Il giusto amore per sé stessi
Formazione della personalità : conoscersi è indispensabile per essere felici
Autore: Fra Joachim Cabanyes
Non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati […], ma con il sangue prezioso di Cristo[1]. San Pietro ricorda ai primi cristiani come la loro esistenza abbia un valore incommensurabile, perché è stata oggetto del grande amore del Signore, che ci ha redenti. Cristo, con il dono della filiazione divina, rende sicuri i nostri passi nel mondo. In questi termini un ragazzo raccontava a san Josemaría: “Padre – mi diceva quel ragazzone (che ne sarà stato di lui?), bravo studente della Centrale –, pensavo a quello che lei mi ha detto… che sono figlio di Dio! E per la strada mi sono sorpreso impettito al di fuori e superbo al di dentro… figlio di Dio!”. Gli consigliai, con coscienza sicura, di fomentare la “superbia”[2].
Conoscere la grandezza della nostra condizione
Come si deve intendere l’espressione fomentare la “superbia”? Sicuramente non si tratta di immaginarci virtù frutto di fantasia, né di vivere con un senso di autosufficienza che prima o poi tradisce. L’idea di fondo consiste nel conoscere la grandezza della nostra condizione: l’essere umano «in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa»[3]; creato a sua immagine e somiglianza, è chiamato a portare alla pienezza questa immagine, identificandosi sempre più con Cristo per azione della grazia.
Questa vocazione sublime costituisce la base del giusto amore di se stesso, che è presente nella fede cristiana. Alla luce di questa fede, possiamo giudicare i nostri successi e le nostre sconfitte. L’accettazione serena della nostra identità condiziona il nostro modo di stare nel mondo e di operarvi. Inoltre contribuisce alla fiducia in se stessi, che attenua i timori, la precipitazione e l’introversione, favorisce l’apertura agli altri e alle nuove situazioni e incoraggia l’ottimismo e la gioia.
Il concetto positivo o negativo che abbiamo di noi dipende dalla conoscenza di sé e dal raggiungimento dei traguardi che ognuno si propone. Questi si rifanno, in buona misura, ai modelli di persona che vogliamo raggiungere e che ci si presentano in modi molto diversi, per esempio, attraverso l’educazione ricevuta in famiglia, il comportamento degli amici o dei conoscenti, le idee predominanti in una determinata società. Proprio per questo è importante stabilire quali sono i nostri punti di riferimento, perché se sono alti e nobili, contribuiranno a una adeguata autostima. Conviene poi identificare quali sono i modelli che circolano nel nostro ambiente perché, più o meno consapevolmente, influiscono sulla nostra autostima.
Interrogarsi sui modelli
Qualche volta può accadere che formuliamo un giudizio distorto su noi stessi perché abbiamo adottato alcuni criteri assai diffusi, che, di fatto, sono essere poco realistici e addirittura nocivi: l’efficienza professionale a qualsiasi prezzo, le relazioni affettive egocentriche, gli stili di vita impregnati di edonismo. Ci possiamo sopravvalutare dopo alcuni successi, che ci paiono apprezzati dagli altri; può anche accadere il contrario: ci sottovalutiamo perché non abbiamo raggiunto determinati obiettivi o perché non ci sentiamo considerati abbastanza. Queste valutazioni sbagliate sono, in grande misura, la conseguenza di guardare troppo a quanti giudicano la traiettoria personale esclusivamente sulla base di ciò che si ottiene, o si possiede.
Per evitare i rischi di cui sopra, conviene domandarsi quali siano i nostri punti di riferimento nella vita professionale, familiare, sociale e se sono compatibili con una prospettiva cristiana dell’esistenza. Sappiamo, oltretutto, che alla fin fine il modello più perfetto, completo e pienamente coerente è Cristo. Considerare la nostra vita alla luce della sua è il modo migliore di valutarci, perché sappiamo che Gesù è un esempio vicino, con il quale abbiamo un rapporto personale – a tu per tu – attraverso l’amore
Autoconoscenza: con la luce di Dio
Per giudicarsi veramente, non si può fare a meno di conoscersi. È un compito complesso, che richiede un apprendistato che, in un certo senso, non termina mai. Ha inizio con il superamento di una prospettiva esclusivamente soggettiva – “secondo me”, “secondo la mia opinione”, “a me sembra”… – per prendere in considerazione altri pareri. Se non sappiamo neppure con esattezza com’è la nostra voce o la nostra apparenza fisica, e dobbiamo ricorrere a strumenti come un registratore o lo specchio, quanto più sarà indispensabile ammettere di non essere noi i migliori giudici nel valutare la nostra personalità!
