I passaggi della vita: naturali, cercati, a volte imposti
Meditazione per la quarta domenica di Quaresima
Autore: Padre Gaetano Piccolo
I passaggi della vita
Ci sono molti passaggi nella nostra vita, passaggi a volte naturali, altre volte cercati, altre volte addirittura imposti dagli altri. Ci sono infatti i passaggi da un’età all’altra della vita o i passaggi dei ruoli e dei compiti, quando per esempio “diventiamo grandi” o “diventiamo genitori”. E anche in questo caso non è sempre facile e immediato accogliere questi cambiamenti. Ma ancora più difficile è accogliere questi passaggi quando sono imposti dagli altri o dalle situazioni. In alcuni casi infatti questi passaggi sembrano un vero esilio: siamo costretti a lasciare quello che stavamo costruendo, siamo costretti a rinunciare a noi stessi, ai progetti, ai desideri, persino alle relazioni.
In esilio
Forse per questo la memoria dell’esilio è rimasta non solo fortemente impressa nella storia del popolo d’Israele, ma quell’esperienza è diventata paradigmatica, un simbolo cioè di quello che può accadere nella vita di un popolo e di ogni singola persona. Il testo del libro delle Cronache, che viene proposto in questa quarta domenica di quaresima, è solo uno dei numerosi riferimenti all’esperienza dell’esilio che troviamo nell’Antico Testamento.
Per Israele, l’esilio significa non essere più padrone della propria vita: un altro decide al suo posto, lo deporta da una terra familiare a una terra straniera. Israele improvvisamente deve smettere di costruire quello a cui stava lavorando e quando poi tornerà finalmente nella sua terra troverà solo macerie. Il tempo dell’esilio però diventa per Israele anche un tempo paradossalmente privilegiato, perché vivrà anche l’esperienza della premura di Dio. Negli anni dell’esilio, Israele rivedrà anche il suo rapporto con Dio e imparerà a crescere nella fedeltà, ma soprattutto si renderà conto di come Dio non abbia mai smesso di accompagnarlo. E una volta rientrato nella terra della promessa, potrà cominciare a ricostruire.
Sulla strada del ritorno
I passaggi della vita quindi, benché senz’altro dolorosi, ci permettono anche di ricostruire in modo nuovo su una terra rigenerata. Ricominciare è sempre difficile, soprattutto quando ti ritrovi davanti alle macerie di una città per lungo tempo lasciata deserta. Erano forse questi i sentimenti che albergavano nel cuore degli israeliti che, mentre tornavano verso la loro terra, cantavano il salmo 136 che oggi la liturgia ci propone. Insieme ad altri salmi fa parte proprio di quei canti rivolti a Dio sulla strada del ritorno.
Come si può cantare in una terra straniera? Possiamo cantare solo nel momento in cui ci viene data la possibilità di riappropriarci della nostra vita, della nostra identità, di quello che siamo veramente. L’esilio è l’esperienza di abitare una realtà che non è nostra, siamo in esilio quando siamo costretti a vivere una vita che non è vera, che non ci appartiene, nella quale non ci ritroviamo.
Liberati dalla morte
Ma sicuramente l’esilio più pericoloso è quello che viviamo quando abitiamo situazioni di morte, quando ci sentiamo traditi e sconfitti, quando ci sentiamo vittima di un giudizio nel quale non ci riconosciamo. Da quell’esilio però ci salva Cristo. La lettera agli Efesini ci ricorda infatti che Cristo è venuto a liberarci dalla morte, il vero e più pericoloso esilio. Cristo viene a riportarci alla vita. Ogni volta che ci sentiamo dentro situazioni di morte, dobbiamo ritornare a questa certezza: da morti che eravamo, Cristo ci ha riportato alla vita!
Un nuovo modo di amare
Anche Nicodemo, come leggiamo nel capitolo 3 del Vangelo di Giovanni, si trova in un passaggio importante della vita. Sta inseguendo le sue domande. È animato dal dubbio e dalla curiosità. Il modo forse in cui stava vivendo la sua fede non rispondeva più alle esigenze del suo cuore. Sta cercando un modo nuovo di credere e di amare. Anche per lui si profila un passaggio che Gesù descrive con un’immagine: è un passaggio dalle tenebre alla luce, dal dubbio alla verità, dalla paura alla vita. Nicodemo è un personaggio noto, un capo dei Giudei, un fariseo, e forse per questo va da Gesù di notte. Forse non vuole essere visto, non vuole compromettere la sua immagine. O forse quella notte indica nel Vangelo di Giovanni la notte che c’è nel suo cuore. Gesù infatti insiste su questo passaggio. Chi è nelle tenebre ha paura di essere giudicato, chi invece è nella luce è libero e può essere pienamente se stesso. Chi è nelle tenebre è in esilio da se stesso, non riesce ad abitare la propria vita. Chi è nelle tenebre è schiavo delle paure e dei pregiudizi, quindi è in esilio. Abbiamo tutti bisogno di percorrere questo cammino che ci riporta nella luce, cioè nella verità di noi stessi.
Il passaggio fondamentale
Per questo Gesù, nel dialogo con Nicodemo, richiama un’altra esperienza fondamentale del popolo di Israele. Quella del cammino nel deserto, durante il quale Israele si lascia prendere dalle sue paure. Paure sicuramente comprensibili, ma che piano piano prendono sempre più spazio nel cuore delle persone. Israele si lascia ossessionare così tanto da quelle paure, che esse si materializzano: la paura prende la forma di serpenti velenosi che avvelenano gli israeliti, proprio come le nostre paure, a cui diamo spazio e da cui ci lasciamo avvelenare. Per guarire da quella paura, Dio dà un’indicazione: occorre guardare il serpente di rame innalzato da Mosè su un’asta. La guarigione è possibile solo guardando in faccia l’oggetto della nostra paura.
Attraverso questa immagine, Gesù vuole aiutare però Nicodemo a fare un passaggio ulteriore: la nostra liberazione dalla paura, adesso, passa attraverso il figlio dell’uomo innalzato sulla croce, è a lui che dobbiamo guardare per risorgere dalle nostre situazioni di morte. Cristo è colui che ci fa compiere il più grande passaggio della nostra vita, quel passaggio che dalla morte, e da ogni situazione di morte, ci fa entrare nella vita.