo, ma forse diciamo il falso, non onoriamo il padre e la madre, specie se anziani e soli, desideriamo la donna (o l’uomo) d’altri; oppure odiamo qualcuno, che, per la Scrittura, è come ucciderlo (1 Giovanni 3,15).
Vorrei attirare l’attenzione in particolare su uno dei comandamenti che in alcuni ambienti è più spesso trasgredito: “Non nominare il nome di Dio inva¬no”. “Invano” significa senza rispetto, o, peggio, con disprez¬zo, con ira, insomma bestemmiarlo. In certe regioni c’è gente che usa la bestemmia come una specie di intercalare ai propri discorsi, senza tenere in nessun conto i sentimenti di coloro che ascoltano. Molti giovani poi, specie se sono in compagnia, bestemmiano a ripetizione con l’evidente convinzione che in questo modo impressioneranno le ragazze presenti. Ma un giovanotto che non ha che questo mezzo per fare impressione sulle ragazze, vuol dire che è ridotto proprio male.
Basta un semplicissimo ragionamento per capire quanto la bestemmia sia assurda e, diciamo pure, stupida. O non si crede in Dio, e allora che cosa significa la be¬stemmia? contro chi è rivolta? Oppure, si crede che Dio esiste, com’è nella maggioranza dei casi, e allora la cosa, a pensarci bene, è terribile. Chi bestemmia, lo sfida, lo insulta! Quando una persona bestemmia somiglia a uno che è trattenuto per mano sopra un precipizio e che fa di tutto per colpire e graffiare negli occhi colui che lo trattiene, senza pensare che se essa lasciasse un istante la presa, egli precipiterebbe nel vuoto.
A volte, si dice: “È un’abitudine, non ci pensavo; mi è scappata di bocca, non volevo offendere Dio”. Ma io dico: se una persona, ogni volta che ci incontra, ci insultasse in pub¬blico, scusandosi con dire che non lo fa per cattiveria, ma solo per abitudine, accet¬teremmo questa scusa? Una volta, quan¬do sentivo bestemmiare intorno a me, mi sentivo fremere di sdegno. Ora mi viene spontaneo guardare il poveretto, specie se è un ragazzo o un giovane, con immensa pietà e tristezza, e dire tra me: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Oppure, dico semplice¬mente a chi ha bestemmiato, se le circostanze lo permettono: “Perché bestemmi! Dio è forse l’unica persona al mondo che ti vuole veramente bene”.
Non possiamo, però, fermarci qui, alla sola de¬nuncia amara della realtà della bestemmia. Bisogna cam-biarla! Questo compito non riguarda solo i bestemmiatori, ma anche la moglie, la fidanzata, il fratello, il padre. È un dovere di carità aiutare con dolcezza e fermezza il proprio congiunto a correggersi da questa abitudine tanto disonorevole, come si fa per qualsiasi altra cattiva abitudine. Si impiega tanto zelo per convincere una persona cara a smettere di fumare, dicendo che il fumo danneggia la salute; perché non fare altrettanto per convincerla a smettere di bestemmiare?
Là dove tu sei responsabile -in casa, nel tuo negozio, nel tuo bar, nel tuo ufficio, nel tuo taxi-, nessuno deve continuare a bestemmiare impunemente. Se puoi fare qualcosa e lo tolleri, per rispetto umano, è un po’ come se bestemmiassi anche tu. Sei connivente. Se poi lo farai con calma e rispetto, vedrai che ti saranno grati e, anziché perdere amici, ne guadagnerai. Ho visto in diversi negozi e locali pubblici appesa la scritta: “In questo locale non si bestemmia”. È un’iniziativa lodevole.
Ma non basta neppure smettere di bestemmiare. Il comandamento di Dio non ha solo un contenuto negativo, ma anche positivo. Bi¬sogna, in altre parole, benedire, lodare, adorare il nome di Dio. Gesù, nel Padre nostro, ci ha insegnato a dire: “Sia santificato il tuo nome!”. Cioè: sia rispettato, onorato, proclamato santo.
Ecco un suggerimento che potrebbe aiutare chi è cresciuto con la triste abitudine della bestemmia ed è sinceramente intenzionato a correggersi: ripetere, per ogni bestemmia che dovesse uscire inavvertitamente di bocca: “Sia santificato il tuo nome“, oppure “Dio sia benedetto!”, “Benedetto il suo santo nome!”. O semplicemente: “Signore, perdonami e aiutami a non farlo più!”.
Ricordiamo, per concludere, la parola di Giovanni che fa dell’osservanza di tutti i comandamenti una questione di amore: “In questo sta l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e si suoi comandamenti non sono gravosi” (1 Giovanni 5,3).