Oltre che della riflessione personale, la conoscenza di se stesso dev’essere frutto di ciò che gli altri ci dicono di noi. Questo si ottiene se sappiamo aprirci a coloro che possono aiutarci – quale grande risorsa è la direzione spirituale personale! –, accettando le loro opinioni e considerandole alla luce di un giusto ideale di vita. In questo ambito hanno una certa influenza anche l’interazione con coloro che ci stanno attorno, le mode e le consuetudini della società. Un ambiente che stimola la riflessione favorisce lo sviluppo dei mezzi di introspezione; ma se lo stile di vita che prevale attorno a noi è superficiale, tale sviluppo sarà limitato.
Allora conviene favorire alcuni abiti di riflessione e domandarci come ci vede Dio. L’orazione è il tempo opportuno, perché nello stesso momento in cui conosciamo il Signore conosceremo noi stessi con la sua luce. Fra le altre cose, riusciremo a comprendere i suggerimenti e i consigli che possiamo ricevere dagli altri. In qualche caso, sapremo prendere le distanze dai giudizi di altre persone quando notiamo che sono poco oggettivi, o superficiali, e soprattutto impostati secondo criteri non compatibili con ciò che Dio vuole. Bisogna saper scegliere a chi prestare più attenzione, perché, come dice la Scrittura, meglio ascoltare il rimprovero del saggio che ascoltare il canto degli stolti[4].
D’altra parte, dato che tutti siamo in parte responsabili dell’autostima di quanti ci stanno accanto, dobbiamo sforzarci di far sì che nelle nostre parole si noti la considerazione per ognuno, in quanto figlio di Dio. Specialmente se ricopriamo una posizione di autorità o di guida (nella relazione padre-figlio, insegnante-alunno, ecc.), i consigli e le indicazioni contribuiranno a confermare negli altri la convinzione del proprio valore, anche nel caso in cui sia necessario correggere con chiarezza. Questo è il punto di partenza, l’ossigeno, perché poi la persona cresca respirando da sé, con speranza.
L’accettazione personale: così ci vuole il Signore
Nel considerare il proprio modo di essere alla luce di Dio, siamo nelle condizioni di accettarci così come siamo: con talenti e virtù, ma anche con difetti che riconosciamo umilmente. La vera autostima ci richiede di ammettere che non tutti siamo uguali e che accettiamo che altre persone possano essere più intelligenti, suonare meglio uno strumento musicale, essere migliori sportivi… Tutti abbiamo buone qualità che possiamo perfezionare e, più importante ancora, tutti siamo figli di Dio. In questo consiste la genuina auto-accettazione, il senso positivo dell’amor proprio del cristiano che vuole servire Dio e gli altri, evitando i paragoni eccessivi che potrebbero condurre alla tristezza.
Alla fine, ci accetteremo così come siamo se non perdiamo di vista che Dio ci ama con i nostri limiti, che pure fanno parte del nostro cammino di santificazione e sono la materia della nostra lotta. Il Signore ci sceglie, come i primi Dodici: …uomini comuni, con i loro difetti, le loro debolezze, la loro parola più lunga delle opere. E tuttavia Gesù li chiama per farne dei pescatori di uomini (cfr. Mt 4, 19), i corredentori e amministratori della grazia di Dio[5].
