Il lavoro e la famiglia
Lavorare bene, lavorare per amore - XIV
Autore: Javier López Díaz
Nell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia (n. 31) Papa Francesco ha ricordato che il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa. A sua volta, «il lavoro è il fondamento su cui si forma la vita familiare […]. Questi due cerchi di valori – uno congiunto al lavoro, l’altro conseguente al carattere familiare della vita umana – devono unirsi tra loro in modo corretto, e correttamente permearsi».
Armonizzare le esigenze della vocazione familiare e della vocazione professionale non sempre è facile, però è una parte importante dell’impegno necessario per vivere in unità di vita.
È l’amore di Dio a dare unità, a mettere ordine nel cuore, a insegnare quali sono le priorità. Tra queste priorità c’è quella di saper collocare sempre il bene delle persone al di sopra di ogni altro interesse, lavorando per servire, come manifestazione della carità; e vivere la carità in maniera ordinata, cominciando da quelli che Dio ci ha affidato più direttamente.
La vita familiare e la vita professionale si sostengono a vicenda. Il lavoro, dentro e fuori casa, «è, in un certo modo, la condizione per rendere possibile la fondazione di una famiglia». In primo luogo, perché la famiglia «esige i mezzi di sussistenza, che in via normale l’uomo acquisisce mediante il lavoro».
A sua volta, il lavoro è un elemento fondamentale per raggiungere i fini della famiglia. «Lavoro e laboriosità condizionano anche tutto il processo di educazione nella famiglia, proprio per la ragione che ognuno “diventa uomo”, fra l’altro, mediante il lavoro, e quel diventare uomo esprime appunto lo scopo principale di tutto il processo educativo».
La Sacra Famiglia ci mostra come tenere uniti questi due ambiti. San Josemaría imparò e insegnò le lezioni di Santa Maria e di San Giuseppe, che con il loro lavoro diedero a Gesù la possibilità di crescere e svilupparsi. A Nazaret «nessuno si riserva niente. Lì non si sente parlare del mio onore, né del mio tempo, né del mio lavoro, né delle mie idee, né dei miei gusti, né dei miei soldi. Lì si mette ogni cosa al servizio del grandioso gioco di Dio con l’umanità, che consiste nella Redenzione».
«Guardate bene: che fa Giuseppe, con Maria e con Gesù, per seguire il mandato del Padre, la mozione dello Spirito Santo? Dona loro l’intero suo essere, mette al loro servizio la propria vita di lavoratore. Giuseppe, che è una creatura, dà da mangiare al Creatore; egli, che è un povero artigiano, santifica il proprio lavoro professionale, cosa della quale i cristiani si erano dimenticati per secoli, e che l’Opus Dei è venuto a ricordare. Dà loro la propria vita, dona loro l’amore del suo cuore e la tenerezza delle sue attenzioni, offre la fortezza delle proprie braccia, dà… tutto quello che è e che può: il lavoro professionale ordinario, inerente alla propria condizione».
San Giuseppe ha lavorato per servire il Figlio di Dio e sua Madre. Non sappiamo nulla dei prodotti materiali del suo lavoro, né sono giunti fino a noi gli oggetti che avrà fabbricato o riparato; sappiamo, invece, che la sua attività è servita all’opera della Redenzione. Giuseppe ha insegnato a Gesù il mestiere al quale ha dedicato lunghi anni della sua vita e ha lavorato profondamente unito a chi, già in quei momenti, ci stava redimendo. Con il suo lavoro ha edificato il focolare di Nazaret nel quale doveva crescere Gesù, un focolare che è immagine della Chiesa. Non ha mai trascurato la Famiglia per dedicarsi al suo mestiere di artigiano, o per la stanchezza di
una giornata di lavoro, ma lo ha messo interamente al servizio del Figlio di Dio e di Maria Vergine, che non ha privato delle attenzioni proprie di un capo famiglia. E il suo lavoro – lungi dal rimanere impoverito dalle esigenze imposte da tali attenzioni – viaggi, cambiamento di paese e di domicilio, difficoltà e pericoli – alla fine risultò infinitamente arricchito.
