Il Capo e lo Sposo della Chiesa
L'amore fondante e sponsale di Cristo per la Chiesa
Autore: San Giovanni Paolo II
1. Scrive San Paolo agli Efesini: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5, 25). Come si vede, l’analogia dell’amore sponsale, ereditata dai profeti dell’Antica Alleanza, riapparsa nella predicazione di Giovanni Battista, ripresa da Gesù e passata nei vangeli, è riproposta dall’apostolo Paolo. Il Battista e i Vangeli presentano il Cristo come Sposo: lo abbiamo visto nella catechesi precedente. Sposo del nuovo Popolo di Dio, che è la Chiesa. Sulla bocca di Gesù e del suo Precursore l’analogia ricevuta dall’Antica Alleanza era usata per annunciare che era venuto il tempo della sua reale attuazione. Furono gli eventi pasquali a darle pienezza di significato. Proprio in riferimento a tali eventi l’Apostolo può scrivere nella lettera egli Efesini che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”. In queste parole vi è l’eco dei profeti che nell’Antica Alleanza avevano usato l’analogia per parlare dell’amore sponsale di Dio per il popolo eletto, Israele; vi è almeno implicitamente il riferimento all’applicazione che Gesù ne aveva fatto a se stesso, presentandosi quale Sposo, come doveva essere stato detto dagli Apostoli alle prime comunità, nelle quali nacquero i Vangeli; vi è un approfondimento della dimensione salvifica dell’amore di Cristo Gesù, che è nello stesso tempo sponsale e redentivo: “Cristo ha dato se stesso per la Chiesa”, ricorda l’Apostolo.
2. Ciò risulta con evidenza anche maggiore se si considera che la lettera agli Efesini mette in diretta relazione l’amore sponsale di Cristo per la Chiesa e il sacramento che unisce come sposi l’uomo e la donna, consacrandone l’amore. Leggiamo infatti: “E voi mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola [riferimento al Battesimo], al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5, 25-27). Poco più oltre nella lettera, l’Apostolo stesso sottolinea il grande mistero dell’unione sponsale perché la mette “in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ef 5, 32). Il significato essenziale del suo discorso è che nel matrimonio e nell’amore sponsale cristiano si riflette l’amore sponsale del Redentore per la sua Chiesa: amore redentivo, carico di potenza salvifica, operante nel mistero della grazia con cui il Cristo partecipa la vita nuova alle membra del suo Corpo.
3. È per questo che nello svolgimento del suo discorso l’Apostolo ricorre al passo del Genesi che, parlando dell’unione dell’uomo con la donna, dice: “I due formeranno una carne sola” (Ef 5, 31; Gen 2, 24). Ispirandosi a questa affermazione, l’Apostolo scrive: “I mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; ma al contrario (ognuno) la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa” (Ef 5, 28-29).
Si può dire che nel pensiero di Paolo l’amore sponsale rientra in una legge di uguaglianza che l’uomo e la donna attuano in Gesù Cristo (cf. 1 Cor 7, 4). Tuttavia quando l’Apostolo constata: “Il marito . . . è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo Corpo” (Ef 5, 23), l’uguaglianza, la parità interumana viene superata, perché c’è un ordine nell’amore. L’amore del marito per la moglie è partecipazione dell’amore di Cristo per la Chiesa. Orbene Cristo, Sposo della Chiesa, è stato primo nell’amore, perché ha attuato la salvezza (cf. Rm 5, 6; 1 Gv 4, 19). Quindi egli è allo stesso tempo “Capo” della Chiesa, suo “Corpo”, che egli salva, nutre e cura con ineffabile amore.
Questo rapporto tra Capo e Corpo non annulla la reciprocità sponsale, ma la rafforza. È proprio la precedenza del Redentore nei riguardi dei redenti (e dunque della Chiesa) che rende possibile tale reciprocità sponsale, in forza della grazia che il Cristo stesso elargisce. Questa è l’essenza del mistero della Chiesa come Sposa di Cristo-Redentore, verità ripetutamente testimoniata e insegnata da San Paolo.
4. L’Apostolo non è un testimone distaccato e disinteressato, come se parlasse o scrivesse a titolo accademico o notarile. Nelle sue lettere si rivela profondamente coinvolto nell’impegno di inculcare questa verità. Come scrive ai Corinzi: “Io provo… per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo” (2 Cor 11, 2). In questo testo Paolo presenta se stesso come l’amico dello Sposo, la cui ardente preoccupazione è di favorire la perfetta fedeltà della sposa all’unione coniugale. Difatti prosegue: “Temo . . . che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo” (2 Cor 11, 3). Questa è la gelosia dell’Apostolo!
5. Anche nella prima lettera ai Corinzi leggiamo la stessa verità della lettera agli Efesini e della seconda lettera ai Corinzi stessi, su citate. Scrive infatti l’Apostolo: “Non sapete voi che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta: Non sia mai!” (1 Cor 6, 15). Anche qui è facile avvertire quasi un’eco dei profeti dell’Antica Alleanza che accusavano il popolo di prostituzione, specialmente per le sue cadute nell’idolatria. A differenza dei profeti che parlavano di “prostituzione” in senso metaforico, per stigmatizzare qualsiasi grave colpa d’infedeltà alla legge di Dio, Paolo parla effettivamente di rapporti sessuali con prostitute e li dichiara assolutamente incompatibili con l’essere cristiani. Non è pensabile prendere membra di Cristo e farne membra di una prostituta. Paolo precisa poi un punto importante: mentre la relazione di un uomo con una prostituta si attua solo al livello della carne e provoca quindi un divorzio tra carne e spirito, l’unione con Cristo si attua al livello dello spirito e corrisponde quindi a tutte le esigenze dell’amore autentico: “O non sapete, scrive l’Apostolo, che chi si unisce alla prostituta forma con essa un solo corpo? I due saranno, è detto, una sola carne. Invece chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito” (1 Cor 6, 16-17). Come si vede l’analogia usata dai profeti per condannare con tanta passione la profanazione, il tradimento dell’amore sponsale di Israele col suo Dio, serve qui all’Apostolo per mettere in risalto l’unione con Cristo, che è l’essenza della Nuova Alleanza, e per precisarne le esigenze per la condotta cristiana: “Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito”.
6. Occorreva l’“esperienza” della Pasqua di Cristo, occorreva l’“esperienza” della Pentecoste, per attribuire un tale significato all’analogia dell’amore sponsale, ereditata dai profeti. Paolo conosceva quella duplice esperienza della comunità primitiva, che aveva ricevuto dai discepoli non solo l’istruzione, ma la comunicazione viva di quel mistero. Egli aveva rivissuto e approfondito quella esperienza, e ora, a sua volta, se ne faceva apostolo con i fedeli di Corinto, di Efeso e di tutte le Chiese a cui scriveva. Era una traduzione sublime della sua esperienza della sponsalità di Cristo e della Chiesa: “O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?” (1 Cor 6,19).
7. Concludiamo anche noi con questa constatazione di fede, che ci fa desiderare la bella esperienza: la Chiesa è la Sposa di Cristo. Come Sposa appartiene a Lui in virtù dello Spirito Santo che, attingendo “alle sorgenti della salvezza” (Is 12, 3), santifica la Chiesa e le permette di rispondere con l’amore all’amore.
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