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Non rubare

I dieci comandamenti con l'esame di coscienza - Comandamento VII "Non rubare"

Autore: Padre Enrico Redolfi

“Non rubare” (Libro dell’Esodo 20,15).

I Comandamenti sono fonte di vita eterna, perché chi li osserva ha Dio in sé. Anche il settimo comandamento rientra in quei precetti necessari per avere la vita eterna. Leggiamo infatti nel Vangelo di Matteo: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso” (Vangelo di Matteo 19,17-19).

Il furto è un’offesa alla giustizia e ancor più alla carità: “Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo. Esso prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del frutto del lavoro umano” (Catechismo della Chiesa Cattolica 2401).

Chi non ama non può entrare nel regno dei cieli. Ricordiamo le severe parole verso chi fu cattivo, scandite durante il giudizio finale: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato… In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me” (Vangelo di Matteo 25,41-43.45).
Il ladro non entrerà nel regno dei cieli: “Ogni ladro sarà scacciato via di qui” (Libro del Profeta Zaccaria 5,3).

La carità è un ottimo sostegno per non mancare verso il settimo comandamento. Essa copre una moltitudine di peccati (Prima Lettera di San Pietro 4,8).

Il furto non è solo di cose, di denaro, di proprietà, di lavoro. Esso può anche riguardare il pensiero, la libertà, il cuore, la fede, la pace, l’amore. Così è furto levare l’onore a un uomo, la dignità a una donna, la tranquillità a un familiare, la fede a un credente, l’innocenza a un bambino, la paternità o la maternità a un nato, la speranza a un anziano, la moglie a un marito, l’affetto a un bisognoso (Secondo Libro di Samuele 11,2-4).

Lo stesso doppio lavoro, fatto per ingordigia di guadagno, diventa una violazione del settimo comandamento, perché in questo modo si toglie l’impiego a un disoccupato e viene sacrificato il tempo che andrebbe destinato alla moglie, ai figli, a se stessi, a Dio, agli altri.

Se abbiamo fatto un male a qualcuno, Dio ci ordina di riparare come possiamo al danno arrecato e di non farlo più (Vangelo di Giovanni 8,11). In questo modo otteniamo perdono dal Signore, perché c’è vero pentimento solo quando c’è buon proponimento. Così fece anche Zaccheo: “Se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (Vangelo di Luca 19,8).
Come membri di una comunità civile ben organizzata, dove tutti usufruiscono dello stesso bene comune, abbiamo dei doveri anche verso lo stato pagando le tasse per i servizi pubblici che ci vengono offerti. Altrimenti creiamo disagio, ingiustizia, disordine, povertà. Come insegna il Signore, dobbiamo rendere allo stato ciò che è dello stato: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Vangelo di Marco 12,17).

La nostra vita non dipende dai beni che abbiamo, ma dalla grazia che ci viene concessa. Perciò Gesù ci raccomanda di non attaccarci morbosamente alle cose materiali e di stare lontani dall’avarizia che è un furto verso chi è bisognoso: “Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni” (Vangelo di Luca 12,15); “Procuratevi amici con la iniqua ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Vangelo di Luca 16,9), parabola del povero Lazzaro (Vangelo di Luca 16,19-31). Ricordiamo che nulla abbiamo portato in questo mondo e nulla possiamo portare nell’altro. Usiamo ciò che possediamo, ma senza esserne posseduti: “Chi accumula ricchezze è il più povero dei poveri, perché non è padrone di se stesso: sembra un possessore, ma in realtà è dal denaro posseduto”
(Sant’Antonio di Padova).

Come dice San Paolo: “L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali” (Prima Lettera di San Paolo a Timoteo 6,10). La ricchezza, quando è disonesta, causa sempre insoddisfazione nell’anima e danno nel corpo, poiché il denaro avuto ingiustamente è sempre speso malamente. Chi ruba, infatti, è destinato a spendere per godere e a non godere ciò che spende. Sembra felice, ma in realtà ha il rimorso nell’animo e, come Giuda, vorrebbe liberarsi di quel denaro sporco (Vangelo di Matteo 27,5).
Anche il disprezzo e lo spreco dei beni della creazione, come il danno ecologico e lo sfruttamento esagerato delle risorse naturali, sono da considerarsi un’offesa a Dio e al prossimo. È una verità della Chiesa che “il settimo comandamento esige il rispetto dell’integrità della creazione. Gli animali, come le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene comune dell’umanità. L’uso delle risorse minerali, vegetali e animali dell’universo non può essere separato dal rispetto delle esigenze morali. La signoria sugli esseri inanimati e sugli altri viventi accordata dal Creatore all’uomo non è assoluta; deve misurarsi con la sollecitudine per la qualità della vita del prossimo, compresa quella delle generazioni future, ed esige un religioso rispetto dell’integrità della creazione” (Catechismo della Chiesa Cattolica 2415).

Chi ruba si deruba, poiché perde Iddio. Perciò: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno” (Lettera di San Paolo ai Romani 13,13) e non affanniamoci ad accumulare tesori sulla terra, perché nulla ci possiamo portare nella tomba. Aiutiamo invece chi ha bisogno, sia nelle necessità corporali che in quelle spirituali, procurandoci così un tesoro nel cielo: “Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Vangelo di Matteo 6,19-21).

Ho preso terreni, proprietà, denaro, lavoro, stima, affetti non miei? Faccio il proposito di restituire ciò che non è mio e di non rubare più?
Approfitto di chi è semplice, buono, inabile o incompetente, derubandolo ingiustamente? Sfrutto con inganno la generosità altrui?
Ho rubato la donna o l’uomo del mio prossimo, causando separazione, divorzio o altre forme di male materiale, morale e spirituale?

Cerco di essere distaccato dalle cose materiali? So rinunciare a qualcosa per mettere pace e armonia in famiglia e sul lavoro?
Le ingiustizie sociali e i bisogni altrui mi lasciano indifferente? Cerco di non sprecare ciò che potrebbe servire ad altri?

Rispetto i diritti umani? Mi sforzo di non danneggiare in alcun modo il mio prossimo, specie i piccoli, gli anziani, gli innocenti?
Sono giusto nel mio impiego con colleghi, dipendenti e datori di lavoro, operando con onestà, impegno e professionalità?

Frodo lo stato evadendo le tasse, oppure aiutando e consigliando a non pagarle? Pago ciò che è richiesto per i servizi pubblici che mi sono offerti?
Condanno e disapprovo ogni forma di ladrocinio da parte di istituzioni pubbliche o di privati?
Rispetto la natura e i beni demaniali come un patrimonio a disposizione di tutti?

Sono avaro nel gestire, ingordo nell’avere, geloso nel possedere, ingiusto nel chiedere, insensibile nello sprecare, impietoso nel pretendere?
Sfrutto per interesse egoistico e per guadagno illecito cose o servizi non miei?
Diffondo menzogne per danneggiare il mio prossimo e impossessarmi dei suoi beni?

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