Che grande lezione per noi che ci lasciamo affascinare facilmente dal desiderio di un’affermazione personale e dal successo nel lavoro! La gloria di san Giuseppe è stata veder crescere Gesù in sapienza, in età e in grazia , e servire la Madre di Dio. Le ore di impegno continuo del Santo Patriarca non avevano termine soltanto in un’opera materiale, per ben fatta che fosse, ma nel bene di Gesù e di Maria. Erano la via per amare Dio in suo Figlio e nella Madre di Lui.
Dio ci ha dato anche la possibilità di amarlo servendo la famiglia con la nostra attività professionale.
Molte persone pongono le fotografie delle persone da loro amate sul tavolo o nel posto in cui lavorano; anche il cristiano pone qualcosa che gli ricordi il significato divino dell’amore umano: a volte pone un crocifisso, un’immagine della Sacra Famiglia o un altro ricordino opportuno,
a seconda del luogo nel quale si trova, perché se c’è amore a Dio, allora famiglia e lavoro sono un tutt’uno.
È triste vedere persone interiormente divise, che soffrono perché vedono negli obblighi familiari un ostacolo per crescere professionalmente. Cercano di conciliare una moltitudine di impegni che non sono compatibili e si lamentano di non aver tempo per la famiglia.
Assai spesso, però, non è il tempo che manca, ma un cuore ordinato e innamorato. L’esempio di san Giuseppe può aiutare tutti noi. La cura della Sacra Famiglia e il lavoro di artigiano non erano ambiti a sé stanti, isolati, ma una stessa realtà. L’amore a Maria e a Gesù lo portava a lavorare, e con il suo lavoro serviva la Sacra Famiglia.
«La famiglia costituisce uno dei più importanti termini di riferimento, secondo i quali deve essere formato l’ordine socio-etico del lavoro umano […]. Infatti, la famiglia è, al tempo stesso, una comunità resa possibile dal lavoro e la prima interna scuola di lavoro per ogni uomo». Oggi dobbiamo accettare la sfida di ottenere che si restituisca alla famiglia quel ruolo centrale che le corrisponde nella vita delle persone e nel mondo del lavoro. È una sfida dalle molte sfaccettature. Prima di tutto, occorre valorizzare quelle professioni più strettamente legate ai fini propri della famiglia, come i lavori domestici, le attività educative, sin dai primi anni di vita, e le
diverse forme di collaborazione all’assistenza dei malati e degli anziani.
Inoltre, è una sfida urgente ottenere che l’organizzazione sociale del lavoro non generi incompatibilità con gli obblighi della famiglia. Queste situazioni si riscontrano spesso, a causa dei salari insufficienti a sostenere una famiglia; a degli orari che obbligano a ridurre molto la presenza in casa del padre o della madre; a degli ostacoli per le madri che vorrebbero rendere compatibile la dedicazione alla famiglia con una professione da esercitare fuori casa. Queste e altre difficoltà riguardano in modo particolare i professionisti giovani che si vedono sottoposti a pressioni da un ambiente, da una organizzazione della società e da un sistema di vita, che rendono difficile
la formazione di una famiglia e la sua stabilità.
Non c’è dubbio che bisogna chiedere al Signore la fortezza per saper dire di no a certe esigenze di lavoro, senza lasciarsi fagocitare da ciò che non è altro che un mezzo. Comunque, è anche indispensabile introdurre una cultura e una legislazione sul lavoro che favorisca la necessaria dedicazione alla famiglia. Una società che non protegga la famiglia è in cammino verso la propria distruzione. Il Magistero della Chiesa non si stanca di ricordarlo: «Nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla
società».
L’impegno per dedicare il tempo e l’energie necessarie «per imprimere un tono profondamente cristiano nelle vostre case e nell’educazione dei vostri figli, farà delle vostre famiglie fari di vita cristiana, oasi di acque limpide che influiranno su molte altre famiglie, rendendo più facile anche il germogliare di vocazioni».