Davanti al successo e alle sconfitte
Da questa impostazione soprannaturale si comprende con una maggiore profondità il nostro modo di essere e la nostra traiettoria biografica, con il loro pieno significato. Si ridimensionano, con una visione di eternità, i fatti e i buoni risultati transitori. Se ci rallegriamo per il successo di una nostra attività, sappiamo anche che la cosa più importante è che ciò ci sia servito a crescere in santità. È il realismo cristiano, maturità umana e soprannaturale, che, come non si esalta per una vittoria o per una lode, neppure si lascia trascinare dal pessimismo in caso di sconfitta. Quanto aiuta dire, con san Pietro, che le cose buone le abbiamo fatte nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno[6]!
Allo stesso tempo, ammettere che le difficoltà esterne e le proprie imperfezioni limitano i nostri successi è uno degli aspetti che dà forma all’autostima, getta le basi della maturità personale e apre le porte dell’apprendimento. Noi possiamo apprendere solamente se riconosciamo le nostre carenze e se siamo disposti a ricavare esperienze positive dagli eventi. Hai avuto un insuccesso! Noi non abbiamo mai insuccessi. Hai totalmente riposto in Dio la tua fiducia. Non hai tralasciato, poi, alcun mezzo umano. Convinciti di questa verità: il tuo successo – ora e in questa circostanza – era fallire. Ringrazia il Signore e ricomincia di nuovo![7]. Siamo in condizione di intraprendere il cammino della Croce, che mette in evidenza i paradossi della fortezza e della debolezza, la grandezza della miseria e la crescita nell’umiliazione, e mostra la sua straordinaria efficacia.
Agire con sicurezza e sapersi correggere
La sicurezza personale è più ferma quando poggia sulla consapevolezza di essere figli amati di Dio, e non sulla certezza di raggiungere il successo, che tante volte ci sfugge. Questa convinzione permette di tollerare il rischio che accompagna qualunque decisione, superare la paralisi dovuta all’insicurezza e conservare un atteggiamento di ragionevole apertura verso il nuovo. Prudente non è chi non sbaglia mai, ma chi sa correggere i propri errori. È prudente perché preferisce sbagliare venti volte piuttosto che abbandonarsi a un comodo astensionismo; perché non agisce con stolta precipitazione né con assurda temerarietà, ma accetta il rischio delle sue decisioni e non rinuncia a cercare il bene per timore di sbagliare[8].
Partendo dalle limitazioni personali e dalla capacità di imparare di ogni essere umano, correggersi comporta un miglioramento, un arricchimento personale che, a sua volta, si riversa su quanti gli stanno accanto, contribuendo contemporaneamente ad aumentare la fiducia in se stesso. Colui che si mette nelle mani del Padre celeste è al sicuro, perché tutto concorre al bene di coloro che amano Dio[9], anche le cadute, se poi chiediamo perdono al Signore e, con la sua grazia, ci rialziamo perché siamo cresciuti in umiltà. In tal modo, sapersi correggere fa parte del processo di conversione: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, Egli, che è fedele e giusto, ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa[10].
Una virtù indispensabile
L’autostima cresce, in definitiva, sotto la protezione dell’umiltà, perché è la virtù che ci aiuta a comprendere, a un tempo, la nostra miseria e la nostra grandezza[11]. Se manca questo atteggiamento dell’anima, non è raro che poi arrivino problemi di stima personale. Quando la si coltiva, acquistiamo realismo e valutiamo secondo verità: non siamo uomini o donne impeccabili, ma neppure siamo esseri depravati! Siamo figli di Dio, e fra le nostre limitazioni siamo consapevoli di una dignità insospettata.
L’umiltà genera quella riflessione interiore che permette di conoscerci come siamo e ci spinge a cercare sinceramente l’appoggio degli altri, mentre nello stesso tempo diamo loro il nostro. Del resto, noi, tutti e ciascuno, abbiamo bisogno di Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo[12], che è Padre misericordioso e veglia continuamente per noi. Quanta sicurezza e fiducia vi fu nella vita della Madonna! Se può dire che grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome[13] è perché vive con la profonda consapevolezza dell’umiltà della sua serva[14]. In Lei, umiltà e consapevolezza della grandezza della propria vocazione si armonizzano meravigliosamente.
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