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I dieci comandamenti con l'esame di coscienza - Comandamento - II

Non nominare il nome di Dio invano

Autore: Padre Enrico Redolfi

È scritto: “Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano” (Libro dell’Esodo 20,7).
Si nomina invano il nome di Dio quando si bestemmia, quando si impreca contro il cielo, quando si usano parole irriverenti e scandalose contro Dio, la Madonna, i santi e gli angeli, oppure semplicemente quando si parla del Signore con leggerezza, ironia, mancanza di rispetto.
Ma si nomina invano il nome di Dio anche quando ci si comporta in modo contrario alla legge del Vangelo. Può, infatti, dire un figlio al padre: “Ti voglio bene, ti onoro, ti servo con amore”, se poi lo rattrista e lo offende con le opere? Non è dicendo: “Signore, Signore” che si ama Dio, ma nel compiere le sue opere: “Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico?” (Vangelo di Luca 6,46); “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Vangelo di Matteo 7,21); “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (Prima Lettera di Giovanni 3,18); “Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi” (Lettera di Giacomo 1,22);
“Se uno mi serve, il Padre lo onorerà” (Vangelo di Giovanni 12,26); “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Vangelo di Matteo 5,16). Risplenda la nostra luce! Ecco il modo migliore per dare gloria al Signore.
Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!” (Libro dell’Esodo 3,14). “Io sono colui che è, colui che ama, colui che salva”. Il Nome del Signore è Santo, come è Santa la sua Persona. Il Nome del Signore è Potente, Venerabile, Benedetto, Sacro, perciò dev’essere pronunciato con fede e amore, con rispetto e castità, con devozione e riconoscenza. Allora quel Nome diventa una forza e una difesa, poiché chi mette Dio a sigillo delle proprie azioni non può commettere azioni contro Dio, ma testimonia non può commettere azioni contro Dio, ma testimonia il suo amore con la vita e la parola. Chi invece sfoga la propria rabbia con il nome dell’Altissimo sulle labbra, attribuisce al Signore il male che lo adira. E così ogni bestemmia diventa anche una grossa menzogna.
Ecco ciò che fa la differenza e che muta il sacrilegio in culto: invocare Dio per mettere in fuga Satana e chiedere aumento di grazia contro le potenze del male. Nominarlo così non è peccato, anzi diventa occasione di bene e di crescita spirituale. L’uomo, infatti, viene perdonato se sorgono in lui il pentimento e la volontà di non peccare più.
È detto nella Genesi che il Serpente tentò Eva nell’ora in cui il Signore non passeggiava nell’Eden (Libro della Genesi 3,1-8). E perché era assente? Perché non era chiamato. E non era chiamato perché non c’era volontà di chiamarlo. Dio sarebbe venuto e il demonio sarebbe fuggito, poiché invocare Dio è supplica che scaccia il peccare e preghiera che dispone ad amare.
Pronunciamo bene il nome di Dio! Con la parola e con il cuore, col pensiero e con gli atti, con tutto noi stessi. Senza ipocrisia e interessi personali, nocivi a noi e al prossimo nostro. Per non sentirci soli, per chiedere aiuto, per supplicare perdono: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me!” (Vangelo di Marco 10,47). Pronunciare bene il nome di Dio è nominarlo con venerazione e con il timore di offenderlo. Riconoscere, senza dubitare, la grandezza della sua Santità e onorare, senza offendere, la santità della sua Grandezza (San’Agostíno).
Come è vero che “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” (Atti deglí Apostolí 2,21; Lettera dí San Paolo aí Romani 10, 13), così è anche vero che chi bestemmierà il nome di Dio sarà condannato. Non sarà perdonato chi pecca contro lo Spirito Santo (Vangelo di Marco 3,28-29; Prima Lettera di Gíovanní 5,16-17), poiché chi rifiuta Dio rifiuta la Vita. È la fede che salva (Vangelo di Marco 10,52; 16,16, Atti degli Apostoli 16,31; Lettera di San Paolo ai Galatí 2,16). Ma come può aver fede chi bestemmia Dio con atti e con parole? Dove c’è il peccato non ci può essere fede.
Nominiamo santamente il nome di Dio con la castità delle nostre buone parole e con la luce delle nostre opere buone!
Sono un testimone della fede con le parole e con le opere?
Ho imprecato e bestemmiato con ira verso Dio e la sua giustizia?
Ho offeso o banalizzato il nome di Dio, di Gesù Cristo, della Madonna, degli angeli e dei santi con parolacce, irriverenze, indiscrezioni, oppure nominandoli senza rispetto e senza motivo?
Ho deriso, disprezzato o criticato malignamente la Chiesa, i suoi ministri, le sue attività, la religione, la liturgia, l’ascesi, la spiritualità?
Uso un linguaggio casto, umile, gentile, buono e leale nell’esprimermi?
Venero come si conviene le immagini e gli oggetti sacri, o mi sono servito di essi per altri scopi non buoni? Ho giudicato malamente l’agire di Dio e dei suoi servi?
Ho preso le parole della Bibbia in modo superficiale, frettoloso e scorretto?
Mi lascio distrarre facilmente nella celebrazione liturgica della Santa Messa, dei sacramenti, nelle preghiere e nelle altre forme di pietà?
Sono coerente a ciò che credo e professo, con la bontà della mia vita e la verità della mia parola?
Porto scandalo con la mia condotta a chi mi vive accanto, soprattutto ai bambini e ai semplici?
Ho tradito il Signore ed ho rinnegato la fede con l’ira, la vendetta, la lussuria, con parole ingiuriose o altre gravi mancanze?
Ho acconsentito a teorie e ragionamenti contrari alla rivelazione divina?
Ho usato il nome di Dio per appoggiare situazioni e discorsi contrari alla fede cattolica?

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